
Di Nuccio D'Anna
Fra gli autori dei racconti del Graal Wolfram von Eschenbach occupa un posto speciale dovuto non solo al particolare impianto narrativo della sua opera, ma soprattutto ai numerosissimi elementi dottrinali che l’arricchiscono di un simbolismoe di prospettive spirituali persino islamiche non sempre emerse con chiarezza negli altri compositori del ciclo del Graal.
Wolfram intende dare voce ad una speciale tradizione spirituale sulla quale addirittura dichiara di aver costruito il suo Parzival. Questa tradizione è personificata in “Kyot il Provenzale”, un personaggio straordinario al quale difficilmente potrà essere data una fisionomia precisa. Nel Parzival appare poche volte (VIII, 417, 431, IX, 453-454, 455, XVI, 827), tutte tese a dare importanza a questa fonte e a rimarcare la diversità di molti simboli del Parzival rispetto a quelli emersi nel Perceval di Chrétien de Troyes.

Ciò che rende particolarmente interessante la funzione di “Kyot il Provenzale”, di questo maestro “cantore”, o forse e più esattamente “incantatore” [=schianture], è il contatto che tramite lui sembra essersi stabilito fra la tradizione cristiana, quella giudaica e l’Islam, con tutto ciò che questi contatti hanno potuto comportare sul piano dottrinale, simbolico e, forse, rituale. I cenni a Toledo, alla Spagna, alla Provenza, a Baghdad, al Baruc, a Feirefiz, così come il legame fra Flegetanis, Kyot e Salomone, sono a questo riguardo molto significativi e richiamano la presenza eccezionale di kabbalisti, sufi e contemplativi cristiani presso le corti musulmane di Spagna e in quelle della Provenza trovadorica.
Ciò che rende particolarmente interessante la funzione di “Kyot il Provenzale”, di questo maestro “cantore”, o forse e più esattamente “incantatore” [=schianture], è il contatto che tramite lui sembra essersi stabilito fra la tradizione cristiana, quella giudaica e l’Islam, con tutto ciò che questi contatti hanno potuto comportare sul piano dottrinale, simbolico e, forse, rituale. I cenni a Toledo, alla Spagna, alla Provenza, a Baghdad, al Baruc, a Feirefiz, così come il legame fra Flegetanis, Kyot e Salomone, sono a questo riguardo molto significativi e richiamano la presenza eccezionale di kabbalisti, sufi e contemplativi cristiani presso le corti musulmane di Spagna e in quelle della Provenza trovadorica.
Un altro elemento fondamentale che mostra la profondità della presenza islamica in Wolfram è lo strano destino di Feirefiz, “Bianco-Nero”, che accompagnerà il fratello Parzival a Munsalvaetsche e dopo il suo battesimo sposerà la Fanciulla del Graal, Repanse de Schoye, “la Dispensatrice di Gioia”, la personificazione della Sedes Sapientiae. Un terzo dato è la descrizione del palazzo reale che si trova in XIII, 589-590, tanto precisa ed articolata da convincere Hermann Göetz che qui si ha la trasposizione dello schema-base del palazzo dei Califfi di Baghdad e, forse, persino un cenno ad un famoso stûpa del rekushana Kanishka. Da parte sua Lars-Ivar Ringbom ha mostrato che anche la pianta architettonica del Tempio del Graal descritta da Albrecht von Scharfenberg nel suo poema può essere compresa solo comparandola alla struttura del palazzo di Taxt-i Sulayman,“il Trono di Salomone”, l’antico santuario mazdeo del fuoco chiamato Taxt-i Taqdis, ”il Trono degli Archi”, costruito dal re Chosroe II e poi distrutto dall’imperatore bizantino Eraclio nel 629, quando inseguì le truppe sassanidi sconfitte e recuperò la “Vera Croce” razziata precedentemente dai Persiani a Gerusalemme.
Per designare il “Paradiso perduto” mèta di ogni cavaliere, Wolfram introduce lo strano termine di Munsalvaetsche, “Monte Selvaggio”, introvabile nella letteratura precedente.Munsalvaetsche si ritrova almeno una trentina di volte nel Parzival e addirittura in V, 251 è associato ad una straordinaria dinastia regale. Esso è poi ripreso senza nessuna variazione nello Jüngerer Titurel del suo continuatore Albrecht von Scharfenberg, fra i compilatori di questi scritti l’unico ad evidenziare con forza elementi dottrinali rapportabili al mondo spirituale iranico e, più in generale, al simbolismo islamico-orientale che sembrerebbe trovarsi sotteso nell’opera di Wolfram. Anche Albrecht pone il Tempio del Graal a Munt Salvaesch, nel cuore di Salvaterre, una regione protetta dall’impenetrabile Foreist Salvaesch. Aggiunge poi che dopo che gli angeli lo hanno trasportato a Munt Salvaesch,Titurel decide di costruirvi un tempio per intronarvi degnamente il Graal.
Il simbolismo della montagna è ben conosciuto. La particolare strutturazione di ogni montagna ne fa per eccellenza un’immagine dell’axis mundi che congiunge la terra e il Cielo, il mondo del divenire e delle apparenze con la realtà dell’essere immutabile e “lucente”. Per questa sua “assialità” la montagna cosmica non può trovarsi che al centro della manifestazione universale, nel punto dal quale si dipartono tutti i raggi che come infiniti lampi di luce si riverberano sui vari piani cosmici. E’ il luogo privilegiato di ogni teofania, là dove il divino si svela e si fa riconoscere dagli uomini.
Nell’Islam la montagna Qâf, considerata inaccessibile agli uomini comuni, è detta la “montagna della saggezza”, unsimbolismo che accosta la sapienza divina e la montagna. Nei Vangeli si usa distinguere il monte dove il Cristo si ritira spesso a pregare, dalla pianura in cui si trovano i semplici fedeli. La Trasfigurazione si compie sul Tabor, un “alto monte” dice Matteo 17, 1. È il luogo in cui il Cristo si mostra “così come Egli è”, nello Splendore divino che da significato alle tradizioni concernenti Mosé e Elia e nel quale si svela la Volontà celeste. Il Sermone delle Beatitudini viene pronunciato su un monte (Matteo 5, 1 sgg.; Luca, 6, 17 sgg.), ed è qui che si ha l’indicazione delle basi spirituali della dottrina cristiana, la rivelazione delle condizioni per accedere alla stessa realtà “immacolata” delle origini. Secondo una tradizione molto diffusa nell’Oriente Ortodosso, anche il Golgota era una montagna posta “al centro del mondo” dove fu sepolta “la testa” del Primo Uomo e nel quale verrà piantata la croce del Cristo: la rivelazione primordiale “ferita” dal peccato di Adamo, viene riscattata dal Cristo “nuovo Adamo”.
Wolfram aggiunge (V, 251) che Munsalvaetsche si trova al centro di un regno posto nellaTerra de Salvaetsche, “la Terra Selvaggia” nella quale “non è stato mai tagliato albero o pietra”, ossia un luogo che gode di una condizione immacolata, la proiezione nel tempo e nello spazio della “gioia” perpetua che regna a Munsalvaetsche, nella perfetta rispondenza fra la condizione spirituale sperimentata dal re Titurel e l’ambiente cosmico nel quale si riversano le “qualità divine”, quelle che dal punto di vista umano vengono colte come semplici virtù. Per la sua particolare ambientazione molto prossima a quella riferita al simbolismo del Paradiso perduto, risulta impossibile che con “selvaggia” si volesse indicare la sede del Graal caratterizzandola come “brutale”, “istintiva”, etc. La stessa sua collocazione in medio mundi, il suo custodire il Graal e le “virtù” che esso veicola ne rende assurda l’ipotesi. In realtà, nelle opere del XII e del XIII secolo, al nascere delle varie letterature cosiddette nazionali, si trovano abbastanza diffusamente espressioni similari che danno un’indicazione preziosa su quello di cui si tratta. L’esempio più conosciuto è senza dubbio il “vulgare illustre” di Dante, un’espressione enigmatica ed in sé persino contraddittoria. Nel suo De vulgari eloquentia Dante precisa che con tale formula intende riferirsi alla lingua naturale, quella parlata allo origini stesse della creazione, alla “forma locutionis creata dallo stesso Dio insieme alla prima anima”, la lingua appresa da Adamo nell’Eden per comunicazione diretta dello stesso Creatore. Una lingua rivelata direttamente da Dio costituisce di per sé una particolare forma di teofania ed un veicolo di salvezza, ed è perciò evidente che l’espressione “vulgare illustre” non può indicare una lingua priva di radicamenti nella dimensione del sacro, parlata dal “volgo”, “popolare”. Al contrario, designa lo stesso “linguaggio primordiale” che nei termini medievali è la tradizione primigenia, la condizione spirituale dell’umanità delle origini, prima che il peccato originale allontanasse gli uomini dall’Eden.
Allo stesso modo, l’accostamento del simbolo della montagna all’aggettivo “selvaggio” in un contesto complessivo nel quale è centrale il Graal e il suo simbolismo, non intende indirizzare verso l’”istintivo” o il “brutale”, ma completa ilsimbolo della montagna cosmica con l’indicazione di un tipo di spiritualità aurorale. L’aggettivo “selvaggio” si trova usato come l’equivalente di “originario”, “primordiale”, “naturale”, esattamente come il “vulgare” di Dante. La “Montagna Selvaggia” di Wolfram è perciò la “Montagna originaria” nella quale il cavaliere che ha potuto contemplare il Graal si ritrova in condizioni spirituali “naturali”, reintegrato nella stessa “interezza” goduta da Adamo, in un Eden che questi testi indicano non come un giardino, ma come una montagna inaccessibile.
Lo stesso ritmo narrativo sembra essere ordinato attorno ad un simbolismoonnipervadente. Si pensi per esempio al significato di Parzival (XVI, 822) inteso a raccontare l’origine della dinastia del “prete Gianni”: “Repanse de Schoye fu lieta del suo viaggio. In India ella diede alla luce un figlio che si chiamò Giovanni. I re di quelle terre da allora presero quel nome”, una frase che potrebbe essere resa così: “La “Dispensatrice di Gioia=Grazie” dà alla luce Giovanni [=”Grazia di Dio”] dal quale si origina una linea di sovrani-sacerdoti che elargiscono “gioia-grazie” sino alla fine dei tempi”. Dalla grazia, attraverso la grazia, grazie infinite. Questo tipo di costruzione ritmica si trova ovunque nel Parzival, tocca i dialoghi, le dispute, la configurazione dell’iter narrativo, l’ambientazione, le spiegazioni dottrinali, il significato attribuito ad un dato personaggio e indica un intero universo simbolico, rimanda ad un ordine di valori originatisi dall’âlam al-mithâl, il mundus imaginalis delle dottrine shiite, il “luogo” delle teofanie e degli archetipi divini dal quale si originano le “forme formanti” che danno consistenza alla manifestazione cosmica.
TITOLO ARTICOLO ORIGINALE:"Wolfram von Eschenbach e i Custodi del Graal"
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.centrostudilaruna.it/wolfram-von-eschenbach-e-i-custodi-del-graal.html
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