Di Nicola Di Turi
Mark Zuckerberg, però, è riuscito anche nell’impresa di farci desiderare la manifestazione del disprezzo. Alla notizia che su Facebook stesse per comparire il bottone “non mi piace”, milioni di iscritti hanno cominciato a dividersi tra entusiasti e scettici. Categoria a parte quella dei “ditini alzati”, che da subito hanno chiarito come sarebbe stata improbabile l’introduzione del pollice all’ingiù al fianco del classico “mi piace”. Sarà vera gloria?
Vedremo se Facebook consentirà agli utenti di manifestare basso gradimento ad un post, introducendo il bottone “non mi piace” al pari di piattaforme come Reddit o YouTube. Sul portale video più famoso al mondo, infatti, “mi piace” e “non mi piace” conservano pari dignità e lasciano l’utente davvero libero di manifestare sia un apprezzamento positivo, sia un giudizio negativo su ciascun contenuto.
Ma se così non dovesse essere, nessuna rivoluzione sarebbe alle porte. Se come confermato dallo stesso Zuckerberg, si dovesse optare per “la possibilità di esprimere complicità e compassione se stai condividendo qualcosa di triste”, allora saremmo di fronte a qualcosa di diverso.
Nessuna concessione all’espressione di un disaccordo, piuttosto via libera ad una sorta di emoticon evoluta, per esprimere unsentimento di vicinanza, ma senza fare alcun passo per andare oltre quello che pare un autentico culto della positività. Una specie di bottone dell’empatia, ecco.
Su Facebook vige una sorta di policy non ufficiale per cui, sostanzialmente, un contenuto si può solo apprezzare, mentre per esprimere un disaccordo, si è costretti a seguire due strade: ignorarlo, o commentarlo. “Non vogliamo che Facebook diventi un forum dove le persone votano positivamente o negativamente i post”, ha spiegato ancora Zuckerberg. Eppure l’idea di fondo per cui il disaccordo non si possa esprimere con la stessa semplicità con cui si può manifestare un apprezzamento, non restituisce un’immagine di Facebook come di una piazza davvero libera in cui confrontarsi.
È come se si temesse la negatività e si rincorresse la positività a tutti i costi. E dietro all’esplicita richiesta degli iscritti, l’unica concessione di poter apprezzare negativamente un contenuto, resterebbe comunque rinchiusa nel recinto di un evento doloroso. Una scelta che autorizza a pensare come dietro la volontà di non restituire pari dignità (e un bottone) alla negatività, ci siano in realtà ragioni che hanno a che fare soprattutto col business.
Lasciare un “mi piace” su un contenuto pubblicato da amici ed aziende, significa spingerlo in alto tra quelli più di successo, e alimentare la catena per cui diventa sempre più visibile e potenzialmente più apprezzato. Concedere l’opportunità di “disprezzare” lo stesso contenuto porterebbe invece a relegarlo tra quelli meno apprezzati e quindi meno visualizzati. Le aziende continuerebbero a pagare per comprare pubblicità su Facebook, se dovessero mettere nel conto anche il rischio che un loro contenuto fosse considerato negativamente con la stessa semplicità con cui oggi riscuote successo e visibilità?
Allo stesso modo, quanti post subirebbero l’auto-censura di utenti frenati dal pubblicare contenuti che potrebbero riscuotere valanghe di “non mi piace”? Certamente niente di nuovo, Gaddainsegna. Eppure meno pubblicità e meno post porterebbero Facebook, in sostanza, a ridurre il proprio traffico e l’engagement complessivo della piattaforma.
Un rischio che probabilmente non vale la pena correre. E pazienza se ad essere sacrificata sull’altare, debba essere ancora una volta la libertà personale degli utenti. I quali sicuramente accettano di loro sponte la frequentazione di una comunità dalle regole ben definite, ma che probabilmente non si farebbero grossi scrupoli a migrare verso piattaforme alternative che dessero l’impressione di concedere una maggiore attenzione alle richieste degli iscritti. Manifestare pubblicamente un disaccordo, insomma, sembra restare ancora un tabù per Facebook.
Per stimolare lo sviluppo di un dibattito maturo anche su internet, invece, sarebbe necessario anche mettere nel conto di incorrere in un incidente di percorso come la disapprovazione pubblica di amici e conoscenti. D’altronde, esporsi in prima persona al giudizio esterno, pare sia ciò che serve per imparare ad assumersi responsabilità e crescere come persone.
Essere costretti a farlo all’interno di un recinto di protezioniricorda da vicino l’atteggiamento iper-protettivo di genitori che risparmiano problemi ai figli per non affliggerli, salvo procrastinare i momenti di crescita e “rottura” a data da destinarsi. Che Facebook non ci conceda l’opportunità di disprezzare pubblicamente i post degli amici, per proteggerci dagli apprezzamenti negativi con cui verosimilmente dovremmo cominciare a fare i conti?
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione