Di Francesca La Bella
Roma, 1 ottobre 2015, Nena News- Il 28 settembre, con due settimane di ritardo rispetto alla data prevista in precedenza, è iniziato l’anno scolastico in Turchia. Nel Kurdistan del nord, collocato nell’area sud-orientale del Paese, si è, però, assistito ad un massiccio boicottaggio delle lezioni. Le proteste, indette dal Congresso Democratico della Società (DTK) e promosse sia dal Consiglio delle Comunità Kurde (KCK) sia dalle confederazioni locali di Egitim Sen, maggiore sindacato degli insegnanti di Turchia, erano dirette contro le politiche assimilazioniste del Governo turco. Secondo gli organizzatori, l’istruzione in Turchia sarebbe intrinsecamente discriminatoria in quanto impartita esclusivamente in lingua turca. La richiesta portata avanti con il boicottaggio sarebbe, dunque, quella di includere la lingua curda tra le lingue ammesse per l’insegnamento.
Le notizie diffuse nei giorni successivi parlano di una vasta partecipazione alla protesta con percentuali di adesione superiori al 60% in quasi tutte le provincie e valori ancora maggiori in alcune di esse. In linea con questi numeri è Diyarbakir, città maggiore dell’area, considerata la capitale del Kurdistan settentrionale, dove i banchi delle scuole primarie sono rimasti perlopiù vuoti. Nelle provincie più orientali, come Van, Sirnak o Hakkari, invece, la partecipazione alla protesta di studenti delle scuole di ogni grado ha alzato le percentuali di boicottaggio attestandole al di sopra dell’80%. Nel caso di Yuksekova, nella provincia di Hakkari, si è arrivati ad un’adesione pressoché totale. Ad allargare la partecipazione hanno, probabilmente, contribuito gli eventi della settimana precedente. La scuola elementare Dayika Uveyş, istituto privato che offre istruzione in lingua curda ai bambini dell’area, sarebbe stata, infatti, gravemente danneggiata dalle forze speciali turche, rendendola inagibile per alcune settimane. L’iniziativa non ha, però, coinvolto solo la comunità curda e, nella provincia di Dersim, la partecipazione più massiccia è stata quella della comunità alevita locale mobilitatasi anche contro l’insegnamento obbligatorio della religione islamica sunnita come già avvenuto a febbraio di quest’anno.
Allo stesso modo, non è la prima volta che viene messa in atto una protesta di questo genere nelle zone curde del Paese e già nel 2010 l’iniziativa ebbe un vasto riscontro popolare, suscitando polemiche e diatribe con il Governo. Al tempo, sia dai media che dal mondo della politica venne l’accusa alle organizzazioni curde di aumentare le stime per dividere la popolazione e che l’alto numero di partecipanti fosse dovuto al clima di intimidazione e, ad oggi, le parole non sembrano diverse: giornali come Daily Sabah parlano di bombe artigianali attorno alle scuole di Van, mentre Today’s Zaman dedica un lungo articolo a come le basse percentuali debbano essere imputate alla minore affluenza dei giovani curdi durante la prima settimana di lezione.
Queste poche informazioni iniziali basterebbero per capire che il contesto in cui si inserisce questa protesta, ne dilata i confini, trasformandola in un canale di lettura per una ben più ampia realtà. Le scuole e le università, come luoghi di formazione e di trasmissione di sapere, sono stati in passato e continuano ad essere oggi, uno dei centri del conflitto tra il tentativo di assimilazione di Ankara e la ricerca di emancipazione della popolazione curda. In questo senso, alcuni giornalisti locali, hanno affermato che lo slittamento di due settimane delle lezioni, ufficialmente motivato con la volontà di favorire il turismo interno in occasione della festa dell’Eid, sarebbe dovuto ai rinnovati scontri armati diffusi su tutto il territorio nazionale e, in particolare in Kurdistan, ed alla paura che scuole ed università potessero diventare teatri di questa battaglia.
L’avvio dell’anno scolastico, in un Paese che tra circa un mese si ritroverà nuovamente alle urne, viene, dunque, visto sia come tappa fondamentale per la campagna elettorale sia come possibile momento critico. Nelle città universitarie, Istanbul ed Ankara in primis, l’afflusso di studenti di diversa provenienza potrebbe, da un lato creare fronti comuni di protesta, come già avvenuto durante le giornate di Gezi Park e dall’altra, obbligherà alla convivenza membri di gruppi politici contrapposti con probabili ricadute violente.Per quanto riguarda le aree curde, invece, il coprifuoco imposto su molte provincie, il clima di tensione latente e i continui arresti e raid dell’esercito turco potrebbero impaurire molti professori provenienti da altre zone del Paese (in Kurdistan, gli insegnanti sono quasi esclusivamente turchi) e incentivare molti genitori a non mandare i figli a scuola a causa dei pericoli.
La situazione è, dunque molto tesa e le dichiarazioni provenienti dal Governo, per quanto non direttamente indirizzate alle scuole curde, danno una chiara idea della direzione intrapresa dall’AKP. Il Presidente dell’AKP, Recep Tayyip Erdogan ha inaugurato l’anno accademico da una delle scuole religiose private aperte nel Paese dopo le riforme dei precedenti Governi a sua guida, dichiarando che il Paese non ha bisogno solo di Imam, Muezzin e “lavatori di morti”, ma che queste sono figure necessarie per la costruzione della nuova Turchia. Il Primo Ministro Ahmet Davutoglu, da Chicago, invece, ha voluto ricordare che durante gli anni di scuola venne picchiato da ragazzi di sinistra mentre leggeva una poesia di carattere nazionalista, ma che trovò la forza di reagire. La volontà, dunque, di un controllo forte sul mondo dell’istruzione per renderlo veicolo dei valori considerati prioritari dal Governo.
FONTE:http://nena-news.it/kurdistan-il-boicottaggio-del-primo-giorno-di-scuola/
FONTE:http://nena-news.it/kurdistan-il-boicottaggio-del-primo-giorno-di-scuola/
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione