Uscire dalla trappola dell’Ego-centrismo per ritrovare la nostra vera umanità
Di Francesco Lamendola
La maggior parte degli esseri umani è imprigionata nella trappola infernale dell’Ego.
Dall’Ego ipertrofico nascono tutte le sofferenze, tutte le ingiustizie, tutte le crudeltà e tutte le più amare delusioni.
Eppure, incredibile a dirsi, pochissimi riescono a vedere la trappola dell’Ego e, anzi, si precipitano in essa con una sorta di gioioso furore autodistruttivo.
Queste persone egoiche, autocentrate, narcisiste (anche quando credono di essere altruiste), sono insaziabilmente bramose di riconoscimenti, di gratificazioni, di amore; nulla è mai abbastanza per la loro fame smisurata.
Ecco una brillante, ma temutissima capoufficio: è molto professionale, ma dura, intransigente, la sua lingua taglia come una spada; le sue sottoposte vivono nell’ansia e nel terrore; non ha mai una parola buona per nessuno, tranne per i suoi “protetti”; vuole sempre essere al centro di tutto, prendersi il merito di tutto, far vedere che, senza di lei, nulla funzionerebbe e nulla andrebbe per il verso giusto.
Una volta è venuta a sapere che le impiegate si erano trovate, la sera, a mangiare una pizza per conto loro: apriti cielo!, come mai non l’avevano invitata? Come avevano potuto escluderla in maniera tanto plateale e mostrare una così meschina ingratitudine verso di lei?
Una o due delle più sensibili, delle più inermi, vanno avanti a forza di pillole tranquillanti: le prendono al mattino come fossero confetti, per trovare la forza di affrontare un’altra giornata di lavoro sotto le grinfie di un simile superiore. Il loro livello di stress è diventato così alto, che il loro equilibrio interiore è andato irrimediabilmente in crisi, fuori centro; e perfino le loro relazioni familiari ne risentono pesantemente.
La signora in questione è sposata e ha due figlie, ma non dedica molti pensieri alla propria famiglia: il marito non è che un’ombra inconsistente, un cagnolino scodinzolante; le due ragazze non vedono l’ora di diventare maggiorenni e andarsene di casa. Dialogo con la loro madre non ne hanno mai avuto; il suo egocentrismo arriva al punto da farla ingelosire se vede dei ragazzi per casa: che cosa significa, si chiede istintivamente, forse che io sono meno bella e interessante di queste due insignificanti sciacquette?
Oppure prendiamo il pittore ***, una ex giovane promessa dell’Arte nostrana, un artista - dicono - geniale e imprevedibile, con un grande futuro, ahimè, ormai dietro le spalle.
Qualunque cosa faccia o dica, lui è sempre al centro; impossibile parlargli di qualcosa che non sia lui stesso o la sua arte ed, eventualmente, i suoi maligni detrattori, che hanno sabotato la sua carriera. Non c’è un solo gesto, una sola parola che egli non riferisca al proprio io, dal tempo atmosferico all’ultimo fatto di cronaca rosa: il mondo esiste per riflettere perennemente ed immancabilmente la sua immagine, come uno specchio.
Era sposato, ora è divorziato: la moglie, a un certo punto, non è riuscita a sopportare oltre le quotidiane maleducazioni, i rimproveri ingiustificati per le cose più piccole e, più amaro di tutto, il quotidiano disinteresse, anzi, l’autentico disprezzo che traspariva da ogni suo gesto e da ogni suo sguardo. Il figlio adolescente è rimasto con la mamma e il padre lo vede assai raramente, non lo cerca affatto e comunque, ogni volta che ne ha l’occasione, non si trattiene dal lanciarsi con lui in lunghe e velenose filippiche contro la grande Nemica assente, colei che - a suo dire - è forse la principale responsabile di tutti i suoi insuccessi e di tutte le sue delusioni.
Come si vede, il fattore “successo” è un elemento secondario per le persone egoiche: può esserci o non esserci; se c’è, è la conferma della loro eccellenza; se non c’è, vuol dire che è stato negato loro subdolamente e perfidamente, per privarle della loro giusta porzione di onori, di riconoscimenti e, naturalmente, di guadagni.
Alcune caratteristiche inconfondibili, tuttavia, accomunano le persone egoiche, siano esse di successo oppure no: l’estrema sgradevolezza nei confronti degli altri; l’assoluta incapacità di assumere un punto di vista che diverga dal proprio; la radicale indifferenza nei confronti di tutto ciò che il prossimo sente, pensa e desidera.
È come se fossero corazzate e chiuse dentro se stesse, in una fortezza inespugnabile, anzi, in un bunker sotterraneo, dall’interno del quale è impossibile capire se fuori sia autunno o primavera, se splenda il sole o se piova da chissà quanti giorni; in esso regna sempre la stessa atmosfera, soffocante e vagamente allucinata, che gli altri percepiscono immediatamente come malsana, pur se nessuno è mai riuscito a spingersi oltre la soglia.
Si tratta di una atmosfera artificiale, con qualcosa di putrescente e di lugubre, che fa venire subito alla mente, per associazione di idee, le «Serre calde» di Maurice Maeterlinck.
L’individuo egoico è murato vivo dentro se stesso: non vede più le cose che stanno all’esterno, perché tutte, dalle più grandi alle più piccole, dalle più vicine alle più lontane, gli rimandano continuamente la propria immagine, ovviamente deformata secondo la sue fantasie (per non dire le sue allucinazioni) di tipo narcisista.
Egli non si rende conto di vivere in una dimensione profondamente falsa dell’esistenza, è anzi convinto di essere più realista e concreto di chiunque altro; gli fa eternamente schermo, alla sua esatta percezione della realtà, la sua ossessione di aggrapparsi alle cose, di volerle controllare e manipolare, di piegarle alle sue aspettative e di sottometterle ai suoi desideri.
Ma che cos’è, esattamente, l’Ego?
Incominciamo col dire che non è l’Io, come si sarebbe portati a pensare in base a una semplice trasposizione lessicale dalla lingua latina a quella italiana.
L’Io, lo sappiamo, è la struttura psichica deputata a gestire i rapporti con la realtà, sia esterna che interna; e, a differenza del Sé, che rappresenta la totalità della persona rispetto all’ambiente, l’Io è la struttura che ha coscienza della propria distinzione dagli altri “io” e che, pertanto, presiede ai processi psicologici (ma non a quelli spirituali, ché quella è tutta un’altra faccenda) della consapevolezza.
L’Ego non è l’Io, ma soltanto la sua parte primitiva ed embrionale, quale si riscontra nel bambino piccolo, il quale, appunto, tende a riferire ogni cosa a se stesso e percepisce il mondo intero in funzione dei propri bisogni immediati: lui ha fame, piange, e la mamma corre per allattarlo; lui ha sonno, piange, e mani sollecite lo mettono a dormire nella culla.
Mano a mano che l’individuo diventa adulto, teoricamente dovrebbe ridurre il proprio Ego ed emanciparsi dal suo tirannico dominio; ma questo, appunto, solo teoricamente, perché, di fatto, si vede che un gran numero di persone non si libera mai dall’ipertrofia del proprio Ego, anzi, se possibile la aumenta ulteriormente, gonfiandola oltre ogni misura e poi rinchiudendosi e corazzandosi in esso, fino al punto da disumanizzarsi completamente.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=39583
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