Di Claudio Bertolotti
L’uccisione avvenuta a Tripoli il 25 settembre di Salah Al-Maskhout, capo dell’organizzazione criminale transnazionale dedita al traffico di esseri umani attraverso la Libia, ha attirato l’attenzione dei media nazionali e internazionali. Un’attenzione che si è concentrata per lo più sulle dinamiche e sulla paternità dell’operazione che ha portato all’eliminazione di un importante elemento criminale – spostando la discussione su quali servizi segreti e forze speciali ne fossero responsabili: italiani, francesi? britannici?… – ma non sul fenomeno in sé e sulle dinamiche strategiche che regolano e alimentano un fenomeno in espansione e i relativi vantaggi economici che si celano dietro a un dramma di ampia portata: quello migratorio.
Si tratta di un’ondata migratoria senza precedenti che nel caos dell’area del ‘Grande-Medioriente’, dall’Afghanistan alla Libia, ha trovato un fattore in grado di dinamizzarne l’entità e la portata e che, nel solo 2015, ha registrato un dato impressionante di almeno 300.000 migranti.
La guerra in Syraq, che ha sconvolto le popolazioni di due Stati – la Siria e l’Iraq – ed ha destabilizzato l’intero arco mediorientale avviando un inarrestabile processo di ridefinizione dei confini e la probabile nascita di nuove realtà statali (a partire da uno stato del Kurdistan e la divisione dell’Iraq), è una delle principali cause del flusso migratorio attraverso il Mediterraneo, ma certamente non l’unica. Alla guerra scatenata da IS/Daesh – le cui origini vanno fatte risalire al fallimento dell’intervento militare statunitense in Iraq nel 2003 – si affianca una crisi globale, anche di natura climatica, che spinge milioni di persone a cercare migliori condizioni di vita.
A fronte di queste spinte non vi sono muri che possano reggere. Si tratta di un flusso al momento inarrestabile, tanto più che vi sono aree di transito che sfuggono al controllo degli stati nazionali e che vengono per questo sfruttati dalle organizzazioni dedite ai traffici illeciti (tra cui quello di esseri umani). La principale di queste aree è quella libica dove si contrappongono due governi (Tobruk, riconosciuto dalla Comunità internazionale, e di Tripoli), più un terzo attore che combatte sotto l’insegna di IS/Daesh: una situazione che ha portato all’apertura di un varco nel già fragile sistema di controllo delle frontiere dei Paesi del Mediterraneo. E questi sono i punti nodali di una situazione ormai degenerata: la gestione dei traffici e dei percorsi, la tipologia dei migranti e, elemento di primo piano, il business che ne consegue. Procediamo con ordine.
Quali i traffici e percorsi dei flussi migratori?
L’aumento del flusso migratorio registrato nel 2015, il cui totale è di circa 300.000 persone (500.000 sommando tutti i flussi migratori verso l’Europa; erano 219.000 l’anno precedente), si è concentrato nelle tratte del mar Mediterraneo, in particolare la rotta che dalla Libia porta all’Italia attraverso le aree desertiche sahariane e i Paesi dell’area sub-sahariana. I principali hub di smistamento si collocano lungo tre assi principali che portano alla Libia:
- Il primo è l’asse Bamako-Gao (Mali), Tamanrasset-Ouargla (Algeria), Zawarah (Libia).
- Il secondo Cotonou (Benin), Ouallam-Agadez-Dirkou (Niger), Tripoli (Libia);
- Il terzo è l’asse della macro-area del Corno d’Africa (Somalia-Eritrea-Etiopia) che, attraverso la linea Sudan-Chad-Egitto, porta alle coste libiche di Bengasi.
Una quarta direttrice, non transitante per la Libia, è quella che dal Sudan porta verso l’Egitto e da qui alla Turchia.
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