Di Andrea Ansaloni
Era il 26 dicembre 2003: pochi mesi dopo all’occupazione di via Napoleone III ne seguiranno altre in quella che il sito della sinistra estrema Indymedia.org chiamerà allarmato «la nera estate romana». Il 10 luglio 2004 viene occupato uno stabile in via Lima, vi entrano 23 famiglie di disoccupati, disabili, anziani e immigrati del Corno d’Africa, nasce così, nel cuore della ‘Roma bene’, ‘CasaItalia Parioli’. Il 17 luglio 10 famiglie danno vita a ‘CasaItalia Boccea’, nella palazzina che ospitò il consolato iracheno.
Il 14 agosto 18 famiglie con invalidi e bambini occupano una palazzina che diventerà ‘CasaItalia Torrino’. Tutta gente in cima alle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari, ma a cui l’alloggio non arriva mai. Nasce il coordinamento ‘Case d’Italia’.
Il simbolo di Casa Pound è una tartaruga stilizzata, che ricorda molto i tatuaggi tribali che si vedono in giro, cioè casa e movimento.
Il simbolo di Casa Pound è una tartaruga stilizzata, che ricorda molto i tatuaggi tribali che si vedono in giro, cioè casa e movimento.
Casa in movimento. Segno che a destra molto è cambiato. Il fascismo delle origini, quello di sinistra, movimentista e trasgressivo, l’estetica futurista e dannunziana dell’azione, il poeta dei ‘Cantos’ anti-usura Ezra Pound che preferì Mussolini a Jefferson, e poi Kerouac, Pasolini, Fante, Bukowsky, Jeremy Rifkin, i no-global Sem Terra brasiliani e José Bové, l’anarca descritto da Ernst Junger, il Muay Thai (la boxe tailandese), il ‘dà je camòn rock’ degli Zetazeroalfa, Guy Montag protagonista del romanzo di Ray Bradbury ‘Farenheit 451′, Capitan Harlock e Corto Maltese, lo street fighter/insurrezionalista Tyler Durden diventato mito dei giovani di destra grazie al libro di Chuck Palaniuk e al film di David Fincher ‘Fight club’, Mr. Tuttle il tecnoribelle del film ‘Brazil’, le lucide utopie negative di Orwell, Ballard e Huxley: eroi, miti, simboli e suggestioni che popolano l’immaginario dei nuovi avanguardisti sono difficili da tracciare. Un mood che si diffonde come un virus tra i giovani della capitale, nelle curve degli stadi come nei quartieri di periferia. «Il fascismo non è più neo, né post – spiega Angelo Mellone autore di Dì qualcosa di destra – ma ‘pop': popular. Mentre nella classe politica si continuava a dividersi tra fascisti e antifascisti, la società è andata avanti». «Oggi dirsi fascista – lamentava pochi mesi fa il Manifesto – fa quasi tendenza».
IL RIGHT ROCK DEGLI ZETAZEROALFA
Tutto ruota attorno a un pub, il Cutty Sark, storico luogo di ritrovo della destra radicale romana. Sono ex militanti del Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore e dei tanti gruppi extraparlamentari da Meridiano Zero a Movimento Politico. Cani sciolti ormai, che danno vita alla Comunità Farenheit 451.
E a Guy Montag, l’eroe del romanzo di Bradbury, il pompiere che salva i libri dai roghi imposti dal potere catodico, sarà dedicata la prima occupazione di questi ‘strani fascisti’, il centro sociale di destra ‘Casa Montag’, appunto. Attorno al Cutty Sark nascono anche il Dogo Clan Muay Thai Roma, palestra e squadra agonistica di Thai boxe, la libreria Testa di Ferro, il club di motociclisti ‘Fratelli Omunghus’, la rivista Occidentale e soprattutto il gruppo rock Zetazeroalfa.
«Siamo quelli che nel bene o nel male, ma sempre col cuore. Quelli genericamente alterati che non puoi più alterare geneticamente», cantano gli Zetazeroalfa. Un gruppo musicale, «ma anche uno stile di vita, uno stile per distinguerci dalla folla», spiega Gianluca Iannone, il cantante,sposato, una figlia in arrivo. Magari con una delle magliette che vanno a ruba, oggi introvabili. Un logo no-logo. «Zetazeroalfa non è un prodotto commerciale – si legge nel cartellino che accompagna i capi d’abbigliamento col marchio del gruppo – indossare questa maglia significa incarnare il messaggio e il simbolo che rappresenta. Sii degno e pronto a difendere le tue scelte. Sempre». Su maglie e felpe, scritte che sono un misto di goliardia e denuncia sociale: «Sorridi qualcuno ti sta spiando», «Morirai una rata alla volta», «Picchia il vip», «Nel dubbio mena», «Accademia della sassaiola». E, ovvio, «Una nera estate romana».
«Siamo quelli che nel bene o nel male, ma sempre col cuore. Quelli genericamente alterati che non puoi più alterare geneticamente», cantano gli Zetazeroalfa. Un gruppo musicale, «ma anche uno stile di vita, uno stile per distinguerci dalla folla», spiega Gianluca Iannone, il cantante,sposato, una figlia in arrivo. Magari con una delle magliette che vanno a ruba, oggi introvabili. Un logo no-logo. «Zetazeroalfa non è un prodotto commerciale – si legge nel cartellino che accompagna i capi d’abbigliamento col marchio del gruppo – indossare questa maglia significa incarnare il messaggio e il simbolo che rappresenta. Sii degno e pronto a difendere le tue scelte. Sempre». Su maglie e felpe, scritte che sono un misto di goliardia e denuncia sociale: «Sorridi qualcuno ti sta spiando», «Morirai una rata alla volta», «Picchia il vip», «Nel dubbio mena», «Accademia della sassaiola». E, ovvio, «Una nera estate romana».
Il gruppo nasce nel 1997 e avvia una strepitosa operazione di homemade marketing: 15 mila adesivi con il nome del gruppo aggrediscono lampioni, semafori, cartelli stradali, locandine dei cinema. Zetazeroalfa. Niente più. «La gente iniziava a chiedersi ‘che sarà mai?’», racconta Nico, chitarra del gruppo. «Poi sono arrivati i manifesti: folle di volti dagli occhi vuoti, un sorriso seriale e un codice a barre stampato in fronte». «Squadrismo mediatico», lo chiamano loro. Spiazzare per creare curiosità . L’operazione funziona: tanti concerti e poi, nel ’99, il primo album ‘La dittatura del sorriso’. Seguiranno ‘Kriptonite’ un anno dopo, ‘Fronte dell’Essere’ nel 2002 e ‘Tante botte’ il live del 2005. Mettono in note i temi della globalizzazione, la vita delle periferie romane, la filosofia ultras («entra a spinta nella vita»), la militanza politica, la lotta alla droga («siamo quelli che non riesci a impasticcare»), la situazione internazionale. Così tra dischi, concerti, magliette, Zetazeroalfa diventa un fenomeno musicale di costume. Al punto che l’Unità si trova a denunciare «l’eccessiva naturalezza» con cui i ragazzini romani sfoggiano il cappellino del gruppo a spasso per le vie del centro.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.tempi.it/fasci-metropolitani-viaggio-nelle-catacombe-nere#.VYaTpfntmko
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