L'uguaglianza nella differenza delle ancestrali comunità organiche
Di Murray Bookchin *
L’uguaglianza sostanziale delle comunità organiche preletterate
non era soltanto il prodotto di strutture istituzionali o di costumi
ancestrali. Faceva parte della sensibilità stessa dell’individuo, del
modo con cui percepiva le differenze, gli altri esseri umani, la vita
non umana, gli oggetti materiali, la terra e le foreste, insomma il
mondo naturale nel suo complesso.
La natura e la società, così
nettamente separate nella nostra società, e nel nostro modo di
pensare, nelle società organiche sfumavano gradualmente l'una e
nell’altra, e venivano percepite come un continuum di interazioni
ed esperienze quotidiane.
E' inutile far notare che se l'umanità non «dominava» la natura,
nemmeno la natura «dominava» l’umanità. A1 contrario, la natura
era vista come una feconda sorgente di vita, un genitore benevolo
e provvido, non un padrone «avaro» che deve essere costretto a
cedere i mezzi di sostentamento ed i segreti che cela in sé.
E' difficile capire completamente l’uguaglianza sostanziale
esistente nelle società organiche, se non si riconosce che di quella
visione egualitaria faceva parte anche la natura. Una concezione
della natura come «avara» avrebbe invece prodotto delle
comunità «avare» a loro volta, composte di esseri umani egoisti.
Tale natura non era affatto l’entità quasi senza vita che oggi è
diventata, oggetto di ricerche di laboratorio e «materia» di
manipolazione tecnica. Era costituita di animali selvaggi che,
secondo la mentalità aborigena, erano anch’essi organizzati
secondo linee di parentela come i clan umani; era costituita di
foreste, viste come luoghi capaci di offrire protezione; di forze
cosmiche come venti, piogge torrenziali, il sole ardente, la luna
benigna. La natura permeava letteralmente la comunità non solo
in quanto ambiente provvidenziale, ma soprattutto come una linfa
parentale che teneva uniti tra loro individui e generazioni.
La reciproca lealtà di parentela in forma di vincolo di sangue (un
vincolo in cui il senso del dovere nei confronti dei propri parenti
comporta la vendetta contro chi reca loro offesa) era la fonte
organica della continuità comunitaria.
Per quanto questa fonte possa essere poi divenuta fittizia,
specialmente in tempi più recenti dove la parola «parentela» è
diventata un debole surrogato dei veri legami di sangue, non c’è
ragione di dubitare della sua rilevanza al fine di stabilire il posto di
ognuno in seno alle antiche comunità umane. Era l'affiliazione in
funzione del sangue, determinata dal fatto di avere in comune sia
gli avi sia i discendenti, che stabiliva se un individuo poteva essere
accettato come parte di un gruppo, chi poteva sposare, le sue
responsabilità verso gli altri nonché quelle degli altri nei suoi
confronti, insomma l’intero assetto di diritti e doveri reciproci dei
membri di una determinata comunità.
Era grazie alla realtà biologica di questi vincoli di sangue che la
natura penetrava nelle istituzioni fonda- mentali della società
preletterata. La continuità dei vincoli di sangue era uno strumento
atto a definire, letteralmente, l’associazione sociale e la stessa
identità individuale. Che uno appartenesse o no ad un certo
gruppo e quali dovessero essere le sue relazioni con gli altri era
determinato, almeno a livello giuridico, dalla sua situazione
genealogica.
Ma c’era anche un altro fatto biologico che definiva la posizione
delle persone in seno alla comunità: l’appartenenza al sesso
maschile o femminile. A differenza dei vincoli di parentela! che
erano destinati ad attenuarsi lentamente man mano che altre
istituzioni di tipo non biologico, come lo Stato, andavano a
sostituirsi gradualmente alla genealogia e alla paternità, la
strutturazione sessuale della società è rimasta fino ad oggi, pur
subendo modificazioni a causa dell’evoluzione sociale.
Infine, c’era un elemento biologico che interveniva a definire gli
individui in quanto membri di un gruppo, l’età. Come vedremo in
seguito, i primi esempi di condizione fondata su differenze
biologiche sono stati principalmente i gruppi d’età cui
appartenevano i diversi individui, e le cerimonie che legittimavano
la posizione di ciascuno da tale punto di vista.
La parentela stabiliva il fatto fondamentale che l’individuo
aveva una certa ascendenza in comune con i membri di una certa
comunità. Definiva i diritti e le responsabilità degli appartenenti
ad un medesimo lignaggio, diritti e responsabilità da cui derivava
chi ciascuno poteva sposare in seno ad un certo gruppo
genealogico, chi doveva essere aiutato e sostenuto di fronte alle
normali necessità dell’esistenza, a chi poteva essere richiesto
aiuto nell’eventualità di questa o quella difficoltà. Il lignaggio
definiva, nel senso letterale del termine, l’individuo e il gruppo,
così come la pelle segna il limite che separa una persona
dall’altra.
Le differenze di sesso, anch’esse biologiche all’origine,
definivano il tipo di lavoro svolto da ciascuno nella comunità e il
ruolo di ciascun genitore nell’allevamento dei figli. In genere, le
donne raccoglievano il cibo e lo preparavano; gli uomini
cacciavano e svolgevano una funzione protettiva verso la
comunità nel suo complesso. Siffatti compiti fondamentalmente
diversi hanno dato anche origine alle culture di solidarietà
femminile, nelle quali le donne costituivano delle associazioni, a
volte informali a volte strutturate, con cerimonie e divinità diverse
da quelle degli uomini, che avevano una cultura propria.
Comunque, nessuna di queste differenze di genere (e
lo stesso può dirsi di quelle genealogiche) inizialmente conferiva
posizioni di comando ad un certo gruppo sessuale né obbligava un
altro all’obbedienza. Le donne avevano il pieno controllo del
mondo domestico: la casa, il focolare di famiglia, la preparazione
dei mezzi di sostentamento più immediati, come le pelli e il cibo.
Spesso, la donna costruiva il proprio riparo, se era abbastanza
piccolo, e tendeva ad avere orti propri, man mano che la società
si evolveva verso un’economia orticola.
A loro volta, gli uomini si occupavano di quelli che potremmo
chiamare gli affari «civili», cioè l’amministrazione della «politica»
comunitaria, sia pur ancora embrionale, come le relazioni tra le
diverse bande, clan, tribù, e i casi di ostilità con altre comunità.
Come vedremo, tali affari «civili» sarebbero poi divenuti assai
complicati, in seguito ai conflitti intercomunitari provocati dagli
spostamenti di popolazione. E così che in seno alle prime comunità
hanno cominciato ad emergere associazioni di guerrieri, che
finivano per specializzarsi nella caccia ad altri uomini, oltre che
agli animali. ,
Sta di fatto, ad ogni modo, che nei primi momenti dello sviluppo
sociale la cultura maschile e quella femminile erano complementari
e contribuivano insieme alla stabilità sociale, oltre che provvedere
al sostentamento della comunità nel suo insieme. Le due culture
non erano in conflitto reciproco. Non appare credibile che una
comunità umana primigenia avrebbe potuto sopravvivere se la
cultura di uno dei due generi avesse tentato di esercitare un
qualche predominio sull’altra, men che mai se si fosse messa in
posizione antagonistica. La stabilità della comunità richiedeva il
mantenimento di un equilibrio tra elementi potenzialmente ostili,
affinché la comunità stessa potesse sopravviverè in un ambiente
particolarmente precario.
Oggi, se crediamo di poter individuare, a posteriori, un ruolo di
comando degli uomini sulle donne delle comunità preletterate in
virtù del loro monopolio degli affari «civili», è perché tali affari
hanno assunto una enorme importanza presso di noi.
Dimentichiamo che le prime comunità umane erano vere società
domestiche, organizzate soprattutto intorno al lavoro delle donne,
ed erano spesso influenzate fortemente, a livello sia reale che
immaginario, dal mondo femminile.
* Murray Bookchin-Per una società ecologica,pg 39-42
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