I vichinghi non erano spietati guerrieri ma un popolo di pacifici mercanti, navigatori e poeti: la tesi dello storico Régis Boyer, esperto di storia scandinava
Di Dario Fertilio
Oddio, i vichinghi. Eccoli all' imbocco del porto, temibili e spietati predatori, violentatori di donne, assassini. Una testa di drago a prua, da far paura a chiunque. Un gigantesco guerriero irsuto e armato di lancia, i lunghi capelli rossi spioventi dall' elmo cornuto, a dirigere i rematori. La vela rettangolare scura, gonfia nel vento, che annuncia disgrazia. Guai a chi si trova sulla loro strada: gia' gli scudi dorati, in bella vista lungo la bordatura, incutono terrore ai difensori dei villaggi. Presto brinderanno, utilizzando come coppe i crani dei nemici abbattuti? Ma per favore, non scherziamo. In questa rappresentazione non c' e' nulla di vero. E tutta una leggenda. Quei vichinghi, secondo lo storico Régis Boyer della Sorbona, una delle massime autorita' in materia scandinava, erano persone veramente perbene. A modo loro, intellettuali. Poeti e giuristi, abilissimi commercianti, impareggiabili navigatori (questo pero' si sapeva), oltre che artigiani e artisti, sportivi raffinati al punto da inventare il cricket, attenti alla moda fino a rasentare il dandysmo. Non parliamo poi delle loro donne, signore della casa e autorita' morali nella societa' , belle e ornate di gioielli talmente preziosi da far morire d' invidia le consorelle meridionali. Dunque, voltiamo pagina e diciamo addio ai film hollywoodiani, ai Kirk Douglas in cerca di un posto fra gli eroi del Walhalla, ai Conan Schwarzenegger specializzati nello strangolare mostri, come pure ai fumetti avventurosi a base di muscolosi ipertrofici e bionde pantere del sesso. Insomma, addio a tutto l' armamentario vichingo del nostro immaginario collettivo. Che sia un falso storico lo assicura Boyer in Vita quotidiana dei vichinghi (800 1050), appena edito dalla Rizzoli nella Bur (298 pagine, 16.000 lire). Brava gente, questi giganti biondi. Peccato che non fossero affatto alti quanto gli odierni scandinavi, e non portassero mai il famoso elmo cornuto (con buona pace dei tifosi svedesi e norvegesi che amano indossarli quando assistono alle partite delle loro squadre nazionali). Erano di natura pacifica, tanto e' vero che al centro del loro universo stavano anzitutto la famiglia e poi il clan, che altro non era se non un' adunata di parenti. Quanto al nome, esso non deriva affatto come si pensava un tempo da vik, baia, e dunque non sta ad indicare il pirata annidato sul fondo di un fiordo, pronto a seminare sangue e violenza. Deriva piuttosto dal latino vicus, mercato, per cui "vichingo" fu semplicemente un commerciante che si spostava con tutte le sue mercanzie per trarne un profitto. Certo, se una volta sbarcato qualcuno gli faceva la faccia feroce, non si perdeva d' animo: tanto e' vero che spesso veniva rappresentato nella sua duplice veste, una mano sull' elsa della spada e l' altra a controllare i pesi della bilancia. Tuttavia cio' che realmente gli stava a cuore era l' accumulare ricchezze da riportare in patria: un capitalista ante litteram, molto piu' portato all' astuzia che alla forza bruta. Se non poteva farne a meno, uccideva, ma anche quando riduceva i nemici in schiavitu' (per poi rivenderli) si guardava dal torturarli, e attribuiva uno speciale valore religioso alla persona umana. Quanto alla misteriosa scrittura runica che scolpiva nella pietra, non si trattava soltanto di scongiuri e formule magiche, ma di un linguaggio molto evoluto e derivato direttamente dal latino. Che uomini questi vichinghi: il bo' ndi, figura base della loro societa' , racchiudeva in se' le caratteristiche del coltivatore, pescatore, libero proprietario. Inoltre era artigiano, fabbro, tessitore... oltre che giurista e medico, esecutore di riti religiosi, poeta raffinato (i versi cosiddetti scaldici stanno tutt' ora a testimoniarlo). La religione che praticava era complessa e molto evoluta, con una particolare Trinita' simile a quella dei principali culti indoeuropei. Quando si riuniva il parlamento, il thing, era riconosciuta a tutti la piu' assoluta liberta' di parola, mentre non solo si regolava minuziosamente il contenzioso giuridico, ma si dettavano anche regole in campo economico e sociale. Niente si faceva senza testimoni e giuramenti: va da se' che la fedelta' alla parola data era considerata il valore fondamentale, pena (e qui soltanto faceva capolino la violenza) il diritto alla faida e alla vendetta. Pensate al maschilismo delle saghe nordiche, e ne deducete che mogli e figlie siano state solo delle vittime? Sbagliato: oltre che custodi delle tradizioni, oltre che maghe ed eroine nelle gradi saghe, le donne esercitavano un dominio incontrastato appena varcata la soglia di casa. Immaginate i vichinghi, ispidi e sudati, mentre si sfidano in qualche rozzo gioco a base di pugni e grida? Siete fuori strada: ignorate la loro perizia nell' equitazione, il loro impeccabile stile sciistico, i tornei di dama e scacchi che giocavano con pedine stupendamente intagliate nell' ambra e nell' osso, nonche' le partite di cricket vichingo (doveva essere tutto da vedere il knatt leikr a base di palla e mazza!). Di sicuro non avreste supposto che le moderne forme svedesi nell' arredamento, con la caratteristica combinazione di estetica e praticita' , derivassero dalla tecnica artigiana vichinga. E se vi dicessero che il linguaggio runico, per esigenze commerciali, adotto' una preistorica forma di stenografia, probabilmente rimarreste piuttosto perplessi. Invece Re' gis Boyer insiste su tutti questi punti: demolisce senza pieta' i luoghi comuni cui noi europei eravamo cosi' affezionati, riducendo in cenere il mito romantico del vichingo che disprezza la morte e la cerca in battaglia per raggiungere piu' in fretta il paradiso degli eroi. No, i nostri biondi Olaf e Odhinn non si sentivano affatto wagneriani, non cercavano il crepuscolo degli dei, anzi si sforzavano di prolungare la vita attraverso complessi riti magici. Le loro divinita' preferite non erano guerresche, ma piuttosto legate ai gradi cicli della natura e della fertilita' . Le sfide agli oceani, che li portarono ad attraversare su imbarcazioni minuscole, gli knorr, i mari glaciali, e probabilmente a sbarcare negli attuali Canada e Stati Uniti, erano imprese meticolosamente e razionalmente preparate: le molte tragedie rappresentarono una parte modesta del totale. Restano due interrogativi. Perche' questi uomini completi, questi portatori di una civilta' eccezionale, seminarono tanto terrore da noi? E come mai dopo due secoli di gloria, allo spirare dell' anno Mille, uscirono di scena? Alla prima domanda hanno gia' risposto gli studiosi del mito del Nord nell' Europa continentale: la paura dei pagani ingiganti' la loro pericolosita' e ferocia, con riferimenti addirittura ad esempi biblici. La seconda curiosita' la soddisfa Boyer: i vichinghi furono sopraffatti da un Dio Maggiore, chiamato cristianesimo. La civilta' nata dalla nuova religione mino' le basi del loro mondo, cosmopolitico ed errabondo, facendo fare loro la fine dei dinosauri. Ma anche nell' uscire di scena, quasi sempre accettando il battesimo e rinunciando alla antiche tradizioni, dimostrarono un certo stile. Vichingo si' ma gentiluomo, direbbe Boyer. Pero' resta un sospetto. Non potrebbe lo storico francese essersi innamorato del soggetto dei suoi studi? Non potrebbe aver addolcito l' immagine dei rudi guerrieri nordici, sino a farne quasi degli intellettuali? Insomma, non verra' presto qualcuno a restituirci i nostri vecchi, amati guerrieri con le corna?
FONTE:http://archiviostorico.corriere.it/1994/giugno/27/vichinghi_una_questione_corna_co_0_94062714721.shtml
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