1. Premessa
«Èmia ragionata e ragionevole convinzione, suffragata da fortissimi indizi, che Aldo Moro [(1916-1978)] fosse stato rapito da Brigate Rosse guidate dal KGB [(1)], convinzione divenuta certezza dopo aver raccolto presso la Procura di Budapest le prove materiali della relazione organica fra servizi sovietici e brigatisti italiani» (2). Queste parole si riferiscono a uno dei filoni del lavoro, svoltosi nel quasi totale silenzio della stampa italiana, della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il cosiddetto «dossier Mitrokhin». Presidente di questa Commissione — di cui facevano parte rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione — è stato il giornalista e senatore Paolo Guzzanti.
«Èmia ragionata e ragionevole convinzione, suffragata da fortissimi indizi, che Aldo Moro [(1916-1978)] fosse stato rapito da Brigate Rosse guidate dal KGB [(1)], convinzione divenuta certezza dopo aver raccolto presso la Procura di Budapest le prove materiali della relazione organica fra servizi sovietici e brigatisti italiani» (2). Queste parole si riferiscono a uno dei filoni del lavoro, svoltosi nel quasi totale silenzio della stampa italiana, della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il cosiddetto «dossier Mitrokhin». Presidente di questa Commissione — di cui facevano parte rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione — è stato il giornalista e senatore Paolo Guzzanti.
Quando i lavori della Commissione si conclusero, la stampa internazionale e soprattutto le televisioni dedicarono più di duemila servizi ai riscontri contenuti nella relazione finale, mentre in Italia ne parlarono solo pochi giornali.
Il fine istituzionale della Commissione era di «[…] accertare la veridicità e l’affidabilità delle notizie contenute nel dossier Mitrokhin, senza alcuna strumentalità e propaganda di parte, ma con l’obiettivo di cercare di ricostruire quello che è avvenuto in Italia in anni cruciali che hanno interessato straordinari cambiamenti politici e sociali; anni funestati da stragi, terrorismi, assassinii, ma anche anni caratterizzati da una straordinaria ripresa economica e da una grande partecipazione popolare alla vita politica del paese» (3).
Inoltre si segnalava che dal dossier Mitrokhin «[…] emerge chiaramente che il KGB era presente in Italia con contatti nella politica, nella pubblica amministrazione, nell’imprenditoria, nel giornalismo e nella Chiesa. Partendo proprio da questo ultimo dato e da quanto scritto nell’ultimo libro del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II [(1978-2005)] dal titolo “Memoria ed identità” — in cui per la prima volta parla dell’attentato alla Sua persona come “una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo” — la Commissione ha ritenuto opportuno avviare un ciclo di audizioni al fine di verificare l’eventuale ruolo svolto dal KGB e dai Servizi segreti dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia nell’attentato del 13 maggio 1981» (4)
La Commissione ha inoltre effettuato missioni in Francia e in Ungheria al fine di acquisire materiale documentale nell’ambito dell’inchiesta.
2. Mitrokhin, il suo dossier e il Sismi (5)
Ma vediamo ora di analizzare la figura di Mitrokhin e come viene alla luce il suo famoso dossier.
Vassilj Nikitich Mitrokhin nasceva nel 1922 nel distretto di Ryazan (Russia Centrale) e partecipa alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) come ufficiale dell’esercito. Nel 1944 si laurea in diritto e inizia la carriera nell’intelligence esterna sovietica. Alla fine del 1956, a seguito di sue moderate critiche riguardanti il modo in cui era stato diretto il Kgb, viene rimosso dalle operazioni all’estero. La svolta in quella che sarà presto la sua «odissea intellettuale», come lui stesso la definì, avvenne però nel 1968 a seguito della repressione della «Primavera di Praga», da cui Mitrokhin capì che il sistema comunista era ormai irreformabile. Da allora egli cominciò a maturare l’idea di compilare un archivio che documentasse le operazioni del Kgb all’estero, come tentavano di fare coraggiosi dissidenti con la stampa clandestina — il cosiddetto «samizdat», cioè «edito in proprio». Per una curiosa e fortunata coincidenza nel giugno del 1972 Mitrokhin divenne responsabile dell’archivio centrale del Kgb a Mosca e per dodici anni, cioè fino al suo pensionamento avvenuto nel 1984, riuscì a trascrivere a mano una enorme quantità di documenti top secret che poi ribatteva a macchina e riordinava nella sua dacia di campagna nei fine-settimana. Con la sua scelta, ovvero quella di trascrivere documenti segretissimi, Mitrokhin rischiò la vita assieme a quella della sua famiglia, in quanto, se fosse stato scoperto, sarebbe stato di certo fucilato senza tanti processi.
Dopo la fine, nel 1991, dell’Unione Sovietica Mitrokhin riuscì l’anno successivo a trasferire la sua documentazione fuori dal Paese. Infatti, nella notte fra il 23 e il 24 marzo 1992, proprio come in una perfetta spy story, Mitrokhin riuscì a raggiungere in treno Riga, capitale della Lettonia ormai indipendente, portando con sé una parte del suo archivio opportunamente selezionato e nascosto in una valigia: lì riuscì ad avere un incontro presso l’ambasciata britannica dopo un fallito tentativo con quella americana. I diplomatici inglesi capirono subito di avere di fronte del materiale scottante che si sarebbe rivelato una fonte di informazioni d’importanza straordinaria. Verso la fine di quell’anno autorizzarono pertanto l’ingresso in Gran Bretagna di Mitrokhin, che portò con sé, assieme alla sua famiglia, anche tutto il prezioso archivio. Mitrokhin visse così in una località segreta fino alla morte, avvenuta nel 2004.
Il prodotto del lavoro svolto da Mitrokhin era composto da quasi trecentomila schede, che vennero decodificate, tradotte e classificate da personale del servizio segreto inglese sotto l’attenta e pignola supervisione dell’archivista russo. Le schede vennero poi consegnato ai governi di ciascun Paese cui i report si riferivano: all’Italia, in un arco di tempo dal 1995 al 1999, vennero recapitate 261 schede.
Però il Sismi, il servizio segreto militare italiano, evitò accuratamente di incontrare e di ascoltare il teste «Impedian», ovvero Mitrokhin, nonostante gli fosse stata offerta questa opportunità dal servizio inglese «[…] per ottenere tutti i chiarimenti che avrebbe potuto dare sulle identità, le attività, il ruolo e l’importanza delle persone» (6).
3. La fase del terrorismo e il «caso Moro»
Come emerso da fonti ufficiali tedesche, austriache e ungheresi, nonché dai verbali dei ministri della Difesa del Patto di Varsavia, dagli anni 1950 fino alla metà degli anni 1980 il blocco sovietico aveva allestito dei piani di invasione dell’Europa occidentale.
Una osservazione molto attenta ci permette di notare fra l’altro di notare come le direttrici di invasione nel nord Italia previste dai piani sovietici coincidessero inquietantemente con le città che videro la nascita, lo sviluppo e il radicamento delle Brigate Rosse comuniste. E queste esaurirono la fase della lotta armata verso la fine degli anni 1980, proprio — e forse non è un caso — con la crisi e con la fine del comunismo in Europa.
Il piano di attacco al nostro Paese prevedeva la conquista del Nord Italia con l’impiego di circa trecentomila effettivi: eppure, nonostante l’entità di questa massa umana che sarebbe stata scatenata al nostro confine orientale, l’invasione non sarebbe stata possibile — in primo luogo l’attraversamento delle Alpi —, se a tergo delle linee italiane non si fosse organizzato un caos incontrollabile mediante l’eliminazione di centri strategici di reazione tramite assassini, sabotaggi e attentati (7).
Il delitto Moro si inserisce in questo contesto, in quanto «è un dato di fatto accertato che durante la sua prigionia furono sottratti i piani segreti della difesa da un’invasione, contenuti nella cassaforte del Ministro della difesa» (8) e in particolare i piani di quelle operazioni dietro le linee amiche, denominato «Stay behind», che avrebbe dovuto scattare come risposta all’invasione delle forze del Patto di Varsavia.
«La cattura dell’ostaggio cartaceo rappresentato dai piani militari durante il rapimento Moro è probabilmente la ragione stessa del rapimento» (9). «L’obiettivo del Gru [(10)] consisteva nell’ottenere da e tramite il presidente Aldo Moro preziose informazioni militari per scavalcare i confini italiani senza ritardi e senza perdite» (11).
Il ruolo delle Brigate Rosse si può pertanto inquadrare in questo contesto internazionale, come strumento necessario al compimento di vaste azioni di sabotaggio e di destabilizzazione in coincidenza con un’invasione sovietica. Simili paino coinvolsero anche la Francia e la Germania, che furono scosse a loro volta in quegli anni «da forme di terrorismo simili a quello italiano e tra loro strettamente collegate e correlate» (12).
Riguardo al sequestro e all’assassinio dell’onorevole Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana (Dc), c’è da notare innanzitutto il modo con il quale avvenne il sequestro: «Aldo Moro fu catturato con una vera e propria operazione di commando, l’unica messa in atto dopo la seconda guerra mondiale. Tutta la scorta fu assassinata ed era presente anche un tiratore scelto straniero che non fu mai preso e del quale non si è mai parlato» (13). Questo «tiratore scelto» viene citato nel report n. 83 del dossier Mitrokhin con il nome di Sergej Sokolov. Secondo il racconto del professor Franco Tritto, al tempo assistente universitario di Moro, Sokolov ebbe modo di frequentare i corsi tenuti da Moro all’Università di Roma. Moro, sebbene insospettito dall’atteggiamento del giovane, «[…] voleva poterlo controllare dappresso, invitandolo alle manifestazioni culturali» (14) da lui promosse. Pochi giorni dopo il sequestro dello statista, Sokolov lasciò improvvisamente l’Italia. Tre anni più tardi sarà di nuovo nel nostro Paese come parte attiva dei servizi sovietici in occasione degli sviluppi giudiziari del fallito attentato a Papa Giovanni Paolo II (15).
Inoltre, «Aldo Moro fu l’uomo che strutturò i Servizi segreti italiani e che partecipò attivamente a tutte le fasi della costruzione della difesa dell’Alleanza atlantica» (16); per di più era l’uomo che stava traghettando il Partito Comunista Italiano (Pci) nell’area di governo secondo la logica del famoso «compromesso storico», seguito allo «strappo» del segretario comunista Enrico Berlinguer (1922-1984) — ma non di tutto il Pci — nei confronti di Mosca. Berlinguer dichiarò allora, per evidenti calcoli politici, di sentirsi «più protetto dall’ombrello della NATO» (17) che non al di fuori dell’Alleanza. E tutto ciò era quindi in palese e aperto contrasto con la pianificazione di una conquista militare dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica, inclusa l’Italia del Nord.
FONTE:http://win.storiain.net/arret/num136/artic3.asp
http://www.identitanazionale.it/stco_5015.php
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