Di Elisabetta Intini
Ecco la cronistoria delle scoperte archeologiche fondamentali che hanno permesso di ricostruire le tappe dell’evoluzione umana.
1829
L’anno della scoperta, nell’attuale Belgio, di un fossile di parte del cranio di un bambino Neanderthal di 2 anni e mezzo.
Il ritrovamento che renderà però celebre questo ominide vissuto tra i 200 mila e i 40 mila anni fa e così strettamente legato ai Sapiens sarà però quello compiuto, nel 1856, da Johann Fuhlrott nella Valle di Neander, a 12 km da Dusseldorf, in Germania.
Il fossile di Fuhlrott comprende parte del cranio, alcune ossa, parte dell’osso pelvico, alcune costole, e alcune ossa del braccio e della spalla.
1891
Sulle rive del fiume Trinil, sull’isola di Giava (Indonesia) il paleoantropologo olandese Eugène Dubois scopre i primi fossili di quello che oggi si sa essere Homo erectus (e che allora venne chiamato Pithecanthropus erectus). Più avanti, nel 1936, il paleontologo tedesco GHR von Koenigswald (nella foto) trova, sempre a Giava, un secondo reperto fossile, una calotta cranica più completa.
Qui lo vediamo intento a dimostrare che i resti da lui trovati non appartengono a una scimmia, ma a un ominide apparso per la prima volta in Africa 2 milioni di anni fa, con una capacità cranica pari al 75% quella dei Sapiens. Il disegno illustra i tre principali fossili dell’Uomo di Giava rinvenuti tra il 1891 e il 1892: una calotta cranica, un molare e un femore, qui mostrati da diverse angolazioni.
1924
La scoperta a Taung, in Sudafrica, del primo cranio fossile completo di denti di Australopithecus africanus sposta il fulcro delle ricerche archeologiche sulla storia dell’uomo nel continente africano.
Dal fossile del “bambino di Taung“, come è stato ribattezzato, emerge che questi ominidi, apparsi per la prima volta 4 milioni di anni fa, erano chiaramente più primitivi degli umani. Camminavano su due gambe ma avevano arti lunghi, denti larghi e cervello piccolo come le scimmie.
1960
Scavi archeologici nella Gola di Olduvai, in Tanzania, portano alla luce i resti fossili di quella che appare come una via di mezzo tra gli australopitechi e l’uomo.
L’ominide che verrà in seguito classificato come di Homo habilis (qui in una ricostruzione), presenta un cervello affine a quello degli australopitechi, ma uno scheletro più simile a quello dell’uomo e dai tratti meno “scimmieschi”. Sarebbe apparso intorno ai 2 milioni di anni fa.
1974
È l’anno di Lucy: il fossile più famoso di sempre, risalente a 3,2 milioni di anni fa, appartiene a una femmina di Australopithecus afarensis di circa 25 anni di età . Onnivora, di bassa statura, doveva condurre una vita ancora in parte arboricola, pur essendo in grado di camminare su due piedi.
Le ossa di Lucy e una ricostruzione di come doveva apparire: alta circa 1 metro, aveva tratti un po’ scimmieschi e una ridotta capacità cranica per il cervello, ma sapeva muoversi con un’andatura bipede. Un fatto, quest’ultimo, che ha alimentato il dibattito sul bipedismo in rapporto alla crescita del volume del cervello.
1984
Presso il Lago Turkana in Kenya viene trovato lo scheletro fossile, quasi completo, di un ragazzo di circa 8 anni morto 1,6 milioni di anni prima.
L’assenza di mento, un arco sopraccigliare molto pronunciato e braccia molto lunghe lo distinguono dall’uomo moderno, mentre la scarsa copertura di peli lo rende particolarmente adatto alle temperature della savana africana. Viene inizialmente classificato come Homo habilis, ma oggi è classificato come Homo ergaster.
La sua corporatura doveva essere simile alla nostra. Il fossile ben conservato del ragazzo di Turkana: si noti il confronto con quello di Lucy, per andatura e statura.
1986
Un’ulteriore diversificazione delle prime specie del genere Homo arriva due anni dopo con la scoperta, sempre sulle rive del Lago Turkana, in Kenya, di un fossile di Homo rudolfensis di un’età stimata di 1,9 milioni di anni.
Simile all’Homo habilis nell’aspetto fu però suo rivale evolutivo, e scomparve entro poche migliaia di anni.
2008
In una grotta del Sudafrica, nel sito di Malapa, vengono ritrovati due scheletri parziali, e molto ben conservati, di Australopithecus sediba vecchi circa 2 milioni di anni.
La specie è da alcuni considerati una sorta di transizione tra Australopithecus africanus e Homo habilis, ma non tutti gli esperti concordano.
2015
L’analisi di una mandibola di un ominide – presumibilmente di Homo habilis – ritrovata in Etiopia, nella regione di Afar, rivela che il genere umano comparve in Africa 2,8 milioni di anni fa, mezzo milione di anni prima di quanto creduto finora.
Il reperto di transizione ricolloca il passaggio tra australopiteco e Homo a un periodo compreso tra i 3 milioni e i 2,8 milioni di anni fa.
Nello stesso anno, l’analisi genetica della mandibola di un Homo Sapiens vissuto in Romania tra i 42 mila e i 37 mila anni fa rivela tracce di un antenato Neanderthal (forse il padre del trisavolo) nelle 4-6 generazioni precedenti.
La prova che in molti aspettavano del fatto che Sapiens e Neanderthal si incrociarono anche in Europa, e non solo in Medio Oriente, durante l’uscita dei Sapiens dal continente africano.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione