Di Pietro Di Muccio de Quattro
Se ne avessi la voglia e il tempo, scriverei un piccolo dizionario degli inglesismi ad uso degl’Italiani vantoni. Proprio quelli che più dovrebbero averla a cuore, la lingua italiana, sono tra i suoi principali distruttori. Per pigrizia, piaggeria, sfoggio, politici e giornalisti quotidianamente sui mezzi di comunicazione sgretolano la nostra bella lingua e la infarciscono d’inutili quanto incomprensibili vocaboli ed espressioni inglesi. In realtà, mi correggo, la voglia e il tempo li avrei pure. Ma sono trattenuto dalla convinzione dell’inutilità dell’opera. Infatti vedo l’Italia, la sua classe dirigente, incamminata sul sentiero dell’autodisfacimento. E non è un’esagerazione.
Il saggio Confucio afferma che, quando le parole perdono il loro significato, il popolo perde la sua libertà. Figuriamoci cosa possa diventare un popolo quando addirittura rinuncia alla lingua madre. La classe dirigente ha accettato bovinamente, salvo qualche flebile voce dissenziente, che qualche facoltà universitaria impartisse tutte le discipline solo, dico solo, in inglese, alla stregua di un “college”. Addirittura, notizia recente, persino un liceo classico, dico classico, pare che insegnerà le materie in inglese. Così avremo il latino e il greco inculcati in inglese, anziché in latino e greco, come sarebbe ideale! Nella stragrande maggioranza dei casi, l’inglesismo è inutile. Adoperarlo denota non solo vanità, ma soprattutto mancanza di rispetto verso chi ascolta o legge. Questa mancanza di rispetto è tanto più grave considerando che l’italiano parlato si è impoverito in modo drammatico. Sono troppi ormai i connazionali che usano solo i vocaboli essenziali della vita e che stanno poco oltre la soglia dell’alfabetizzazione. Sicchè, chi si abbuffa d’inglesismi appare alla moda, ma lo capiscono in pochi, oltre a dare da sé dimostrazione che sa poco sia d’inglese che d’italiano. Ottima cosa istruire in ottimo inglese fin dalle elementari, ma giammai in sostituzione o a discapito dell’italiano, che invece andrebbe portato al massimo livello.
Ecco alcuni esempi di ciò che ho detto. Crowdfounding = finanziamento collettivo: chi ha un’idea o un progetto chiede denaro per realizzarli. Raccolta di soldi da donatori volontari, su larga scala grazie a internet. Colletta, in italiano. Chiaro e semplice. Troppo, per elemosinieri immodesti. Follower = letteralmente: seguace. Perché no? Boh. Location = ambientazione, se riferita a film, spettacoli e simili; se no, luogo o sinonimi, appropriati al soggetto. Spending review = revisione della spesa, espressione impeccabile. Non viene adoperata dai politici per scansare l’implicito concetto del togliere e del tagliare; e dai giornalisti per mostrarsi alla loro altezza. Tutor = latino per tutore. Vietato pronunciarlo, quindi, con labbra a culo di gallina oppure con la “u” fischiata o soffiata. Voluntary disclosure = rivelazione volontaria dei denari all’estero occultati al fisco. Già la pronuncia è cacofonica e sconsiglia l’uso, così inutile, a cui invece si abbandonano con ridicoli contorcimenti mascellari. Autodenuncia è vocabolo perfetto, ma non suona eufemistico. Street control = controllo stradale. Nessuno sa perché venga adoperato l’inglese. Ma il cretino che lo adopera, sì.
FONTE:http://www.opinione.it/editoriali/2015/09/10/di-muccio_editoriale-10-09.aspx
(FOTO:http://www.tropismi.it)
FONTE:http://www.opinione.it/editoriali/2015/09/10/di-muccio_editoriale-10-09.aspx
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Come un tempo, bisognerebbe anzi tutto distinguere fra lingua parlata e scritta. L'autore dell'articolo scrive come si parla, con ridondanze e anacoluti (ed erra rozzamente nell'uso dell'interpunzione). "Medice, cura te ipsum"!
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