No, neanche il pane nero al carbone vegetale fa bene come sembra

nov 10, 2015 0 comments
pane nero per hamburger

Di Prisca Sacchetti
Quelli che vanno in pellegrinaggio in certi bakery-caffè (un tempo semplicemente “pasticcerie” ma se oggi non le chiami così meriti voti bassi in mondanità gastronomica), dal fornaio chic o male che vada al supermercato, lo fanno per scoprire che sapore ha quel pane dalle sfumature di grigio che occhieggia zen dagli scaffali.





Sì perché il black bread fa tendenza e così l’interesse per le farine alternative. Se fossi un titolista dell’Ansa adesso scriverei: “Va a ruba il pane nero alcarbone vegetale“.
E questo nonostante il prezzo al chilo, che in media passa dai 6,50 agli 8 euro, contro i 3-4 €/Kg del pane di grano duro. In pratica due volte tanto.
Per i pochi che ancora non ne hanno sentito parlare: dicesi carbone vegetale il residuo della legna bruciata ad alte temperature e in atmosfera praticamente priva di ossigeno.
carbone vegetale
Nel filoncino, nel panino da hamburger, nella pizza, nei biscotti, nel cornetto, panettieri e pasticceri alla moda utilizzano il carbone vegetale in polvere.
Per capirsi, all’impasto uniscono oltre alle farine vere e proprie questo pulviscolo scurissimo. Che non costa poco, tutt’altro, un chilo di “farina nera” costa circa 25 euro al chilo.
carbone vegetale nell'impasto
Anche perché, colore originale a parte, ci sarebbe di più. A mettere il pane nero al centro della scena sarebbero anche le superiori proprietà nutrizionali del carbone vegetale: digeribilità, colesterolo sotto controllo, capacità gas-assorbente che limita pancia gonfia e bruciori di stomaco.
Su questo punto, sul fatto cioè che sia proprio un toccasana per la salute, torna oggi Repubblica/National Geographic, che si è preso la briga di interpellare alcuni esperti.
Bene, cioè male, perché non portia buone notizie. Il carbone vegetale per uso alimentare non fa bene come si crede e andrebbe consumato con attenzione.
Intanto non è neanche considerato un ingrediente ma un additivo, un colorante: nome in codice E153. Tanto che nelle bakery d’oltreoceano pane o cornetti neri non se ne trovano. La Fda (l’agenzia americana che si occupa di sicurezza alimentare), temendo che contenga sostanze cancerogene come il benzopirene, non ne ha mai consentito l’uso alimentare.
Di opinione diversa l’Efsa, equivalente europeo dell’Fda, secondo cui il carbone vegetale in dosi minime non ha effetti nocivi sulla nostra salute.
Poi, gli impasti nero-pece non sono più digeribili né prevengono la stitichezza. O meglio, l’effetto c’è, ma non lo si percepisce neanche talmente è blando.
Inoltre, essendo una sostanza molto porosa, crea problemi ai bambini perché blocca i nutrienti fondamentali per la crescita. Non solo a loro, anche ai diabetici o a chi ha disfunzioni tiroidee, perché, spiega National Geographic:
“funziona quasi come un collante: nel nostro stomaco lega tutto ciò che ha intorno a sé. I veleni, certo, ma anche i farmaci e i nutrienti. Chi assume medicine salvavita dovrebbe consumare il carbone vegetale a distanza di almeno 1-2 ore”.
La conclusione è che, senza creare allarmismi inutili, visto che una brioche, un panino da hamburger o una pizza scura ogni tanto non fanno certo male, il consumo di carbone vegetale vada contenuto malgrado le irresistibili sfumature grigie.
E soprattutto, in ragione del nostro amato un consumo consapevole, nessuno gridi più al toccasana e alle proprietà miracolose.

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