Di Tonia Mastrobuni
«Ricordatevi di spedirmi tanto Pervitin, la prossima volta. Fa miracoli». Lettera dal fronte di uno dei più grandi scrittori tedeschi del Novecento: Heinrich Böll. Supplica la famiglia di mandargli «tanto» Pervitin. Niente di scandaloso: la metanfetamina va di moda, nella Germania nazista, soprattutto nelle trincee della Seconda guerra mondiale. Una droga travestita da farmaco che mantiene svegli ed euforici per ore e ore.
L’ha sviluppata un medico, Fritz Hauschild, strabiliato dagli effetti delle benzedrine sugli atleti americani arrivati a Berlino nel 1936, per le Olimpiadi del Führer. Pazienza se questo micidiale «Crystal Meth» del Terzo Reich rende dipendenti e ha effetti devastanti: il Pervitin si diffonde rapidamente, nel regno degli «invincibili». Lo prendono sportivi, cantanti, studenti sotto esame. La fabbrica di Pervitin inventa addirittura il cioccolatino al Pervitin per allietare le casalinghe.
«La grande euforia»
Quando comincia la Seconda guerra mondiale, la droga si diffonde rapidamente tra i soldati della Wehrmacht. Tanto che l’autore di un libro appena uscito sull’argomento è convinto che abbia avuto un ruolo fondamentale non solo nel Blitzkrieg contro la Francia del 1940, ma anche nel comportamento di Adolf Hitler. «Medici e droghe spiegano molto della struttura interna del nazismo» sostiene Norman Ohler, autore di «Der totale Rausch» («La totale euforia»).
Per il capo dei medici del Reich, Otto Ranke, è «un farmaco militarmente prezioso!». Quando la Germania invade la Francia, Ranke non fa fatica a convincere i generali, tra cui Erwin Rommel, che guidano l’attacco a distribuire Pervitin tra i soldati. Rommel, l’abile generale passato poi alla storia come la «volpe del deserto», conosce il farmaco perché lo usa personalmente. L’attacco della Wehrmacht è notoriamente micidiale: i carri armati procedono a tutta velocità attraverso le Ardenne senza fermarsi mai, notte e giorno, in quattro giorni macinano centinaia di chilometri. A metà maggio del 1940 raggiungono e radono totalmente al suolo l’accampamento militare francese ad Avesnes. I soldati francesi sono sconvolti dallo stato si esaltazione dei loro nemici. Sono inarrestabili. È un blitzkrieg metanfetaminico.
Ma dopo il 1941, scrive Ohler, anche il Führer comincia ad assumere comportamenti che gli storici non sono mai riusciti del tutto a spiegare: Ohler è convinto che siano in parte attribuibili agli stupefacenti. Alla «Süddeutsche Zeitung» ha dichiarato che «ovviamente ciò non solleva minimamente Hitler dalle sue colpe». I risultati della ricerca sono impressionanti.
Metanfetamine, steroidi e altre sostanze vengono iniettate a Hitler 800 volte in 1349 giorni; prende 1100 pillole. Tanto che Hermann Göring soprannomina il medico personale del Führer, Theo Morell, «il maestro delle punture del Reich». Non senza una punta di sarcasmo: i fedelissimi del Führer non amano il suo medico, ne temono il potere. A quanto pare, a ragione. Nel 1945 Hitler è ormai un rottame: gli cascano i denti, poco prima della capitolazione, il 17 aprile, minaccia il medico di morte, mangia zucchero per superare le crisi di astinenza. Ma un episodio della sua tossicodipendenza ha anche segnato il destino dell’Italia.
Nell’estate del 1943, quando Benito Mussolini sembra voler mollare l’alleato tedesco, Hitler lo raggiunge in Italia. Arriva piegato in due dai mal di stomaco. Morell gli inetta un potentissimo oppioide, l’Eukodal. Il Führer si riprende in un battibaleno, diventa euforico, logorroico. Convince il duce a non mollare. La sera, Morell si appunta nel diario che il Führer ha detto che se Mussolini gli resterà fedele è merito suo. Il resto è storia.
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