Di Giovanni Teresi *
Adonis , Alî Ahnad Esber Sa’id, poeta arabo e saggista, nato il primo gennaio 1930 in Siria, ha vissuto a lungo in Libano dove ha completato i suoi studi, ha insegnato e ha dato vita ad uno dei più interessanti movimenti culturali del mondo arabo contemporaneo.
Sin da giovane la passione per il mito mediterraneo e l’impegno sociale hanno fortemente caratterizzato la sua opera. Adonis è un poeta impegnato, ma non militante; negli anni Cinquanta dà voce agli ideali di rinascita culturale e dagli scritti di Ğibrân Halîl Ğibrân mutua la fede nella missione innovatrice del poeta, che per lui assume un ruolo fondante nel forgiare il destino della società. Il successo della prima raccolta poetica, Qâlat al-ard (1952; La terra disse) gli vale la stima di un altro grande poeta libanese, Yûsuf al-Hâl, con il quale dà vita alla rivista Ši’ir (poesia). Il cenacolo di intellettuali che collabora alla rivista si impegna nella rifondazione della poesia araba, rifiuta la rigida metrica classica monorime e si apre ai temi e ai contenuti della poesia moderna occidentale sino ad introdurre concetti, strutture e forme linguistiche nuove. Adonis collabora attivamente alla traduzione delle opere di Thomas Stearns Eliot, di Saint -John Perse e della critica occidentale stimolando una vivace suddivisione tra poesia e critica che provoca la reazione dei più conservatori. Contribuisce in modo significativo al rinnovamento linguistico e strutturale della poesia araba, realizzando componimenti in rima libera e in prosa. L’opera che maggiormente scuote il panorama letterario èCanti di Mihyâr il damasceno (1961), dove per la prima volta compone un libro di poesia strutturato in maniera unitaria; ha un taglio metafisico ed è incentrato sui quesiti che assillano l’uomo moderno. È evidente, sin dalla scelta del suo nome d’arte, che Adonis fonde la propria formazione mistico-religiosa al simbolismo delle mitologie preislamiche. Gli eroi classici, orientali e occidentali, si alternano sul palcoscenico della vita come protagonisti di una battaglia senza limiti spazio-temporali contro la tirannide.
Adonis cerca al di là dell’apparenza superficiale delle cose e degli eventi, e vuole percepire l’universo latente al cuore delle cose. L’ “io” diviene un movimento perpetuo in direzione dell’Altro trascendente, che raggiunge solo quando va al di là di se stesso. L’Altro, nella poetica di Adonis, ha una triplice valenza: è Dio, è l’uomo nella sua essenza sacra ed è anche l’Occidente verso cui il poeta si muove per ricongiungerlo all’Oriente, che è il sé più profondo del suo essere. Egli afferma: «attraverso la conoscenza dell’Altro riconosco me stesso». Questa esperienza non è soltanto sua, ma è vissuta e condivisa da lati della sua generazione che nel colloquio con l’Altro hanno cercato la risposta agli interrogativi suscitati dall’inarrestabile sgretolarsi della realtà.
Agli inizi degli anni Sessanta partecipa al movimento letterario Temmûz, che celebra i miti di civiltà diverse. Mentre molti intellettuali rimangono affascinati dall’esperienza della Letteratura impegnata, Adonis si muove sempre con maggiore determinazione nel campo della metafisica e del surrealismo. Compone Il libro delle metamorfosi e delle migrazioni nelle regioni del giorno e della notte (1965), dove il viaggio e la metamorfosi sono i simboli dell’auspicato cambiamento interiore che secondo il poeta porta alla vera rinascita culturale. La sconfitta subita dal mondo arabo nel 1967 e la guerra civile del Libano confermano il convincimento del Poeta della necessità di dare vita ad una nuova cultura partendo da un radicale cambiamento interiore dell’essere umano. Nel 1968 pubblica La scena e gli specchi, in cui meglio descrive le molteplici immagini della scena esistenziale. I grandi cambiamenti sociali del suo tempo sono narrati metaforicamente nei Prolegomeni alla storia dei re dei piccoli regni (1970), nel quale parla dell’Andalusia del X secolo pur alludendo al presente; una critica più esplicita agli aspetti disumani dell’individualismo si trova in Una tomba per New York. Dal 1985 vive in Francia dove continua a dedicarsi intensamente alla poesia all’insegnamento e al lavoro critico. Compone diverse opere tra cui Celebrazione delle cose oscure e chiare (1988). Nel 1995 e nel 1998 pubblica i primi due volumi dell’opera al-Kitâb, che nell’intenzione dell’autore vuole rappresentare la summa della sua produzione artistica. Tra le più significative raccolte poetiche si segnalano: Qālat al-Arḍ (1952; Disse la terra), Aghānī Mihyār al-Dīmashqī, (1961; I canti di Mihyār al-Dimashqī), Qabr min ajal New York (1971; Una tomba per New York), Kitāb al-Ḥisār (1986; Il libro dell’assedio), Introduzione alla poetica araba (1992), Poesie(1993), Sijjīl (2000), Mūsīqā al-ḥūt al-azraq (2005; La musica della balena azzurra), al-Muḥīt al-aswad (2006; L’oceano nero).
Le composizioni sembrano essere un aut aut, bianco o nero, bene o male, luce o buio, ma in questo sembrareegli gioca la chance della parola che diviene guida. Mentre le macchie nere segnano l’assenza e rimandano a cose, corpi che furono, la poesia dipinta guida la danza, trasforma la traccia dell’icona, la traccia di verità scomparse in oblio e affidando alla parola poetica una nuova danza. La parola del poeta è di per sé straordinaria in quanto vede quel che normalmente non si riesce a cogliere; Adonis, per chiarire tale concetto, afferma che «il poeta percepisce la realtà con l’occhio del cuore». La poesia del Mediterraneo scandisce il ritmo di un tempo circolare dove si annullano i contrasti del tempo lineare che domina la realtà contingente. La diversità è un valore perché come afferma Adonis «il secolo futuro è un secolo meticcio oppure non è» (Nella pietra e nel vento). Così la bellezza è il frutto dell’amore, è l’incontro e la sintesi tra le diversità: questa è per i poeti del Mediterraneo la peculiarità che accomuna la poesia di questa area del mondo. Così scrive Adonis inProlegomeni alla storia dei re dei piccoli regni : «L’immaginazione è Adamo per la creazione, Alhambra è Eva per l’Architettura».
La storia affiora nel ricordo del poeta come il profumo, e la poesia si perde nella luce degli ambienti del palazzo di Granada accompagnata da una musica che fa smarrire il senso del tempo, producendo un effetto estraniante. Per Adonis questa è la sensazione che produce il passato sul presente. Per lui il ricordo dell’Andalusia islamica è evanescente come l’ebbrezza del mistico che, per cercare l’assoluto, perde ogni cognizione del presente. Ma tale condizione di ebbrezza non è solo del mistico; nella poesia europea la ritroviamo nei versi di Rimbaud, come anche in Giuseppe Ungaretti quando scrive: «Ora sono ubriaco dell’Universo» (La notte bella). Clara Janés gli fa eco e in omaggio del poeta alessandrino recita:
e gli occhi come pozze
dove è riverbero
di costellazioni (In un punto di quiete)
dove è riverbero
di costellazioni (In un punto di quiete)
Per Adonis il tempo scorre nei fiumi dell’inchiostro che legano questo mondo presente ad un passato che, al tempo stesso, ci appartiene in quanto appartiene ad altri; da quel ricordo, oggi, traiamo un’esperienza estetica per entrambi le coste pregnanti di significato. Nella memoria del secolo d’oro di Alhambra, l’altro, il nord cristiano s’incontra con la parte islamica del Mediterraneo per costruire insieme un’armonia inscindibile da un punto di vista estetico, nei refrains dialettici dei componimenti in arabo, spagnolo ed ebraico, le muwaššahât e gli zagâl, come nelle melodie musicali. Le parole che accompagnano le antiche musiche arabe di Andalusia, ancora oggi, ammaliano lo spirito di chi le ascolta e, anche se il senso del testo non è chiaro, trasmettono i sentimenti e le passioni, la nostalgia e l’abbandono. Nella cultura araba la poesia riveste da sempre un ruolo preminente tra le varie forme di espressione artistica. Adonis nella poesia dedicata a Granada riesce a fare passare universi di senso attraverso la cruna di un ago, rievocando la luce imparziale di una luna che avvolge le più diverse realtà con la stessa magia. Anche il poema di Bannîs rivela nell’erranza del sole e della propria esistenza, un bianco orizzonte che svela una ritrovata armonia tra la natura e l’uomo. La realtà ha mille aspetti e il volto dell’Oriente non è quello del mendico, così come il volto dell’Occidente non è solo quello di una macchina da guerra. Il suono della campana risveglia un mondo trasparente, dove l’abito di polvere che ricopre il poeta è un fascio di luce. È quella stessa abbagliante luce mediterranea di Ungaretti: «M’illumino d’immenso» (Mattina). La folgorante malìa della luce, per il poeta marocchino Mohamed Ahmed Bannîs, avvolge gli antichi riti pagani e libera le onde dall’esilio delle tempeste. Così le tempeste della vita spingono l’uomo a migrare, preda di un destino impietoso. La natura pervade il paesaggio poetico di Bannîs e partecipa della vita umana sino ad essere un tutt’uno con essa:
forse la luce cancellerà il resto
e la mia via sarà questo mare (Homage du vide)
e la mia via sarà questo mare (Homage du vide)
Così, volendo fare un breve excursus delle voci poetiche del Mediterraneo, il tema dell’erranza e dell’incontro pervade ogni pensiero poetico, come a voler rilevare che il deserto e questo mare costringono al cammino verso l’altro in cerca di se stessi. Il poeta turco Ozdemir in una sua poesia scrive:
Sto camminando
e con me cammina il silenzio,
con me, nelle mie cellule
un’ombra interiore (Il Cielo)
e con me cammina il silenzio,
con me, nelle mie cellule
un’ombra interiore (Il Cielo)
Le immagini create dai poeti sono tante e si avvicendano copiose evocando la ricchezza delle foreste nei versi di Clara Janés e di Ozdemir Ince. Quest’eterno paesaggio mediterraneo è in perpetuo divenire come il deserto che si trasforma nel tempo. Così lo descrive il poeta mistico Abdelwahab Meddeb nella sua lirica Désert:
Il deserto in città
La sabbia tra i denti
Le pietre in bocca
Mastica il vento (Désert, in Dedale)
La sabbia tra i denti
Le pietre in bocca
Mastica il vento (Désert, in Dedale)
La natura pulsa come una persona, come ogni atomo possiede un cuore. La poesia qui cancella la nostra cecità per poter vedere le cose in un modo diverso e per stabilire un nuovo senso nei rapporti tra l’uomo e il suo ambiente. Riempie una mancanza, il momento di riflessione più profondo nella ricerca della propria essenza. Per questa ragione la poesia araba è impregnata del tema della ricerca mistica. Il viaggio, il senso dell’infinito, il nostalgico ricordo di una bellezza sfiorita, di un paesaggio svanito nell’orizzonte della memoria sono temi antichi, cari alla tradizione di tutta la poesia mediterranea. I temi dell’infinito e della riflessione sul mistero della vita e della morte riecheggiano nei poemi dei poeti del Mediterraneo. L’arte della poesia rende immortale il dolore e riesce a far sì che procuri stupore. Per Adonis il poeta ha un ruolo profetico; nell’annunciare un mutamento verbale, anticipa un rinnovamento profondo che coinvolge tutta la società. Il viaggio, quindi, è soggetto per eccellenza di questo Mare Nostrum le cui acque da millenni sono state solcate da ricordi indelebili, miriadi di frammenti che compongono quell’unico immenso affresco che costituisce la nostra memoria. Il viaggio come ricerca di mezzi per la sussistenza, come scampo alla persecuzione, come spinta emotiva per acquisire la sapienza o per diffondere una nuova fede religiosa. Il viaggio è sempre metafora di un percorso spirituale, che, come banco di prova, dà all’essere umano l’occasione per rivelare il meglio di sé. È il viaggio spirituale che Adonis ci invita a percorrere all’interno di noi stessi. Il viaggio per incontrare l’Altro e, nello scambio, riconoscere più profondamente la propria identità, non come alternativa, ma completamento inscindibile: «Io non avrò completato me stesso se non quando avrò conosciuto l’Altro» (Nella pietra nel vento).
L’opera di Adonis, pur essendo saldamente radicata nella cultura e nella lingua araba, si è comunque evoluta verso sperimentazioni originali già prima che il poeta si trasferisse in Occidente. Il suo soggiorno a Parigi lo ha però spinto a cercare il dialogo con poeti ed intellettuali occidentali, dedicandovi molte risorse. Il poeta, nel guardare al passato, osserva che ancora adesso in Occidente e in Oriente si perpetrano ingiustizie e violenze che sovente sono frutto di incomprensioni. Per Adonis è necessario ribadire l’importanza del rispetto per la diversità e la comprensione della complessità della storia. Così, torna sempre a sottolineare nelle sue opere che «la visione che porta a distinguersi dagli Altri e ad escluderli è una trappola, giacché mai si deve negare la ricchezza del loro apporto».
In Singolare in forma di plurale (2014), non appena comincia a tratteggiare le sue tante vite instabili e i loro mondi, Adonis compie un viaggio in cui si compenetrano l’immaginario soggettivo e quello altrui, l’immaginario del mondo e del passato, con tutte le stratificazioni culturali di cui sono impregnate le diverse civiltà che si affacciano sul Mediterraneo; esse sono il frutto della stessa mano, e cioè il risultato dell’incessante opera di esseri umani che si pongono, con il proprio sforzo, al centro di questa straordinaria avventura in cui si confondono l’astrologia e la religione, la filosofia e la semiologia, il tempo del borgo e quello privato, le visioni dei veggenti e le rivolte dei contestatori, l’estasi del corpo erotizzato e l’ascesi del risveglio e della rinascita. Come nel sogno di un veggente sintonizzato sulle vibrazioni del cielo, ogni forza naturale e cosmica assume la dimensione di un personaggio umano, e con le persone si mescola, si unisce, offrendo loro la propria energia e caricandole di un coraggio sovrumano. Questo scambio di energie vitali è già sintetizzato nel titolo: ogni pluralità si concentra in un presente singolare, anzi personale, individuale. Ogni essere umano diventa per Adonis una sorta di bambino cosmico, che contiene in sé l’immensa forza esplosiva dell’universo, e lo rappresenta, lo fa vivere in una dimensione parziale e minuta, senza tuttavia perderne le potenzialità smisurate. Uno dei versi ricorrenti nella parte iniziale del libro, come una litanìa più che un ritornello, è proprio «Esci nello spazio, bambino», con la variante «Esci sulla terra». L’universo è dunque una rappresentazione scenica della vita umana, dove l’infinitamente grande diventa storia, si scioglie nelle vicende del nostro mondo fisico. Fino a incrinarsi nel nostro sussurrare il dubbio, nella violenza testimoniata dai cimiteri familiari provocati dai cappi e dal piombo del Cairo e di Baghdad, ma anche ritrovandosi nella bellezza dei corpi, che con le differenze tra uomo e donna portano incantesimi senza fine; fino a sciogliersi nel sangue del poeta, compagno dei suoi prolungamenti, rendendolo capace di percepire, come un sensibile Orfeo, che «gli alberi dormono e che ogni sasso ha orecchie che lo ascoltano».
La potenza della poesia di Adonis proviene da questo magma mitico, insieme universale e individuale. È il cuore stesso della poesia araba, anche quella più antica. Per questo resta saldamente dentro il suo mondo, anche se sa rinnovarlo:
Com’è amara e com’è dolorosa la nostalgia per la sua casa
poggiando la guancia sulla spalla della notte arreso a lei
alla sua casa silente sotto l’arco dei pini,
la notte legge le sue opere vegliando le porte e le finestre,
nessun fuoco tranne quello che crepita nel corpo libero, o ciò che divampa
sulla sua terra (oggi è buio quel passaggio verso la sua terra,
e il vento spira impetuoso da ogni parte),
com’è amara e com’è dolorosa la nostalgia
per ciò che rimane delle leggende del mio amore
com’è arduo parlare di lei, non ho fuoco
per questa carcassa
se non quello delle parole (Cento poesie d’amore)
poggiando la guancia sulla spalla della notte arreso a lei
alla sua casa silente sotto l’arco dei pini,
la notte legge le sue opere vegliando le porte e le finestre,
nessun fuoco tranne quello che crepita nel corpo libero, o ciò che divampa
sulla sua terra (oggi è buio quel passaggio verso la sua terra,
e il vento spira impetuoso da ogni parte),
com’è amara e com’è dolorosa la nostalgia
per ciò che rimane delle leggende del mio amore
com’è arduo parlare di lei, non ho fuoco
per questa carcassa
se non quello delle parole (Cento poesie d’amore)
È in Singolare in forma di plurale che si definisce la personalità di Adonis, connotata da una grande capacità di scrittura, ricchezza di linguaggio e da una profonda analisi teorica. Questo testo accoglie il lettore con uno stuolo di interrogativi a partire dal titolo enigmatico. È un’opera che dissolve i confini, e non soltanto tra il singolare e il plurale, tra il contingente e l’assoluto, ma anche tra il soggettivo e lo storico, il presente e il passato, il privato e il pubblico, l’agito e il pensato:
«Che cos’è la città se non la porta dell’amore verso l’universo? Vorremmo ritrovare una chiarità attraverso le tracce che essa lascia in alcuni savi del nostro tempo, fino al contagio, allo splendore del bene. Siamo confusi, affamati di parole che non ci tradiscano. Abbiamo estremo bisogno che tutto abbia maggiore bellezza e densità. E così partiamo dalla città, da questa comunità di gente che per caso o per destino nasce affiancata, in una stessa terra, dentro lo stesso paesaggio. Invitiamo tutti al fenomeno della presenza, ad ascoltare vere bocche e vere voci che ci parlano, qualcuno che per noi ridefinisce le sponde della pista terrestre, gli assi che ci fanno resistenti e vivaci. È nel millimetro ora che possiamo migliorare, nell’atto generoso di chi precisa un sostantivo, un aggettivo abbagliante».
Adonis chiede asilo alla filosofia, alla poesia e alla parola «in forza della sua nobiltà simbolica che è l’energia che ci costituisce e che costituisce la vera essenza dell’umanità». Senza tuttavia dimenticare il respiro, il corpo, il fare del corpo, senza dimenticare il silenzio dal quale la parola si genera e nel quale accumula la propria potenza feconda. Per questo stesso motivo, il poeta turco Fazil Hüsnü Daglarca, durante l’incontro Poesium a Istanbul, affermava: «Dobbiamo parlare sempre in termini assoluti». E sempre in quell’occasione disse anche: «credo che la poesia appaia quando le parole che la compongono scompaiono». Ed è sicuramente in questo istante di massima privazione che la verità si rende visibile in modo diffuso.
Il concetto filosofico della metamorfosi viene affrontato da Adonis nel breve testo intitolato Verso un’estetica della metamorfosi, in cui il poeta scrive:
«La metafora è fonte del perpetuo rinascere e del rinnovamento continuo di un movimento creativo che include così i contrari: l’immaginazione e la realtà, ciò che è estraneo e ciò che è familiare, il sovrannaturale e l’abituale, il manifesto e l’occulto. E aggiunge: trasformandosi e rinnovandosi gli esseri, la metamorfosi genera i mutamenti d’identità: un corpo muore affinché l’essenza del suo spirito ne integri un altro; una cosa perde il suo aspetto per riapparire sotto altre sembianze. In questo senso, è possibile che la metamorfosi contenga in se stessa l’onnipotenza della continuità segreta tra tutti gli esseri (o il principio della sua intersoggettività trascendentale), potenza che si manifesta anche nel discorso e nell’ascolto …. Descrivo la metamorfosi come un trasferimento o un viaggio. La parola viaggia tra le cose. Le cose viaggiano tra le parole. Il visibile viaggia nell’invisibile. E il senso viaggia nelle immagini».
E continua fino a giungere al concetto di verità, che «è la meta verso cui si dirige colui che viaggia, una luce che non cessa di brillare alla fine del cammino: un fine che non può mai essere raggiunto dal momento che il cammino non ha mai una fine». E ancora:
«In quest’ottica la verità in sé è metamorfosi o viaggio-ricerca senza fine in un universo infinito. L’esistenza è dunque un senso o una verità verso la quale viaggiamo attraverso la metamorfosi delle immagini. […] Il viaggio della poesia è il più ricco e il più profondo dei viaggi verso l’uomo, verso la conoscenza, la verità e la bellezza, semplicemente perché è un viaggio tra la morte e la resurrezione, un viaggio che non ha limiti tra l’immagine e il senso, tra il visibile e l’invisibile». (Il libro delle metamorfosi e delle migrazioni nelle regioni del giorno e della notte)
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Giovanni Teresi è nato il 3 novembre del 1951 a Marsala (TP). Docente di Economia aziendale e Discipline giuridiche ed economiche, ha pubblicato diversi testi di poesia e racconti in riviste nazionali e internazionali. È presente nella raccolta antologica La poesia è sogno a cura di Fulvio Castellani. Nel 2005 gli è stato conferito dall’Istituto Italiano di Cultura di Napoli il premio internazionale di Poesia e Letteratura Nuove lettere XVI Edizione per la lirica Pellegrini, edita in CLUB3 vivere in armonia Ediz. San Paolo. Nel 2006 ha pubblicato, con il contributo dell’ICI, La grande tradition des Muses. Altri suoi libri di poesie in lingua francese sono: Rêve les yeux ouverts , L’univers de l’âme, L’île enchantée par le chant de la lune. Nel 2007 ha pubblicato con il contributo della casa Editrice Maremmi Editori (FI) Il mito e la poesia e per l’editore Bastogi il saggio storico Sui moti carbonari del 1820 -’21 in Italia – Eventi ed adepti poco noti del periodo. Dal 2011 è membro d’onore dell’Association Rencontres Européennes Europoésie con sede a Parigi e Presidente della Delegazione francofona in Sicilia: Marius Scalési. Ha collaborato con la Rivista Latinitas in Civitate Vaticana. Il 12 Aprile 2013, al 2° Certamen internazionale di Poesia Latina Scevola Mariotti indetto dall’Università Pontificia Salesiana di Roma, ha vinto il primo premio con Magna Laude per le sue liriche religiose in lingua latina. È presidente del Punto Centrum Latinitatis Europae di Marsala, Associazione Culturale con sede ad Aquileia.
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