Il Tao della fisica

lug 1, 2015 0 comments


Di Giambo

Non do titolo a questa recensione. Per un motivo preciso. Il titolo sintetizza, attrae, colpisce; il titolo sottende un’operazione giornalistica, dà un taglio all’intero pezzo, cattura e a volte, addirittura, innervosisce. Il titolo è una copertina e, se non ruba l’occhio, ha fallito. Il titolo è quel “click” che deve scattare tra lettore e scrittore, sostituisce la sensazione a pelle ed è, in fin dei conti, il primo strumento di selezione a disposizione dell’utente che, volente o nolente, dovrà in qualche modo difendersi dall’overdose mediatica a cui è costantemente sottoposto. Beh, questa recensione non necessita di un titolo. Perché? Perché non deve rubare alcunché, non deve conquistare, non deve colpire. Quando leggo un bel libro, mi viene voglia di recensirlo, perché sono invaso dal desiderio di comunicare quello che ho provato, è un modo, quasi, per appropriarmi di quel testo. Analogamente, ma più di rado, la medesima sensazione, rovesciata, mi capita anche con i libri mediocri. La recensione diviene allora liberazione. È una dinamica morbosa, forse, ma allo stesso tempo insostituibile fertilizzante delle mie attività critiche. 
Con Il Tao della fisica nessun formicolio creativo mi è giunto in aiuto. E non certo perché il saggio non mi abbia colpito. Si tratta di un’opera straordinaria, nel suo genere forse unica. Credo, piuttosto, che ad un testo del genere ci si debba arrivare per passione o per ricerca e non per curiosità. D’altronde non lo scopro certo io questo gioiello pubblicato nel 1975 e giunto sotto i miei occhi addirittura alla sedicesima edizione dell’Adelphi. È un libro difficile, difficilissimo per chi come me è privo di una preparazione scientifica sufficiente. Eppure lo ho divorato, faticando, con piacere, dietro alle più elaborate teorie della fisica moderna. Da catalizzatore e propellente, senza dubbio, ha agito la personale passione per il misticismo orientale di cui l’autore è sapiente cultore.
Proprio questa l’audace intuizione del fisico americano: l’occidente con il progresso, il tecnicismo e la ricerca razionale, l’oriente con il misticismo e lo scandaglio della coscienza umana sono giunti alle medesime rivelazioni, esistono analogie innegabili tra le scoperte scientifiche del ventesimo secolo e i più celebri insegnamenti orientali quali buddhismo, induismo e taoismo. Delle similitudini tanto forti che è a volte impossibile riconoscere se una frase sia stata pronunciata da un mistico o da uno scienziato. Questi due stralci sul limite intrinseco del linguaggio sono impressionanti, l’uno si rivolge alla fisica subatomica, l’altro all’illuminazione:
“I problemi del linguaggio sono qui veramente gravi. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli atomi…Ma non possiamo parlare degli atomi servendoci del linguaggio ordinario” W. Heisenberg
La contraddizione, che tanto sconcerta il modo di pensare ordinario, deriva dal fatto che dobbiamo utilizzare il linguaggio per comunicare la nostra esperienza interiore, la quale per sua stessa natura trascende la possibilità della lingua” D. T. Suzuki.
Sembra impossibile assimilare mondi storicamente tanto antitetici. Da una parte la ragione, il calcolo, il progresso tecnologico; dall’altro, l’intuizione, il silenzio, la meditazione. E pure quello che Capra coglie è proprio una congiunzione tra opposti, un ponte strabiliante tra due mondi tanto, apparentemente, diversi, espressione entrambi dell’evoluzione millenaria di due modi differenti di intendere la vita.
Lo studio delle particelle subatomiche ha portato la scienza ad una serie di controsensi che il misticismo orientale da anni esprime con frasi e simboli apparentemente, appunto, privi di senso.Restare tanto generici facilita la comprensione d’insieme ma non rende adeguato lustro all’importanza ed al fascino del messaggio di Capra. Possiamo dividere la storia della fisica moderna in due grandi periodi: la fisica classica meccanicistica: Newton; la fisica moderna quantistica e relativistica: Einstein.
La fisica classica ha orientato il pensiero finanche filosofico per più di tre secoli. Secondo questa concezione esistevano degli elementi primi, materiali, che si muovevano nel tempo e nello spazio, entrambi assoluti. Era un modello del tutto uguale a quello degli atomisti greci da Democrito in poi. In aggiunta c’era il concetto di gravità, cioè la reciproca attrazione tra corpi dotati di massa. Le equazioni così create sul moto dei corpi sono diventate la base della meccanica classica;esse furono considerate le leggi immutabili secondo i quali si muovevano i punti materiali e si pensò dunque che potessero spiegare tutti i mutamenti osservati nel mondo fisico. Queste leggi furono applicate con successo all’astronomia, poi al moto continuo dei fluidi e alla vibrazione dei corpi elastici, infine al calore. Nell’Ottocento si era così giunti alla conclusione che le leggi newtoniane definissero la teoria assoluta dei fenomeni naturali. L’universo intero come un enorme orologio meccanico rispondeva alle medesime leggi “oggettive”. Poi accadde qualcosa che fece traballare questo edificio monumentale, accadde prima di Einstein: Michael Faraday, muovendo una calamita vicino ad una bobina di rame, portò la scienza ad una svolta: l’elettromagnetismo e l’elettrodinamica. Insieme a Clerk Maxwell si spinse con successo oltre le colonne della fisica newtoniana. Al concetto di forza si sostituisce quello di campo. Ma la soggezione impedì a queste teorie di prendere il giusto spazio, lo stesso Maxwell cercò di dare una spiegazione meccanicistica alle sue scoperte.
Bisognerà aspettare Albert Einstein per la rivoluzione. Nei primi trent’anni del Novecento furono ribaltate tutte le certezze della fisica classica. Nel 1905, con due articoli sensazionalisti, il giovane Einstein picconava la fisica alle sue radici: demoliti i concetti di spazio e tempo assoluti, quello di particelle solide elementari e l’ideale di una descrizione oggettiva della natura.
Il primo articolo dava il via alla teoria della relatività, il secondo avviava l’immensa ricerca sulla fisica quantistica. La concezione meccanicistica resta valida per la zona “delle medie dimensioni” cioè nella nostra realtà quotidiana. Ogni volta, però, che indaghiamo sull’infinitamente grande o piccolo, in cosmologia o in fisica atomica, le leggi newtoniane perdono di valore. La forza di gravità, infatti, spiega Einstein, ha l’effetto di curvare lo spazio ed il tempo. Questo non è riproducibile attraverso la geometria euclidea esattamente come un quadrato non può essere riprodotto su una sfera. Un pianeta curva lo spazio circostante in modo proporzionale alla massa del proprio corpo. Modificando lo spazio modifica inevitabilmente anche il tempo, le due entità prima assolute ed indipendenti diventano ora coincidenti e relative: «L’intera struttura dello spazio-tempo dipende dalla distribuzione della materia nell’universo e il concetto di "spazio vuoto" perde di significato».    

Ma passiamo all’atomo nello specifico. Se un’arancia raggiungesse le dimensioni della terra, i suoi atomi sarebbero grandi come ciliegie. Il nucleo che sta all’interno dell’atomo è a sua volta così microscopico che per portarlo al livello di un granello di sale dovremmo ingrandire la ciliegia-atomo fino alle dimensioni della cupola di San Pietro. Intorno al nucleo gravitano gli elettroni, al suo interno invece troviamo protoni e neutroni. I rapporti tra questi diversi costituenti portavano i fisici ad incredibili ed inspiegabili paradossi. Tutto ciò che valeva per la “dimensione media” perdeva di significato. Si entrava nel mondo della contraddizione, dell’irrazionale. Il concetto di particella e di onda, nella fisica subatomica, finisce per coincidere. Proprio così: a seconda del metodo di osservazione le unità subatomiche ci appaiono ora come particelle, ora come onde elettromagnetiche. <La materia non si trova con certezza in luoghi ben precisi, ma mostra piuttosto una “tendenza a trovarsi” in un determinato luogo>. Per onde si intende così non le onde tridimensionali della fisica quantistica bensì delle “onde di probabilità”. Con i quanti, scopriamo che non esiste un “mattone fondamentale” della materia ma tutto è il risultato di combinazioni energetiche. Ogni cosa interagisce con l’altra in una complessa rete di interazioni cosmiche. Nella fisica moderna l’universo ci appare come un tutto dinamico, inseparabile, che non può mai prescindere dall’osservatore che ne è parte integrante.

Queste incredibili rivelazioni comportano delle similitudini rivelatrici con l’insegnamento Induista, Buddhista, Taoista e Zen. L’unità di tutte le cose è il fondamento insostituibile di queste scuole di pensiero. Capra insiste in particolare sul Tao, la Via della Saggezza Cinese risalente al VI secolo A.C. Il Tao diffida dalla conoscenza e dal ragionamento, perché l’intelletto umano non può mai penetrare a pieno la realtà. Per i Taoisti tutti i mutamenti in natura sono manifestazioni dell’interazione dinamica tra opposti (yin e yang). Storicamente, la mescolanza dell’insegnamento Taoista a quello Buddhista diede vita, nel Giappone del tredicesimo secolo d.C., allo Zen, “la disciplina dell’illuminazione”, di natura squisitamente pratica, fondata sul rifiuto di ogni concettualizzazione.

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