Di Vincenzo Costa
J. J. Bachofen (1815 - 1880), nato a Basilea nel secolo del positivismo spregiudicato, della storiografia esclusivamente filologico - documentale, degli stati nazionali indipendenti e sovrani, si oppose alla cultura dominante con le sue tesi al contempo mitiche e storico - spirituali, risultato di interpretazioni originali ed accattivanti che, tuttavia, mai abbandonarono la riflessione “logica” e “scientifica”.
Studioso ed ordinario di diritto romano (all'università di Berlino), anche se comunemente annoverato tra i filosofi della storia, durante la sua vita intellettuale seguì e mise a frutto il più grande insegnamento del proprio illustre maestro, F. Von Savygni: il diritto è nato e nasce continuamente dallo “spirito del popolo”, primo e vero fondamento giuridico di qualsivoglia ordinamento. A questo aggiunge che lo spirito del popolo, soprattutto nelle società preistoriche, obbedisce e venera universalmente le “Grandi Madri”.
In questa ottica, per Bachofen, il mito non fu, in nessun tempo, solo “favola”, invenzione poetica priva di ogni valore reale (o storico) ma rappresentò un concreto tentativo di comprensione e spiegazione del mondo, dei popoli e del loro spirito oltre che mezzo comunemente accettato e diffuso di trasmissione delle informazioni e dei saperi.
Bachofen non scelse mai la strada più facile o quella più scontata; indagò sempre le cause e gli effetti con animo libero e scevro da ogni pregiudizio o condizionamento da parte delle idee e delle dottrine dominanti. Forse anche per questo poté intuire e specificare la condizione di eterismo originario (che fino ad allora era stata comunemente rifiutata in quanto compromettente la nobiltà della natura umana) che, assieme alla bruta forza fisica, dovette dominare quell'era primigenia della civilizzazione umana conosciuta come “stato di natura”.
Allo stesso modo intuì che questo stato di cose fu rovesciato dalle donne, e specialmente dalle madri, che, in nome di una più alta legge morale, opposero a volte l'eroismo guerriero ed a volte quella «profonda e presaga coscienza di dio», ovvero, un'intercessione squisitamente religiosa offertagli dalla comprensione dei misteri della natura e dal loro essere principio e fine di ogni esistenza («striscia verso la terra, tua madre» esclama il poeta vedico durante il rito funebre).
Ecco perché, da un lato la novità del metodo, dall'altro la provocatorietà - originalità delle tesi, gli valsero l'isolamento, le critiche e l'affossamento da parte dei suoi contemporanei ma anche il plauso e l'interesse di tutti gli studiosi successivi (maschilisti o femministe radicali, reazionari o rivoluzionari, di estrema destra o di estrema sinistra) in molte branche del “sapere” (dalla storiografia alla filosofia della storia e del diritto, dalla sociologia all'etnologia fino ai campi della fenomenologia religiosa e della psicoanalisi).
Bachofen rispettò le civiltà antiche e se ne sentì figlio, anche se la vera grandezza non la tributò alla Roma antica ed imperiale né alla Grecia classica (pur considerate vertici del progresso, sociale e spirituale, umano) ma alle stirpi che per esse costituirono i modelli primi (Locri, Carii, Lici, Pelasgi, antico Egitto ecc.). Le civiltà classiche furono soltanto il capolinea di un lungo e difficile cammino (iniziato diversi millenni prima dell'impero romano), di un viaggio a tratti mitico e dall'esito sempre incerto durante il quale l'uomo affrontò (e possiamo dire superò) i più grandi problemi del suo esistere (la natura, la legge ed il giusto, la religione e la morale, la sopravvivenza e la morte).
Durante un arco di tempo così vasto, spesso cambiarono totalmente le regole unificanti che stavano alla base del vivere comune; l'abuso di un principio divenne allora «leva di progresso per il trionfo del principio opposto». Così come, nello stato di natura, l'esasperazione della «nuda forza» aveva portato alla reazione amazzonica o a quella religiosa (la ginecocrazia demetricamente ordinata), allo stesso modo l'abuso di queste ultime portò, secondo Bachofen, alla reazione dei padri nella famiglia e nello stato.
Tutto questo, oltre che essere perfettamente visibile in miti e simboli consolidati nell'antica epoca, costituisce anche lo sfondo delle culture classiche e delle civiltà cosiddette storiche. Non a caso, il passaggio dal matriarcato al patriarcato ci è stato tramandato, nella sua forma più intensa e sensibile, da Eschilo, nella trilogia dell' Orestea , dove il protagonista, per vendicare il padre Agamennone, uccide la madre Clitennestra.
Secondo il diritto antico, questo delitto era in espiabile ed il reo sarebbe stato perseguitato dalle erinni fino alla pazzia ed alla relativa morte.
In sua difesa, però, si fionda l'Apollo iperboreo (garante della potenza, della giustizia e della sovranità di Zeus - padre), il quale, complice anche l'appoggio di Atena (figlia di Zeus e priva di madre, designata giudice del pubblico processo) lo accompagna all'assoluzione e lo investe della dignità e della missione di innalzare l'umanità oltre i vincoli del tellurismo più profondo, della generazione puramente materiale e della giustizia come « motus duplice ed opposto» che di assassinio in assassinio, di vendetta in vendetta, non si conclude se non con l'estinzione della stirpe.
L'antico diritto tramonta ed alla sovranità della madre subentra quella del padre, ai vincoli della materia l'evoluzione spirituale, «alla conformità (nell'uguaglianza universale) alla legge l'individualismo con cui l'elleno vuole creare da sé il proprio mondo di cose».
Dalle tesi di Bachofen emerge, quindi, una storia simbolica dell'umanità che non trascura nessun avvenimento; per quanto difficoltosa o poco edificante, ogni traccia del vissuto umano diviene un tassello coerente e preciso che, oltre a spiegare l'uomo quale fu, illumina le nostre menti sull'uomo quale oggi è. Quest'evoluzione, però, lungi dall'essere stata unidirezionale od obbligata, fu discutibile e sempre incerta, lontana dall'idea di progresso quale la si intese dopo le teorie Darwiniane tanto che, sempre più spesso, «il cambiamento si ebbe grazie a radicali sconvolgimenti più che a graduali mutamenti»; una storia simbolica universale in cui le rivoluzioni divengono motore di progresso della condizione sociale (oltre che del suo spirito) e non per forza oscuri periodi di imbarbarimento dell'esistenza o di regresso tecnologico e morale.
In ogni caso vi è la certezza che, l'intero impianto bachofeniano insiste sulla definizione che, in ultima analisi, riusciamo a dare e siamo disposti ad accettare circa i concetti di storia e mito, soprattutto nel loro reciproco incontro e scontro nella vita dell'uomo.
La storia, nel senso più ampio e comprensivo del termine, potrebbe consistere nel lungo e difficile cammino che l'uomo ha compiuto dagli albori della sua esistenza sulla terra fino a pochi istanti prima dell'istante attuale.
Inoltre, una definizione quanto più possibile onnicomprensiva non dovrebbe sopportare, parimenti, alcuna restrizione in merito alla sostanza: della storia dell'umanità dovrebbero far parte non solo le azioni “finalizzate” di un uomo sempre proteso a nuovi orizzonti ma anche ciò che possiamo definire le “azioni del pensiero”, dello spirito e delle pulsioni che a tali gesta lo hanno condotto.
In questa prospettiva, il mito altro non è che strumento letterario della coscienza dell'uomo, guida perenne nell'agire e patire verso un domani migliore, utile a rendere eternamente tramandabile l'insieme delle sostanze che hanno composto il corso della storia universale della specie umana.
Certo che, dai primi miti tramandati oralmente, alle codificazioni scritte dei poeti classici, fino alle teogonie coerenti e razionali, tante sono state le manipolazioni, le distorsioni e gli arrangiamenti ma solo questo non può bastare per “gettare” l'intero suo contenuto nel “bidone delle favole per bambini”. Se così fosse, la stessa sorte dovrebbe toccare alla storiografia, in quanto, da sempre, la storia è stata scritta dal vincitore, dal più forte, modificata, arricchita o deprecata secondo interessi particolari o momentanei e per questo non potrebbe essere, da tutti, assunta (e in realtà non lo è mai stata) come postulato matematico, pur rimanendo, senza problemi, saldamente ancorata ai rami della “scienza moderna”.
Ecco perché, affermava Bachofen: «la tradizione mitica contiene la fedele espressione della legge di vita di un'epoca dalla quale prese le mosse lo sviluppo storico del mondo antico…è una manifestazione della mentalità delle origini…è una rivelazione diretta che mantiene una fonte storica di grande attendibilità ». E ancora: «l'uomo mitico non visse mai senza storia così come l'uomo storico non vive completamente senza miti».
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