Traduzione di http://elkaprun.altervista.org/ del testo pubblicato da:
DANIEL GOLEMAN
Il: 3 Luglio 1984 per il New York Times
DANIEL GOLEMAN
Il: 3 Luglio 1984 per il New York Times
Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, gli psicoterapeuti tedeschi si sono sottoposti a un aperto e vigoroso esame delle loro professioni sotto il regime Nazista.
Nuove ricerche storiche ci hanno rivelato che, contrariamente a come si pensa, la psicoterapia non è stata eliminata sotto il regime al pari degli “Ebrei”, anzi, essa fiorì in un istituto retto dal cugino di Hermann Göring.
I libri di Freud furono tra i primi ad essere bruciati. Eppure gli psicoterapeuti tedeschi, godettero sotto il regime nazista di uno status preferenziale sconosciuto in quella nazione fino ad allora.
Una serie di articoli in Psiche, la più importante rivista tedesca psicoanalitica, ha alimentato un dibattito spesso accanito e rabbioso tra gli psicoanalisti tedeschi su questa epoca del loro passato. La questione, come si è visto anche nei colloqui esaustivi con i partecipanti e con gli studiosi e gli altri che hanno vissuto l’epoca, si concentra su i terapisti che sono rimasti in Germania durante la guerra e divennero i leader della professione negli anni che seguirono. La loro collaborazione con i nazisti, dicono i critici, è pari alla collaborazione con i loro ideali.
Nuove ricerche storiche ci hanno rivelato che, contrariamente a come si pensa, la psicoterapia non è stata eliminata sotto il regime al pari degli “Ebrei”, anzi, essa fiorì in un istituto retto dal cugino di Hermann Göring.
I libri di Freud furono tra i primi ad essere bruciati. Eppure gli psicoterapeuti tedeschi, godettero sotto il regime nazista di uno status preferenziale sconosciuto in quella nazione fino ad allora.
Una serie di articoli in Psiche, la più importante rivista tedesca psicoanalitica, ha alimentato un dibattito spesso accanito e rabbioso tra gli psicoanalisti tedeschi su questa epoca del loro passato. La questione, come si è visto anche nei colloqui esaustivi con i partecipanti e con gli studiosi e gli altri che hanno vissuto l’epoca, si concentra su i terapisti che sono rimasti in Germania durante la guerra e divennero i leader della professione negli anni che seguirono. La loro collaborazione con i nazisti, dicono i critici, è pari alla collaborazione con i loro ideali.
Il dibattito ha una speciale urgenza perché il Congresso Internazionale di Psicoanalisi, l’incontro più importante del più grande gruppo al mondo di analisti, si convocherà in Germania il prossimo anno per la prima volta in 50 anni. A causa dei ricordi amari di persecuzione e antisemitismo che quel periodo ha evocato per molti psicoanalisti, il gruppo internazionale ha fino ad ora rifiutato di incontrarsi in Germania, anche se la Germania psicoanalitica è una delle più grandi associazioni del mondo.
Molti psicoanalisti americani sentono ora che è essenziale che i loro colleghi tedeschi scendano a patti con la complicità dei terapeuti in epoca nazista, e che affrontino ogni sentimento di colpa e di vergogna che può restare. Questi sentimenti «creano una barriera che impedisce una relazione aperta tra questi sia con i propri successori più giovani, sia con i colleghi ebrei», ha dichiarato, in un’intervista, il dottor Mortimer Ostow, psicoanalista e professore presso il Jewish Theological Seminary di New York.
Gran parte della discussione e della nuova inchiesta della psicoterapia sotto Hitler è partita dal libro “Psicoterapia nel Terzo Reich” (Oxford University Press), scritto dallo storico Geoffrey Cocks. Esso non verrà pubblicato fino al prossimo gennaio, ma vari articoli hanno già fatto la loro comparsa in Psiche.
Il primo istituto di formazione psicoanalitica è stato fondato a Berlino nel 1920, e lì la disciplina fiorì. Ma Freud e la psicoanalisi divennero presto bersagli del regime nazista, costringendo molte delle sue menti migliori a fuggire.
Tuttavia, la psicoanalisi riuscì a resistere agli attacchi di propaganda, e continuò ad essere utilizzata e insegnata, anche se con qualche lieve travestimento. «Dove Freud ha lavorato,» scrive il Dr. Cocks, «Freud è stato utilizzato».
Nel 1933, gli psicoterapeuti tedeschi formarono un gruppo nazionale, scegliendo come loro capo Matthias Heinrich Göring, un cugino del maresciallo di campo Hermann Göring, il comandante della Luftwaffe, l’aviazione tedesca.
Il Dr. Göring, uno psichiatra di una piccola città, era un seguace di Alfred Adler, uno dei primi allievi di Freud, che aveva lasciato la teoria classica per iniziare la sua propria scuola di terapia. Anche se non fu un pensatore di primo piano, il dottor Göring era una figura utile alla causa psicoanalitica a causa del suo cognome.
Egli rimane una figura ambigua.
Il Dr. Göring ha, apparentemente, avuto rapporti amichevoli con gli psicoanalisti. Secondo un resoconto, la moglie, in origine un’ardente nazista, entrò in psicoanalisi e avvertì, durante le sue sessioni di terapia, i terapeuti che erano sospettati presso l’istituto. S’insinua che abbia avuto un ruolo nella fuga di Freud dalla Germania.
Il Dr. Göring può anche aver avuto un ruolo nella fuga di Freud dai nazisti a Vienna. Secondo Max Schur, medico personale di Freud, nel 1938, dopo l’annessione tedesca dell’Austria, ci fu una netta divisione tra i leader nazisti su cosa fare con gli psicoanalisti lì siti, tra cui Freud. Come il dottor Schur ha ricordato, una fazione in cui figuravano alcuni alti funzionari nazisti come Joseph Goebbels e Heinrich Himmler voleva «sbattere tutto il gruppo in carcere», mentre Hermann Göring, sotto l’influenza del cugino psichiatra, era a favore di «trattamenti più moderati».
Freud fuggì da Vienna pochi mesi dopo che i tedeschi avevano occupato la città.
Nel 1936 il Dr. Göring fondò l’Istituto tedesco per la ricerca psicologica e Psicoterapia a Berlino, che riunì tutte le scuole di terapia inclusi i pochi psicoanalisti non ebrei che erano ancora attivi. La maggior parte degli psicoanalisti ebrei aveva lasciato o stava cercando di fuggire dalla Germania.
Il centro di psicoterapia, che divenne noto come “l’Istituto Göring”, ha avuto un programma di formazione per terapeuti di varie scuole, tra cui quella freudiana. Secondo Bartens Ellen, una giornalista in pensione di Berlino, che da giovane vi lavorava come segretaria, c’erano lezioni ogni sera per i suoi studenti. I pazienti erano per lo più di classe media e in gran parte provenienti da tutta la Germania. I sintomi più comuni riportati erano la depressione, l’alcolismo, disturbi sessuali, nevrosi d’ansia e problemi sul lavoro o a scuola.
Molte delle persone trattate aveva bisogno di aiuto, a causa delle pressioni esercitate dai tedeschi per adattarsi a quella che era, in modo evidente, una società malata. Tra i pazienti presso l’Istituto, scrive il Dr. Cocks, erano compresi coloro che hanno sofferto di «silenzio forzato di fronte alla mostruosità». I membri del personale dell’Istituto furono direttamente coinvolti nello sforzo bellico in diversi modi. Alcuni assistettero il Ministero della Guerra nel preparare profili psicologici dei supposti punti deboli di nazioni nemiche, inclusi gli Stati Uniti, la Russia e la Gran Bretagna, che potrebbero essere stati utilizzati a vantaggio della propaganda tedesca.
Lo stesso dottor Göring era un ufficiale medico della Luftwaffe, il ramo militare con la quale l’Istituto aveva legami più stretti. Molti ufficiali della Luftwaffe frequentavano i seminari presso l’Istituto di terapia a breve termine per migliorare la loro gestione dei sottoposti. Su insistenza del Dr. Göring la Luftwasse creò centri di aiuto psicoterapeutico sul campo per aiutare i piloti.
Complottò per dichiarare Hitler pazzo.
Si diceva che il Dr. Göring fosse stato coinvolto nel trattamento della dipendenza da morfina del cugino. Un altro terapeuta fu coinvolto nella preoccupazione tra i gerarchi nazisti sulla salute mentale di Hitler. Questa preoccupazione non era nuova. Nel 1938 ci fu un piano, poi fallito, per dichiarare Hitler pazzo. Nel 1939, secondo il Dr. Cocks, Carl Gustav Jung ricevette una chiamata in Svizzera, in cui gli veniva richiesto di venire a Berchtesgaden per valutare la salute psichiatrica di Hitler. Non vi fu alcuna risposta.
Un ufficiale di polizia speciale del partito nazista, le SS, si sottopose al trattamento perché afflitto dal senso di colpa sia sia per il suo desiderio di ottenere razioni supplementari per i suoi genitori sia per le atrocità cui assistette durante il servizio.
Alcuni pazienti si sottoposero al trattamento perché costretti dai nazisti. La signorina Bartens ricorda un ufficiale delle SS, la cui famiglia lo mandò a essere trattato per curare l’omosessualità, un crimine nella Germania nazista. Le SS avevano minacciato di ucciderlo nel caso in cui non fosse guarito.
L’Istituto Göring prosperò sotto i nazisti, ottenendo il sostegno finanziario del regime. Nel 1941 aveva 240 membri professionisti. Oltre all’istituto principale di Berlino, aprì filiali in altre cinque città. I suoi terapeuti, secondo il Dr. Cocks, avevano un reddito notevole, sia per lavori presso l’Istituto che da studi privati.
In accordo col loro “Grande Disegno”, i nazisti sentivano che la psicoterapia avrebbe potuto trovare un ruolo nel loro grande progetto in diversi modi. Secondo il Dr. Cocks, la psicoterapia si adattava all’ideologia ufficiale, che dichiarava che gli ariani che avevano conflitti nevrotici, «attraverso la guida corretta di un’innata volontà tedesca», avrebbero potuto correggere il loro disagio mentale.
Essa aveva inoltre il potere di dar una mano ai terapisti «in modo da subordinare l’individuo alla comunità», usando le parole di uno slogan. I terapisti del Göring Institute, scrive il Dr. Cocks, di conseguenza offrivano «di prestar supporto, e in genere a breve termine, attraverso terapie volte a favorire l’integrazione di un individuo felice e produttivo nella società».
Secondo il Dr. Cocks, fuori da quest’approccio – questa necessità di un intervento opportuno verso un fine ben definito – i terapeuti tedeschi andavano presagendo le terapie a breve termine e familiari, popolari oggi. Mentre terapeuti presso l’Istituto Göring erano liberi di perseguire il loro mestiere e di godere di un vantaggio professionale senza precedenti sotto il Terzo Reich, gli altri psicoterapeuti meno fortunati, «molto spesso, dovevano fare il lavoro sporco» dichiara il dottor Cocks in un’intervista.
Gli psichiatri che hanno visto problemi mentali secondo un approccio medico, piuttosto che come un disturbo emotivo, hanno spesso avuto l’oneroso compito di individuare e sovrintendere all’esecuzione di soggetti gravemente malati e ritardati. Così come gli psicologi accademici che non erano terapeuti hanno avuto come lavoro la catalogazione dei “gloriosi” tratti degli ariani.
Gli psicoanalisti freudiani “erano coperti da una nuvola presso l’Istituto”, ricorda la signorina Bartens. Il nome di Freud non veniva mai menzionato, e i suoi libri erano tenuti in una libreria chiusa.La psicoanalisi era camuffata fino a un certo punto. Termini freudiani vennero rinominati, il complesso di Edipo, per esempio, divenne il “complesso della famiglia”. Ma molti terapeuti rimasero fedeli a Freud, e alcuni studenti terapeuti vennero formati secondo la tradizione classica.
Infatti i pazienti e gli psicoanalisti presso l’Istituto erano preoccupati allo stesso modo di essere denunciati alle autorità. Secondo il Dr. Cocks, «era consuetudine, per molti pazienti, iniziare l’ora della seduta, con la più piccola barzelletta su Hitler, come espressione di essere in collusione con l’analista sui sentimenti anti-nazisti».
Un certo numero di terapeuti presso l’istituto, secondo alcuni, mise al riparo i pazienti militari accusati di codardia o di fingersi malati, ritardando la diagnosi e il trattamento. Uno di quelli protetti in questo modo era un generale di fanteria. Un’altra sorta di protezione del personale a volte offerta a coloro che venivano accusati di tradimento era una diagnosi di instabilità mentale, che a volte scoraggiava l’azione penale, o faceva la differenza tra il carcere e l’esecuzione.
I terapeuti nazisti venivano evitati.
Come in altre professioni nella Germania del dopoguerra, i terapeuti che erano diventati nazisti e avevano supportato tale causa attivamente sono stati in gran parte evitati, dopo la guerra. Il ben noto oppositore, John Rittmeister, un freudiano presso l’Istituto che è stato giustiziato per il suo impegno contro i nazisti, è ricordato oggi come un eroe.
Il Dr. Rittmeister, che un tempo guidava l’ambulatorio dell’Istituto, era il leader di un gruppo di idealisti di giovani di sinistra che credevano che, attraverso il dialogo, si sarebbe potuta iniziare una campagna che avrebbe potuto convincere il popolo tedesco a rinunciare al nazismo. Il suo gruppo entrò a far parte di una più ampia rete anti-nazista, della quale una parte fu impegnata in attività di spionaggio per l’Unione Sovietica. Quando la Gestapo arrestò i membri del circolo, il dottor Rittmeister fu catturato, processato e giustiziato.
Negli anni del dopoguerra la saga dell’Istituto Göring sembra essere stata oggetto di un lungo silenzio nei circoli di psicoterapia, anche se dopo la guerra la psicoterapia fu gestita in gran parte da coloro che avevano lavorato o ricevuto il loro addestramento lì.
Gradi di responsabilità
Ora che si sta discutendo, la storia sembra piena di grigi piuttosto che interamente in bianco e nero. Come osserva il dottor Cocks, i terapeuti che hanno prestato servizio sotto il Reich «non avevano, generalmente, scelto tra il bene e il male, ma tra i vari livelli di responsabilità».
Un esempio calzante è quello del Dr. Carl Müller-Braunschweig, uno psicoanalista al Göring Institute.
In un articolo di Psiche, il Dr. Helmut Dahmer, uno dei redattori, lo critica severamente, come già avevano fatto altri. Le accuse contro il Dottor Müller-Braunschweig ruotano intorno a un articolo scritto nel 1933 in una rivista popolare del movimento nazista. L’articolo, scritto per un pubblico laico, difendeva la psicoanalisi dalle accuse di essere «corrotta e non tedesca», e sosteneva che«può dare un enorme contributo, può essere preziosa a servizio dell’eroica, realistica, costruttiva visione del mondo che già oggi si articola».
Il Dr. Dahmer, che cita il passo come prova che gli psicoanalisti tedeschi avrebbero collaborato con i nazisti, afferma che la frase «corrotta e non-tedesca» sta a significare ebraica, e che la «visione del mondo» che descriveva era il nazismo.
Il Dr. Müller-Braunschweig è stato una figura importante nella psicoanalisi del dopoguerra tedesco perché fondò l’istituto di formazione per gli analisti del dopoguerra.
Le accuse sono state contestate da decine di psicoanalisti, tra cui il figlio il Dr. Hans Müller-Braunschweig, egli stesso psicoanalista. Adesso che ha sessant’anni, il dottor Hans Müller-Braunschweig, scrivendo su Psiche, difende il padre come un uomo ingenuo politicamente e goffo che può esser sembrato opportunista, ma che non lo era.
Il Dr. Hans Müller-Braunschweig ha detto che anche se suo padre fu all’Istituto Göring non fu mai ben visto dai nazisti. Non gli fu mai permesso d’insegnare o scrivere a causa di una lettera di conforto che aveva scritto ad Anna Freud.
Sembra che la signorina Freud mostrò la lettera agli agenti della Gestapo, la polizia segreta tedesca, quando fu torchiata a Vienna, come prova di avere contatti influenti a Berlino. La Gestapo poi utilizzò la lettera per far declassare il Dr. Müller-Braunschweig, dichiara il figlio, che sottolinea anche che a suo padre venne offerto di aderire al partito nazista, così che gli fosse permesso di pubblicare e insegnare ancora una volta, ma che questi rifiutò.
Un’intera generazione condannata.
Ma in un articolo di prossima pubblicazione in Psiche, il Dr. Dahmer condanna l’intera generazione di terapeuti che si trovavano in Germania sotto il Reich, anche se non hanno collaborato apertamente.
Una delle più forti risposte alle accuse è del Dr. Ulrich Ehebald, psicoanalista e uno dei fondatori di Psiche, che in una lettera aperta al Dott. Dahmer lo ha accusato di essere un «McCarthy marxista.»«Se non hai vissuto gli anni del nazismo, non sei nella posizione di criticare chi l’ha fatto», ha detto il dottor Ehebald in un’intervista.
Alcuni psicoanalisti americani vorrebbero divulgare apertamente sulla questione, al congresso internazionale della prossima estate. Il Dr. Ostow del Jewish Theological Seminary di New York, che sarà in un comitato del congresso riguardante il fenomeno nazista, ha detto che sarebbe favorevole a un nuovo esame riguardo l’esperienza di psicoanalisti nella Germania nazista. Tra i motivi adotti, c’è la (sua) speranza che l’esame, possa gettare nuova luce sul modo in cui le«coscienze dei professionisti, anche quelle più rigide e dedicate alla causa, possono essere corrotte da manipolazioni politiche». Spera anche per una riapertura dei «canali di comunicazione con la comunità tedesca psicoanalitica, in funzione di mutare quelli odierni che sono quasi chiusi».
Il Dr. Martin Wangh, uno psicoanalista di New York, che ha lasciato la Germania nel 1933, ha iniziato lo studio della psicoanalisi in Italia, prima di venire in America. Egli dice di quelli che sono rimasti in Germania: «non spetta a me giudicarli».
Ma un altro eminente psicoanalista che ha trascorso del tempo in un campo di concentramento ha detto che indipendentemente dalle loro razionalizzazioni, quelli che sono rimasti e hanno aiutato erano collaboratori nazisti.
Pochi psicoterapeuti presso l’Istituto Göring erano nazisti a titolo definitivo. Qualche osservatore dice che il peggio che abbiano fatto fu il fatto che abbiano cercato di adattare le persone a una società impazzita. Ma che -come accusa- agli occhi della storia, può essere sufficiente. Il Dr Cocks afferma che qualunque siano le circostanze attenuanti, «Dobbiamo anche distinguere continuamente tra i compromessi etici e i reati veri e propri, che tutti gli psicoterapeuti impegnati con la loro presenza in misura più o meno attiva hanno dato all’attività lavorativa all’interno del Terzo Reich».
FONTE ARTICOLO ORIGINALE:http://www.nytimes.com/1984/07/03/science/psychotherapy-and-the-nazis.html
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