Di Antonio Mercurio
«La lupara bianca, silenziosa, non lascia traccia. Non dà lavoro, almeno non subito, a medici di settore, agli investigatori, alla magistratura. La gente scompare così. Da un giorno all'altro non se ne sa più nulla». Scriveva così sulle pagine de L'Ora il 13 maggio 1961 il giornalista Mauro De Mauro. Ma il suo rapimento, il 16 settembre di 45 anni fa, non è il solito caso di lupara bianca e si intreccia con alcuni dei misteri più inquietanti ma soprattutto irrisolti della storia d'Italia: la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e il tentato golpe Borghese. Giornalista di punta del quotidiano L'Ora di Palermo, da sempre in prima linea contro la mafia, la sua morte nasconde intrighi e misteri che fanno della sua scomparsa un giallo lungo oltre quattro decenni.
Nel 1970 De Mauro, infatti, è un giornalista notissimo in città , da sempre in trincea contro Cosa nostra. Un cronista scomodo, profondo conoscitore dei meccanismi della criminalità organizzata. Per primo, aveva pubblicato nel 1962, sempre su L'Ora, un verbale di polizia, risalente al '37 in cui un medico affiliato alla mafia ne svelava i misteri. Lo stesso Tommaso Buscetta, davanti ai giudiciGiovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la scomparsa del giornalista, dirà chiaramente che De Mauro era «un cadavere che camminava».
Eppure non tutti i giornalisti, per quanto scomodi, vengono uccisi della mafia. Le sentenze di morte si eseguono solo se si diventa pericolosi perché si sa troppo. E De Mauro, nel 1970, si occupa non solo della morte di Mattei, un omicidio dove Cosa nostra aveva messo sicuramente lo zampino, ma si imbatte anche nel golpe Borghese dove l'organizzazione criminale forse ha avuto qualche ruolo. Indaga e sa qualcosa perché non viene ucciso e lasciato sul marciapiede in una pozza di sangue. Viene sequestrato: qualcuno ha necessità di scoprire di cosa è a conoscenza e a chi lo ha riferito.
Per questo, alle 21.10 del 16 settembre, al ritorno dalla redazione, due uomini lo aspettano sotto casa, in via delle Magnolie. Salgono sulla sua auto e gli intimano di ripartire, non è uno scherzo, non "si babbia". De Mauro ingrana la prima e per un attimo incrocia la figlia che sta rientrando a quell'ora. Non si ferma, prosegue risoluto e di lui si perdono per sempre le tracce. I suoi familiari non si preoccupano. Pensano a un'emergenza al giornale. Ma l'indomani di De Mauro nessuno sa nulla e scompare come se non fosse mai esistito.
L'indomani, dopo il ritrovamento dell'auto, scattano le ricerche: i poliziotti e i carabinieri battono tutta la città , senza sosta, ma senza risultati. Alla disperata formulazione di ipotesi, gli investigatori frugano nel suo passato. Saltano fuori i suoi trascorsi nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese dove aveva militato per un breve periodo ma, nel frattempo, prende sempre più corpo lapista Mattei. De Mauro stava indagando sulla misteriosa morte del presidente dell'Eni, per conto del registra Francesco Rosi. L'incarico prevedeva di raccogliere quanto più materiale possibile sugli incontri, i dialoghi delle ultime giornate passate da Mattei in Sicilia.
Nessuno sa di quali elementi concreti De Mauro disponesse. In quel periodo, racconta la moglie, ascolta un nastro. Forse era alla ricerca di chi avesse manomesso l'aereo di Mattei. E un fatto del genere non può essere sfuggito alla mafia. La polizia batte questa pista. Forse in quei nastri c'era qualche elemento decisivo sulle ultime ore del presidente in Sicilia. Un mese prima al collega con cui condivide al giornale la stanza, Bruno Carbone, rivela di avere «uno scoop esclusivo». Poi le indagini si fermano, di colpo. Improvvisamente dalle battute iniziali si susseguono depistaggi, coperture, ostacoli che bloccano l'azione giudiziaria.
L'indagine sembra finita nel nulla ma nel 2001 un colpo di scena. Un pentito di mafia, Francesco Di Carlo, rivela di sapere come e dove De Mauro è stato ucciso. Secondo Di Carlo il caso Mattei non c'entra nulla e il vero movente è il golpe Borghese. De Mauro avrebbe scoperto che si stava preparando un colpo di Stato, al quale doveva partecipare attivamente anche Cosa nostra. Secondo il pentito, il cronista quella notte fu portato in una masseria nel rione di Santa Maria del Gesù. Fu torturato e interrogato per sapere a chi aveva rivelato il segreto. Poi fu strangolato e sepolto lungo il letto del fiume. Le ricerche sul luogo indicato dal pentito, tuttavia, non hanno dato alcun esito. Il processo per l'omicidio del cronista si è chiuso recentemente senza colpevoli. A quarantacinque anni dal fatto, la Cassazione ha confermato l'assoluzione per l'unico imputato, il boss Totò Riina. Ad oggi, nessun processo è riuscito a far chiarezza sulla sua scompare che rimane uno dei misteri del nostro Paese.
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