Di Niccolò Battaglino
Visione kafkiana della carta stampata. Per quanto si possano considerare grotteschi certi giornali in libera vendita nel nostro paese, per ridefinire l’accezione del termine bisognerebbe prendere in mano altri tipi di magazine, quelli, per esempio, in grado di insegnare a costruire una bomba o inneggianti allo Stato Islamico. Fonte di espansione dottrinale tanto utile per loro, quanto pericolosa per la popolazione mondiale. La storia moderna della carta stampata Jihadista inizia da un nome, Samir Khan, pakistano classe 1985. Prima di essere notato e invitato personalmente da Osama Bin Laden nella penisola araba per la creazione di un magazine di matrice terroristica, ideò Jihad Recollections, 70 pagine in cui venivano elencate le basi del fondamentalismo, il preludio di quello che in seguito si trasformò in Inspire, giornale ufficiale di Al Qaeda.
Nonostante esistessero dagli Anni ’80 delle vere e proprie newsletters in lingua inglese per iMujahideen, Inspire era la rappresentazione reale di un incubo surreale. Basti considerare l’approfondimento pubblicato nel primo numero, “costruire una bomba nella cucina di tua mamma”. Il magazine si occupava di addestrare i propri lettori a diventare veri e convincenti terroristi modello, istruendoli sul come portare dell’esplosivo su un aereo di linea o come ribaltare automobili su una strada. La speranza era quella di colpire l’attenzione di potenziali candidati pronti a sostenere la causa jihadista. I requisiti ? Giovani della classe media tendenti alle dottrine radicaliste. L’intenzione ? Raggiungere l’occidente, creare cellule terroristiche negli USA, panico e terrore proveniente da carta stampata e foto modificate digitalmente. La rivista ha pubblicato, a singhiozzo, 14 numeri. Il fondatore, Samir Khan, è stato ucciso da un drone americano dopo la sesta uscita, ma ciò non ha fermato la produzione viste le pubblicazioni dopo la sua morte.
Il concetto della diffusione idealistica per quanto riguarda Al Qaeda ha stentato ad evolversi. Non hanno dato molta rilevanza all’avvento dei nuovi media, come invece ha fatto l’ISIS, ponendo le basi per qualcosa di altamente scenografico e futuristico. Video e foto di stermini di massa, montati con accuratezza e precisione. Spese vicine ai 200 mila dollari mensili solo per quanto riguarda la propaganda, e dal 2014 anche loro fondatori di una rivista dal nome Dabiq, piccolo centro agricolo conquistato in Siria. Il magazine dello Stato Islamico vuole marcare le differenze tra loro e Al Qaeda, differenze principalmente tempistiche, i primi vogliono la creazione di un califfato in tutto il mondo adesso, i secondi dopo la caduta degli USA e la conquista occidentale dell’Islam radicale. Fino ad ora sono stati pubblicati 11 numeri. La rivista funge da vetrina alle violenze del gruppo, riportando gli atroci atti compiuti. Ma come possono contenuti di questo genere finire online ? Tramite il Deep Web vengono caricati in rete, una volta generato il link che non può essere indicizzato dai motori di ricerca tocca ai social media compiere l’azione virale di diffusione.
La risposta a queste due riviste è arrivata dal Regno Unito, dove un gruppo di leader musulmani ha fondato il magazine Haqiqah. Il nome della testata significa “verità” e “realtà”, sgretolando le tesi dell’ISIS e Al Qaeda basate sulla violenza e sulla distruzione, spiegando verso per verso cosa significa l’Islam e cosa vuole raggiungere un vero musulmano, una lotta interiore di auto-miglioramento.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.smartweek.it/da-inspire-a-dabiq-ecco-come-nascono-i-magazine-jihadisti/
FOTO:http://formiche.net
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