Di tutti i problemi che costantemente hanno preoccupato gli uomini, ve ne è uno, quello dell’origine del male, che pare esser sempre stato il più difficile da risolvere, tanto da rivelarsi un ostacolo insormontabile per la maggior parte dei filosofi e soprattutto dei teologi: Si Deus est, unde Malum? Si non est, unde Bonum? Il dilemma è effettivamente insolubile per coloro che considerano la Creazione come l’opera diretta di Dio e che, di conseguenza, sono obbligati a ritenerlo responsabile sia del Bene che del Male.
Si dirà senza dubbio che questa responsabilità è in una certa misura attenuata dalla libertà delle creature; ma se le creature possono scegliere tra il Bene ed il Male, è segno che entrambi esistono già, almeno in principio, e se esse talvolta sono piuttosto propense a decidersi per il Male invece di essere sempre portate al Bene, ciò è dovuto al fatto che sono imperfette; ma come ha potuto Dio, se è perfetto, creare esseri imperfetti?
È evidente che il perfetto non può generare l’imperfetto, perché, se così fosse, il perfetto dovrebbe contenere in se stesso l’imperfetto allo stato principiale ed allora non sarebbe più il perfetto. L’imperfetto non può dunque procedere dal perfetto per via di emanazione; potrebbe solo risultare dalla creazione ex nihilo; ma com’è possibile ammettere che qualcosa possa venire dal nulla, o, in altri termini, che possa esistere qualcosa che non abbia un principio? D’altronde, l’ammettere la creazione ex nihilo equivarrebbe ad ammettere l’annientamento finale degli esseri creati, poiché ciò che ha avuto un inizio deve anche avere una fine, e non vi sarebbe nulla di più illogico del parlare in tal caso di immortalità; del resto la creazione così intesa non è che un’assurdità, perché essa contraddice quel principio di causalità che nessun uomo ragionevole può in buona fede negare, per cui possiamo dire con Lucrezio «Ex nihilo nihil, ad nihilum nil posse reverti».
Niente può esistete che non abbia un principio; ma qual è questo principio? e non vi è in realtà un principio unico di tutte le cose? Se si considera l’Universo totale, è evidente che esso comprende tutte le cose, perché tutte le parti sono contenute nel Tutto; d’altra parte, il Tutto è propriamente illimitato, perché, se avesse un limite, ciò che è al di là di questo limite non sarebbe compreso nel Tutto, supposizione, questa, assurda. Ciò che non ha limiti può essere chiamato l’Infinito, e, comprendendo esso tutto, questo Infinito è il principio di tutte le cose. D’altronde, l’Infinito è necessariamente unico, perché due infiniti che non fossero identici si escluderebbero a vicenda; ne consegue dunque che non vi è che un Principio unico di tutte le cose, e questo Principio è la Perfezione, poiché l’Infinito può esser tale solamente se esso è perfetto.
Così la Perfezione è il Principio supremo, la Causa prima; essa contiene tutte le cose in potenza, ed essa ha prodotto ogni cosa; ma allora, poiché non v’è che un Principio unico, che ne è di tutte le opposizioni che si colgono abitualmente nell’Universo: l’Essere ed il Non-Essere, lo Spirito e la Materia, il Bene ed il Male? Ci ritroviamo così di fronte alla domanda formulata all’inizio e che ora possiamo porre in un modo più generale: come ha potuto l’Unità produrre la Dualità?
Certuni hanno creduto di dover ammettere l’esistenza di due principi distinti, opposti l’uno all’altro; ma questa ipotesi è da scartarsi per quanto abbiamo precedentemente detto. Infatti questi due principi non possono essere entrambi infiniti, perché allora si escluderebbero a vicenda o si confonderebbero; se solo uno fosse infinito, esso sarebbe il principio dell’altro; e, se entrambi fossero finiti, non sarebbero veri principi, poiché dire che il finito può esistere di per se stesso equivarrebbe a sostenere che qualcosa possa venire dal nulla: infatti tutto ciò che è finito ha un inizio, logico anche se non cronologico. In tal caso, essendo entrambi finiti, essi devono procedere da un principio comune, quest’ultimo infinito, e così siamo ricondotti a considerare un Principio unico. Del resto, molte dottrine, abitualmente ritenute «dualistiche», non lo sono che apparentemente; nel Manicheismo, così come nella religione di Zoroastro, il dualismo era una dottrina puramente exoterica che celava la vera dottrina esoterica dell’Unità: Ormuzd e Ahriman sono entrambi generati da Zervané-Akerene e dovranno fondersi in lui alla fine dei tempi.
La Dualità, nell’impossibilità di esistere di per stessa, è dunque necessariamente prodotta dall’Unità; ma in che modo può prodursi? Per comprenderlo dobbiamo anzitutto considerare la Dualità nel suo aspetto meno particolaristico, quello dell’opposizione tra l’Essere ed il Non-Essere; ma poiché l’uno e l’altro sono necessariamente contenuti nella Perfezione totale, appare subito evidente che tale opposizione non può essere che apparente. Sarebbe dunque più giusto parlare solo di distinzione; ma in cosa consiste tale distinzione? esiste in realtà indipendentemente da noi, od è semplicemente una conseguenza del nostro modo di vedere le cose?
Se per Non-Essere si intende il nulla, è inutile parlarne: infatti cosa si può dire del nulla? Non così se si considera il Non-Essere come possibilità d’Essere; l’Essere è allora la manifestazione del Non-Essere inteso in questo modo, ed è contenuto allo stato potenziale in tale Non-Essere. Il rapporto tra il Non-Essere e l’Essere è dunque il rapporto tra il non-manifestato ed il manifestato, e si può affermare che il non-manifestato è superiore al manifestato, di cui è il principio, poiché contiene in potenza tutto il manifestato ed anche ciò che non è, che non fu, né sarà mai manifestato. Nello stesso tempo, è evidente che non si può parlare qui di una distinzione reale, poiché il manifestato è contenuto in principio nel non-manifestato; tuttavia, noi non possiamo concepire direttamente il non-manifestato se non attraverso il manifestato; questa distinzione dunque esiste, ma unicamente per noi.
Se ciò vale per la Dualità colta nel suo aspetto di distinzione tra l’Essere ed il Non-Essere, a maggior ragione varrà per tutti gli altri aspetti della Dualità. A questo punto ci si accorge quanto illusoria sia la distinzione tra Spirito e Materia, sulla quale nondimeno, soprattutto nei tempi moderni, è stato costruito un così gran numero di sistemi filosofici aventi appunto tale distinzione a fondamento delle loro teorie, va da sé che se tale distinzione venisse meno, nulla più rimarrebbe di tutti questi sistemi. Inoltre possiamo notare che la Dualità non può esistere senza il Ternario: se il Principio supremo, differenziandosi, dà luogo a due elementi, i quali del resto sono distinti solo in quanto li reputiamo tali, questi due elementi ed il loro Principio comune formano un Ternario, sicché in realtà è il Ternario e non il Binario ad essere immediatamente prodotto dalla prima differenziazione dell’Unità primordiale.
Ritorniamo ora alla distinzione tra il Bene ed il Male, la quale è appunto un aspetto particolare della Dualità. Quando si oppone il Bene al Male, generalmente si fa consistere il Bene nella Perfezione. o quantomeno in una tendenza alla Perfezione, ed allora il Male non è nient’altro che l’imperfezione: ma come può l’imperfetto opporsi alla Perfezione, Abbiamo visto che la Perfezione è il principio di tutte le cose e che, d’altra parte, non può produrre l’imperfetto, donde risulta che in realtà l’imperfetto non esiste, o almeno non può esistere che come elemento costitutivo della Perfezione totale; ma allora esso non può essere realmente imperfetto, e quel che noi chiamiamo imperfezione non è che relatività. Per cui un «errore» non è che una verità relativa: tutti gli errori, infatti, devono essere contenuti nella Verità totale, poiché, diversamente, questa trovandosi limitata da qualcosa di esteriore a se stessa non sarebbe perfetta, cioè non sarebbe la Verità. Gli errori, o piuttosto le verità relative, non sono che frammenti della Verità totale; è dunque la frammentazione a produrre la relatività, per cui la si potrebbe ritenere la causa del Male, sempre che «relatività» fosse realmente sinonimo di «imperfezione»; sennonché il Male non è tale se non quando lo si distingue dal Bene.
D’altra parte, se si chiama Bene il Perfetto, il relativo non ne è realmente distinto, poiché v’è contenuto in principio; dunque, dal punto di vista universale, il Male non esiste. Esso esiste solo, se si considerano le cose sotto un aspetto frammentario ed analitico, separandole dal loro Principio comune invece di vederle sinteticamente contenute in questo Principio, che è la Perfezione. Così si crea l’imperfetto; e distinguendo il Male dal Bene, li si crea entrambi proprio con questa distinzione, poiché il Bene ed il Male sono tali solamente se messi in opposizione l’uno all’altro; inoltre, se il Male non esiste, non si può neppure parlare di Bene nel senso ordinariamente attributo a questa parola, ma solamente di Perfezione. È dunque la fatale illusione del Dualismo ad attuare il Bene ed il Male, ossia, considerando le cose da un punto di vista particolare, a sostituire la Molteplicità all’Unità, imprigionando così gli esseri su cui esercita il suo potere nel dominio della confusone e della divisione: tale dominio è l’Impero del Demiurgo.
da Rivista di Studi Tradizionali n. 33
da Rivista di Studi Tradizionali n. 33
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