Imu, la tassa più odiata dagli Italiani

set 10, 2015 0 comments


Di Andrea Spiri

"Volendo aggredire l'ideologia del tassa e spendi, Renzi sembra deciso a una definitiva resa dei conti con quella parte della sinistra che lo odia e vorrebbe sbarazzarsi di lui". Bastano queste parole di Angelo Panebianco, recentemente affidate alle colonne del Corriere della Sera, per comprendere quanto la "battaglia delle tasse" finirà per avere ripercussioni sul futuro politico della sinistra italiana.







A noi, però, interessa guardare al futuro del Paese e dunque, lasciando da parte la tentazione di addentrarci nei meandri del Congresso permanente di largo del Nazareno, ciò che conta rilevare è il dato di fondo che il politologo bolognese non manca di evidenziare. Sul tema della riduzione del carico fiscale, si gioca una partita decisiva tra la visione orientata al dinamismo sociale, che trae linfa dallo sviluppo economico, e l'immobilismo derivante da quell'eterna propensione di anteporre alle ragioni della crescita lo slogan della redistribuzione del reddito, ostinandosi a credere che questo sia possibile in assenza di produzione della ricchezza. O forse, sarebbe più corretto dire, continuando a ritenere plausibile e privo di conseguenze per il futuro che ciò possa avvenire mantenendo le tasse alte ed elevati i livelli della spesa pubblica.

Tra gli argomenti che in queste settimane hanno monopolizzato l'attenzione dei cittadini-contribuenti, ha inevitabilmente trovato spazio l'annuncio-promessa del primo ministro di abolire le imposte sulla prima casa. E anche qui, tra Comuni preoccupati di perdere il gettito Imu-Tasi, proprietari di immobili speranzosi e sinistra dem sul piede di guerra perché avrebbe preferito che l'attenzione venisse spostata in primo luogo sulle tasse sul lavoro, il dibattito si è fatto assai animato. Come se non bastasse, giusto ieri il Corriere della Sera (ovvero lo stesso giornale che poche ore prima aveva ospitato l'editoriale di Panebianco sulla necessità di un'inversione di tendenza in ambito fiscale) ha dedicato all'argomento un'approfondita analisi.

Le conclusioni cui è giunto il quotidiano di via Solferino evidenziano che a beneficiare dell'abolizione delle imposte sulla prima casa sarebbero le fasce più ricche della popolazione, a tutto svantaggio dei cittadini meno abbienti e di coloro che non vivono nella casa di proprietà, che si troverebbero costretti, questi ultimi, a compensare lo sgravio alla fiscalità generale e a rimpinguare le casse dei Comuni. Dal momento che il principio della progressività è criterio fondante del sistema tributario italiano ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", recita l'articolo 53 della nostra Costituzione), affrontare il discorso in questi termini è a nostro avviso fuorviante. Proprio alla luce della progressività dell'imposizione fiscale, infatti, è ovvio che, quando si elimina una tassa, il cittadino che paga di più risparmia in proporzione maggiore rispetto al cittadino che paga di meno.

Come pure del tutto astratta si rivela la versione dell'Europa, che lamenta troppo poche imposte sugli immobili in Italia prescindendo nelle sue argomentazioni dalla realtà, ovvero da un approfondito esame del tessuto sociale e del nostro risparmio nazionale.

Quella sulla casa è la tassa più odiata dagli italiani, lo rivela puntualmente ogni indagine statistica. In Italia, casa vuol dire famiglia, vuol dire investimento, vuol dire coronare un sogno dopo una vita di sacrifici e duro lavoro. Detassare la prima abitazione (secondo il censimento Istat 2013, il 72,1% degli italiani vive in case di proprietà) significa favorire la ripresa degli investimenti nel settore immobiliare (oggi fermo su livelli deprimenti) e dunque stimolare fiducia, ricominciare a spendere, creare le condizioni perché l'attitudine ai consumi si rimetta in moto.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.loccidentale.it/node/137977

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