Di Davide Denti
Nel maggio 2014 tutti si aspettavano un massiccio attacco DDoS contro l’Ucraina, come era avvenuto in tutti i conflitti della Russia nel vicinato negli anni 2000, dall’Estonia alla Georgia. L’infrastruttura internet ucraina appariva debole: l’agenzia giornalistica UNIA era stata facilmente La propaganda russa online durante il conflitto in Ucraina ha visto uno cambiamento di tattica, dagli attacchi DDoS (distributed denial of service) all’uso dei troll per inquinare il dibattito online, spiega Irina Borogan, giornalista investigativa russa, autrice assieme ad Andrey Soldatov del libro “The Red Web”, recentemente presentato al Parlamento europeo.messa off-line per ore. Il temuto cyber-attacco tuttavia non si è mai verificato. Al contrario, si è visto l’arrivo dell’esercito dei troll, che hanno infiltrato i social network: dapprima quelli russi, quindi quelli occidentali, a partire dai commenti sul Guardian, fino ai dibattiti online in Francia e Italia. Una strategia che non è nuova, ma il cui uso su scala massiccia e organizzato dall’alto – tramite le “troll factory”, come quella di Pietroburgo – resta una caratteristica della Russia. E se l’efficacia dei troll resta dubbia nei contesti occidentali, in cui sono facilmente riconoscibili e isolabili, la loro azione è risultata invece incisiva all’interno dello spazio post-sovietico.
Foto e notizie false sull’andamento della campagna militare, a sostegno della linea ufficiale del governo russo e dei paramilitari in Donbass, hanno avuto il proprio effetto principale all’interno dell’Ucraina. Ciò per tre ragioni, secondo Borogan: in primis la presenza di unrisentimento verso l’Occidente, per il fallimento della transizione economica e democratica nel garantire la prosperità attesa; quindi per la presenza di un’eredità della seconda guerra mondiale e di un “complesso di superiorità ” da parte dei popoli sovietici, che ancora oggi si considerano come i salvatori dell’Europa dal nazifascismo; infine, per il sentimento diinsicurezza delle classe medie e la loro paura di una insurrezione, che prenda la forma delle “rivoluzioni colorate” piuttosto che delle “primavere arabe”.
Il messaggio dei troll online, anche quando falso (come nella famosa foto della bambina sul manifesto “Save the Donbass People”, in realtà un fotogramma del film “La fortezza di Brest”) è sempre fortemente emotivo, per non lasciare spazio allo scetticismo o all’opposizione, e fa fulcro su diffusi sentimenti di ignoranza e sfiducia nella politica, considerata indistintamente come una cosa corrotta. In tale maniera, l’effetto combinato è quello di de-mobilitazione della popolazione .
L’agenda dei troll è quella di screditare il dibattito, conferma Jon Kyst, esperto danese dellaEast StratCom Task Force del servizio diplomatico europeo (EEAS): “non sono avversari, ma perturbatori” della discussione. Il problema più ampio, secondo Kyst, è quello della mancanza di fiducia nel dibattito politico: “vediamo il trolling, come metodo, all’opera sui media governativi, sui giornali, in televisione”. La strategia è quella delle “big lies” o “red herring” (false piste), come la storia sul premier ucraino Yatsenyuk come ribelle ceceno, o i gossip sulla vita privata di Saakashvili, diffuse dalla stessa TV nazionale russa.Bufale troppo enormi per essere credute, ma che nel frattempo servono a screditare il dibattito stesso e mantenere il pubblico in uno stato di passività .
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