Di Francesca Musacchio
La sede della compagnia Eni a Tripoli è «un covo di apostati» e per questo è stata colpita. L'Isis rivendica due volte l'esplosione di un'autobomba, quasi davanti all'edificio di una joint venture della multinazionale italiana in Libia, avvenuta lunedì. Un attacco diretto al nostro paese e agli affari delle aziende italiane. Il ramo del gruppo terroristico nel paese nordafricano, attraverso due tweet legati al Califfato, mette la firma sull'attentato che non ha fatto vittime.
Il primo post, la cui autenticità non sarebbe stata accertata, è stato pubblicato a qualche ora dall'accaduto. Ieri un altro account ha rilanciato la rivendicazione, mentre circolava la notizia di un attacco armato condotto contro il Mellitah Gas processing plant a Mellitah, sempre in Libia. Un portavoce di Eni ha subito smentito la notizia dell'assalto dei «Rivoluzionari dell'area occidentale», data dal quotidiano on line Libya Herald. Nella seconda rivendicazione, invece, in cui sono ripetute alcune frasi, si inneggia ancora all'azione compiuta lunedì e si lanciano altre minacce al nostro Paese.
Quanto accaduto a Tripoli, però, getta un'ombra sulla minaccia che Isis rappresenta per gli affari italiani in Libia. Secondo quanto si legge nel post pubblicato ieri su twitter, infatti, l'attentato avvenuto davanti agli uffici dell'Eni è stato compiuto per colpire un "covo di apostati" e gli «interessi economici» di questi nel paese. Lo scopo dello Stato islamico è quello di avere il controllo della «Mezzaluna petrolifera», nel bacino di Sirte. Già a giugno gli jihadisti hanno preso Harawa, un villaggio a 70 chilometri a est di Sirte, e subito dopo la stessa città costiera. Un'estensione pericolosissima, che rende difficile ogni possibilità di stabilizzazione con la diplomazia. Ieri l'inviato speciale dell'Onu per la Libia, Bernardino Leon, ha incontrato a Istanbul i rappresentanti del Congresso nazionale generale libico, il Parlamento di Tripoli non riconosciuto dalla comunità internazionale, per discutere del proseguimento del processo di dialogo tra le fazioni libiche.
L'obiettivo è quello di portare Tripoli al tavolo delle trattative per la costituzione di un governo di unità nazionale insieme a Tobruk
L'incontro di Istanbul arriva infatti a due giorni dal nuovo round del dialogo politico previsto per domani e venerdì a Ginevra. La situazione, però, non è delle più semplici da risolvere. Il 12 luglio scorso venne firmata un'intesa dal governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk e dalle brigate islamiste «moderate» di Misurate, ma non dal General national Congress di Tripoli che si è tirato fuori dall'accordo. Lo Stato islamico, intanto, si estende e controlla già ampie zone della Libia, partecipando attivamente anche alla gestione del traffico di esseri umani. L'attentato all'Eni, spiegano fonti locali, è un chiaro avvertimento all'Italia e alla sua partecipazione nelle attività diplomatiche per la creazione di un governo di unità nazionale.
In Libia, inoltre, si trovano ancora i quattro italiani, dipendenti dell'azienda Bonatti di Parma, rapiti a fine luglio. Gino Tullicardo, Filippo Calcagno, Salvatore Failla e Fausto Piano sono stati rapiti nella zona di Mellitah, nei pressi del compound della Mellitah Oil Gas Company, di ritorno dalla Tunisia. I nostri connazionali potrebbero essere nelle mani di Ansar al Sharia, il gruppo salafita vicino all'Isis, che avrebbe operato con il supporto di «fratelli»" tunisini.
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