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Di Giovanna Mulas*
Adoro cucinare per la famiglia e gli amici più cari. In particolare amo fare il pane, e non m’importa il tempo necessario all’operazione: pochi ingredienti, economici e sani, il lavorare la pasta come ti chiede, con forza e dolcezza, a lungo, benedirla con olio e sale (e quando li ho a disposizione patata o cipolla a tocchetti), invadere la casa di aromi antichi.
Durante i viaggi amo provare il cibo di ogni paese; per me è sempre una scoperta, anche quando non lo è, è la vera identità di un popolo. Ho provato cibo di ogni tipo e latitudine: ricco e meno ricco, elaboratissimo. Eppure resto del parere che il cibo più semplice sia sempre il migliore, grande metafora di vita amici miei.
Mi piacciono i volti di mio marito e dei nostri ragazzi, accesi dall’aspettativa, e mi piace mangiare il pane appena sfornato, farlo prima con gli occhi, e a volte rammento mia nonna e il suo antico raccomandarci “pane caldo fa venire mal di pancia!”. E sorrido a quel ricordo, mi rivedo in lei.
Impastare è come fare l’amore, o come scrivere: fondamentali passione, volontà e tempo, il corpo si fa sacro e destinato, da sempre, all’eletto; è un tempio dedicato al tuo Dio. Un ingrediente miscelato male e l’esito sarà tristo, deludente: tu non sarai più tu, il tempio cadrà in rovina, il tuo pane non sarà più lo stesso. Impastare, come fare l’amore e come scrivere, richiede Verità, o almeno la ricerca di questa. E non è mai semplice, spesso in divenire.
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