Di Igor Vitale
John Von Neumann e Oskar Morgestern, non limitarono il loro già pregevole contributo al modello dell’utilità attesa, ma andarono molto oltre e – sempre a proposito di incertezza – cercarono di elaborare un modello in grado di prevedere le mosse di chi fosse chiamato ad interagire strategicamente con altri individui in determinate situazioni.
Il modello pubblicato in “Theory of Games and Economic Behavior”, godette di uno strepitoso successo dovuto al fatto cheesso fu applicato in moltissimi ambiti scientifici che vanno dallamatematica alla psicologia, dalla biologia dell’evoluzione, fino allameccanica quantistica.
Il fascino del ragionamento per giochi può essere facilmente illustrato, muovendo da quello che è stato definito l’“osso di gomma” (Mero, 2001)[1] dell’intera teoria, vale a dire il “Dilemma del Prigioniero”. Del gioco fu data una prima versione nel 1950 da Merril Flood e Melvin Drescher; dice la storia:
Ci sono due prigionieri che devono essere giudicati. Entrambi sono colpevoli di un delitto principale, ma il P.M. non dispone di prove sufficienti per accusarli di quel reato. Dispone solo di prove secondarie sufficienti a farli condannare per un crimine minore. Perciò viene detto loro che se entrambi confessano, verranno condannati per il crimine principale, ma con una pena ridotta, pari a dieci anni (in luogo di quella intera). Se nessuno dei due confessa, entrambi verranno condannati per il delitto minore, per il quale la legge prevede un anno di reclusione.
Mentre se uno confessa e l’altro no, chi confessa sarà libero, ma l’altro sarà condannato alla pena intera (pari a venti anni).
Data questa situazione, ciascuno constata che, se l’altro confessa, per lui è meglio confessare (altrimenti avrà la pena di venti anni) e che, se l’altro non confessa, per lui è meglio confessare lo stesso (può uscire subito e far scontare la pena solo all’altro). Così ciascuno confessa e con questo ragionamento entrambi vanno in prigione per dieci anni, mentre se entrambi si fossero rifiutati di confessare, sarebbero stati condannati solo ad un anno.
La razionalità individuale può produrre una situazione che è la peggiore dal punto di vista collettivo, ma questo gioco è particolarmente illuminante soprattutto perché illustra come la perfetta conoscenza delle preferenze e delle strategie disponibili per sé e per il proprio avversario, non è sufficiente a garantire a ciascuno dei giocatori una soluzione ottimale.
D’altronde, nonostante l’approccio a determinate situazioni in forma di giococostituisce senz’altro un’intuizione brillante, e molte volte un valido aiuto nella scelta della strategia migliore da adottare,
purtuttavia anche qui i problemi non sono tardati a manifestarsi, ed ancora una volta a fare la parte del leone troviamo la famigerata “limitatezza cognitiva” con la quale continuiamo a dover fare i conti.
Centrale, nell’ambito della teoria dei giochi, è il concetto di equilibrio di Nash, il quale può essere descritto come una lista di strategie, una per ogni giocatore, tale che nessun giocatore trae vantaggio dal deviare dalla propria strategia di equilibrio (Kreps, 1990).
L’analisi di equilibrio è basata, sotto il profilo formale, sull’ipotesi che ogni giocatore massimizzi in maniera perfetta e completa rispetto alle strategie dei rivali, che le caratteristiche dei rivali e le loro, siano perfettamente conosciute e che i giocatori siano in grado di valutare tutte le loro scelte possibili: nessuna di queste condizioni sarà interamente rispettata nella realtà .
Nelle situazioni economiche reali, non sempre è possibile individuare con chiarezza e precisione quelle che nei modelli sono le regole del gioco e senza le quali detti modelli non possono funzionare, tanto più che esse per lo più risultano essere date esogenamente, senza che nulla si sappia circa la loro origine (Kreps, 1990), il che – si ricorderà – essere stato un aspetto aspramente criticato, anche nel modello di scelta razionale, con riferimento alle preferenze dei consumatori.
In realtà vi sono stati dei tentativi di inserire la limitatezza informazionale (Harsanyi, 1967) o addirittura l’irrazionalità (Kreps, 1990), nell’ambito del modello, purtuttavia i risultati non hanno riscosso quell’unanimità di consensi che si conviene ad una teoria solida e priva di punti deboli. In particolare un approccio interessante è stato quello di considerare il comportamento dei giocatori in un contesto dinamico: si assume in pratica che, in ogni istante di tempo, l’individuo partecipi ad un’interazione competitiva di breve periodo, all’interno della quale egli determina la propria scelta “ottimale” di breve periodo.
Nel lungo periodo, egli raccoglie delle informazioni sulla base della propria esperienza e le utilizza per migliorare il modello usato nel breve periodo. Si tratta di una procedura di aggiustamento di tipo euristico, ove i limiti della razionalità sono rappresentati dal fatto che il modello è imperfetto e viene aggiornato altresì in modo imperfetto, per cui potrebbe portare a risultati non pienamente corretti.
Anche altri modelli hanno tentato di risolvere i problemi legati alle limitazioni di tipo cognitivo e razionale, ma per tutti, come per il precedente, la critica è stata la medesima: si afferma cioè che le analisi di questo tipo, sono condotte specificando dei comportamenti dinamici ad hoc e che i risultati ottenuti sono poco robusti, oppure derivano da simulazioni.
Insomma, l’obiezione finale è che non è possibile sapere se i risultati ottenuti sono davvero generali o derivano dal caso.
Kreps, pur non negando quanto di fondato c’è in questa critica, obietta tuttavia che “…anche se un certo modello viene formulato con ipotesi ad hoc sul comportamento e viene analizzato solo mediante simulazioni, questo non significa che non si possa comunque imparare molto da esso…”: è la solita diatriba fra teorici economici e economisti comportamentisti![2]
Ma la teoria dei giochi non esaurisce qui i suoi limiti. Altri punti deboli sono stati individuati nel fatto che certe classi di giochi sono caratterizzati da più di un equilibrio e la teoria non è in grado di determinare dei criteri di scelta per operare una selezione fra essi.
Ma forse ancora più limitante, nel quadro di una perfetta funzionalità della teoria, è il concetto di raffinamento cui bisogna ricorrere in diverse applicazioni economiche della teoria dei giochi,
se si vuole scegliere tra diversi equilibri di Nash. Cioè nei giochi con più equilibri, una delle possibilità cui si ricorre per ridurne il numero, è quella di avvalersi di condizioni aggiuntive (oltre a quelle previste dalla usuale nozione di equilibrio), che i comportamenti dei giocatori devono soddisfare.[3]
Tuttavia, nonostante la letteratura sia piena di contributi che esaltano le virtù dei raffinamenti, come strumento per superare l’ostacolo della molteplicità di equilibri, c’è da dire che questa nozione, in generale, non è del tutto soddisfacente.
Il motivo è che tali raffinamenti sono di solito basati sull’ipotesi che l’osservazione di un fatto che contraddica la teoria, non la invalidi – dal punto di vista dei giocatori – per il prosieguo del gioco. Insomma, ai giocatori si chiede di considerare che non sia cambiato nulla, anche in presenza di avvenimenti insoliti.
L’assunto non è certamente dei più soddisfacenti.
* * *
Volendo concludere e comprendere il ruolo che la teoria dei giochi ha rivestito in concreto nel complesso panorama dell’analisi economica, possiamo dire che senz’altro essa è servita ad inquadrar1e correttamente i problemi in modo da far risaltare il vero e proprio meccanismo dell’interazione strategica fra i giocatori – chi fa cosa, quando e con quale informazione. Si comprende quindi l’importanza di questa funzione, nel quadro di un’analisi comportamentale degli agenti economici, quale è quella che stiamo conducendo col presente lavoro.
In quest’ottica, anche se l’importanza della teoria dei giochi, viene limitata al semplice inquadramento dei problemi e alla formalizzazione di semplici intuizioni – in modo da permettere agli economisti di estenderle a nuovi contesti più complessi – ciò costituisce un importante traguardo.
Il vero limite della teoria dei giochi, in generale è derivato dal fatto che gli economisti spesso non hanno avuto un adeguato senso della misura relativamente ai casi ai quali applicare questa tecnica. Quello a cui bisogna stare attenti è di non estendere la teoria a contesti inappropriati, quando cioè le ipotesi di comportamento dei giocatori non lo consentono. Questo ridimensionamento tuttavia non è possibile senza tener presenti le ipotesi comportamentali alla base della disciplina e il modo in cui
gli individui modellano le loro azioni.
Ancora una volta si impone la conoscenza dei meccanismi che sono alla base delle decisioni e dei comportamenti degli individui, e in questo senso l’approccio empirico-comportamentista sembra l’unico in grado di garantire risultati più realistici.
[1] Mèrö L. (2001). Dice l’Autore: “lo si può masticare all’infinito”.
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