DI LORENZO SIMONCELLI
Un gruppo di scienziati internazionali ha scoperto una nuova specie umana, l’homo naledi, (che significa stella in sesotho una delle lingue locali in Sudafrica) in una grotta a 90 metri di profondità all’interno del Rising Star, un sito archeologico a circa 50 km da Johannesburg, patrimonio mondiale dell’Unesco e già in passato al centro di importanti scoperte antropologiche.
La specie umana scoperta sarebbe una specie ponte” tra i primi bipedi e l’homo erectus e secondo le prime ricostruzioni avrebbe sembianze umane molto primitive: un encefalo molto ridotto, simile a quello di un gorilla e un busto ancora in parte ripiegato, paragonabile a quello di una scimmia. Oltre alla sua fisionomia, snello, ma non molto alto intorno al metro e mezzo, ciò che ha impressionato gli scienziati è la struttura dei piedi, quasi identici ai nostri.
Si tratterebbe del più grosso rilevamento di ossa di ominidi mai avvenuto. L’equipe di esperti ha ritrovato circa 1500 ossa di ominidi risalenti a circa 3milioni di anni fa che apparterrebbero a 15 individui, tra loro bambini, giovani e un anziano. E molti altri fossili sono stati raccolti per procedere all’analisi. La raccolta dei reperti ossei è stata particolarmente complessa data la conformazione delle grotte del sito archeologico. Un team di sei ricercatrici molto magre sono state fatte entrare all’interno della cavità, dato il poco spazio a disposizione e attraverso un cavo ottico lungo 3,5 chilometri le operazioni di scavo sono state coordinate insieme ad un altro gruppo di scienziati rimasto, invece, in superficie.
A destare particolare sorpresa è proprio il contesto in cui sono stati ritrovati i fossili. Dalle prime ricostruzioni, infatti, la postura delle ossa e la profondità della scoperta farebbe pensare che Homo naledi seppelliva i suoi morti e la sepoltura fino ad oggi era considerata una pratica iniziata con l’uomo moderno, risalente a 200mila anni fa con l’homo sapiens.
«Una scoperta destinata a lasciare il segno sugli studi paleontologici» secondo Lee Berger, professore sull’evoluzione della specie umana alla Wits University di Johannesburg, «mai si era riusciti a ricomporre un fossile umano così nei dettagli». Per John Hawks, un ricercatore che ha preso parte alla scoperta, «la scoperta dell’homo naledi cambia le certezze sulla storia dell’evoluzione umana».
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