Di David Lifoli
Ni vivos ni muertos, il libro del giornalista Federico Mastrogiovanni dedicato al dramma delle sparizioni forzate in Messico, è una cronaca dall’inferno, quello delle decine di migliaia di desaparecidos in democrazia sacrificati sull’altare del profitto a tutti i costi.
Le vittime dell’olocausto di questo paese, le cui istituzioni si ostinano a presentare come locomotrice dell’economia centroamericana e non solo, sono donne, attivisti sociali, migranti, ma anche persone che più semplicemente si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Al tempo stesso, Ni vivos ni muertos racconta la dignità delle madres e dei familiari dei desaparecidos che tutti i giorni lottano per avere notizie dei loro figli, derise dai palazzi del potere e minacciate di morte dalle bande che si sono spartite il Messico per controllare le piazze dello spaccio della droga al servizio delle stesse istituzioni e di quelle multinazionali a cui commissionano il lavoro sporco. Ad esempio, gli stati di Nuevo León, Coahuila e Tamaulipas sono noti per la ricchezza di gas shale del loro territorio, dominato dal cartello dei Los Zetas, un gruppo paramilitare composto non solo da criminali comuni, ma anche da ex militari provenienti dalla Brigada de Fucileros Paracaidistas e dalle forze speciali dell’esercito messicano: ci vuole poco a capire il motivo per cui lo Stato si è guardato bene dal lasciare i narcos liberi di governare questo territorio. Federico Mastrogiovanni ha percorso il Messico, si è sporcato le mani e talvolta ha messo a repentaglio anche la sua sicurezza per raccontare l’orrore di un paese dove la vita non ha più alcun valore. Il dittatore argentino Videla sosteneva che “un desaparecido, finché è tale, non può essere trattato in nessun modo particolare. È un’incognita, è un desaparecido. Non ha entità. Non c’è. Né morto né vivo, è desaparecido”. Oggi lo stato messicano adotta la stessa tattica di Videla nella speranza, forse, di cancellare le sparizioni forzate e relegarle all’oblio. E invece il Messico sociale non smette di resistere, a fatica, barcollando, ma non molla. “Vivi li hanno presi, vivi li rivogliamo” è il grido disperato dei familiari degli studenti della scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, uccisi da narcos e polizia lo scorso 26 settembre 2014 per poi essere bruciati e forse dispersi nella discarica di Cocula. Lo Stato intende terrorizzare tutti coloro che esigono giustizia per i familiari vittime di sparizione forzata attraverso un sistema subdolo appoggiato ed alimentato dalla stampa mainstream: “Se sono scomparsi, evidentemente qualcosa avranno fatto”, è il leit-motiv che si cerca di accreditare. E invece, annota Jaime Avilés nel prologo, nessuno evidenzia che dietro alle sparizioni forzate si celano anche l’ex presidente messicano Felipe Calderón e l’attuale inquilino di Los Pinos Enrique Peña Nieto: il primo ha portato in Messico il generale colombiano Oscar Naranjo Trujillo, il secondo lo ha nominato suo consulente personale. Oscar Naranjo Trujillo non è una persona qualsiasi, ma l’ex capo della polizia colombiana sotto la democratura di Álvaro Uribe e inventore dei falsos positivos, i civili uccisi dall’esercito e poi travestiti da guerriglieri caduti in combattimento per legittimare l’efficacia dei militari e di Palacio Nariño contro la guerriglia delle Farc e dell’Eln. Oscar Naranjo Trujillo, non appena arrivato in Messico, si è subito adoperato per creare bande paramilitari dedicate a svolgere un’opera di limpieza social certosina quanto inquietante. Federico Mastrogiovanni ha il merito di scavare dietro ad ogni storia di sparizione forzata, racconta il limbo delle casas de seguridad, i luoghi dove sono tenute le vittime dei sequestri e in cui lo stato di diritto è sospeso, come del resto in buona parte dei commissariati dell’intero paese. Ni vivos ni muertos non si limita, però, solo a svolgere il ruolo di una macabra contabilità dell’orrore. Nonostante tutto, le storie di dignità e speranza non mancano. E allora, oltre alle violenze di polizia e cartelli della droga (da quello di Sinaloa ai Caballeros Templarios, passando per la Familia Michoacana e i Guerreros Unidos) e alla loro collusione con il potere, grazie a Federico conosciamo il Messico resistente, quello che negli anni Settanta si era ribellato seguendo le orme di Lucio Cabañas e del suo Partido de los Pobres, a cui si sono ispirate le scuole normali ben raccontate da Omar García, uno dei normalistas sopravvissuti al massacro di Iguala, che racconta come l’obiettivo delle Normales Rurales sia quello di alfabetizzare ed educare i contadini e non farsi abbindolare dai governi di turno: “In Guerrero si sta distruggendo la natura, perché ci sono grandi progetti dell’industria mineraria e alle imprese non gliene frega un cazzo che le comunità si ammalino di cancro per l’inquinamento che producono, dei veleni che spargono o dell’acqua che tolgono ai villaggi dei quali si appropriano, delle foreste che distruggono, delle terre che sottraggono ai contadini o delle campagne a favore di concimi e pesticidi inquinanti con le quali li truffano”. E ancora, i sacerdoti Raúl Vera e Alejandro Solalinde, nonostante le molteplici intimidazioni, raccontano il loro impegno per accogliere i migranti centroamericani in transito verso gli Stati Uniti a cavallo della “Bestia” (il treno merci che attraversa il paese ed utilizzato dagli indocumentadosnonostante il viaggio sia molto pericoloso) e sottrarli ai narcotrafficanti che li vogliono utilizzare come carne da macello per i loro scopi, così come l’organizzazione non governativa Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Cohauila, fondata da madri e padri dei desaparecidos, si batte contro le sparizioni forzate.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.peacelink.it/latina/a/41817.html
Ni vivos ni muertos. La sparizione forzata in Messico come strategia del terrore
di Federico Mastrogiovanni
Pagine 174
DeriveApprodi, 2015, Roma
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