I segreti di Nan Madol, la "città di pietra"

giu 4, 2015 0 comments

Di John Oliphant

Il Sole del pomeriggio batte sulla lucida fusoliera del volo 956 della Continental Micronesia mentre comincia a scendere verso Pohnpei, un´isola vulcanica nelle acque turchesi del Pacifico, 640 chilometri a nord dell´equatore e a mezza strada tra Hawaii e Filippine. Incuriosito, torco il collo nella speranza di dare la prima occhiata a una delle maggiori meraviglie archeologiche del mondo: l'enigmatica città di pietra di Nan Madol.
Pochi istanti dopo l'aereo atterra sobbalzando sulla pista. I turisti che vengono qui sono pochi, sbarco in fretta; esco nell'umida aria tropicale, stordito dal rigoglioso paesaggio illuminato dal sole. Sopra di me incombe uno degli spettacoli naturali più caratteristici di Pohnpei, la rupe di Sokehs, una delle possibili fonti del basalto col quale sono stati costruiti i 92 isolotti artificiali di Nan Madol. La sua parete frastagliata, vagamente simile a una sfinge, mi spinge a chiedermi se conosca i segreti di Nan Madol. Sempre più incuriosito, arrivo a Kolonia, un insediamento di frontiera che somiglia al set di un film di John Wayne, con furgoncini al posto dei cavalli. L´unica città dell'isola, dato che quasi tutti i 33.700 abitanti di Pohnpei vivono in villaggi lungo la costa. I taxi qui costano solo un dollaro, ovunque si vada. Il mio autista, Celestin Isaac, un allegro indigeno con un sorriso che andrebbe brevettato, mi chiede cosa mi porti all'isola. Mentre superiamo file disordinate di bambini nudi e bellezze dalla carnagione dorata che sembrano uscite dai dipinti di Gauguin, gli parlo del mio interesse per Nan Madol. Lui alza gli occhi al cielo e racconta che ogni volta che ha visitato Nan Madol ha sentito la presenza "degli antichi spiriti che abitano le rovine. E ne era spaventato.
Da ciò che ho letto so che i costruttori di Nan Madol sono riusciti in qualche modo a spostare massicci macigni di basalto dall'interno dell'isola, e poi a trasferirli via acqua fino alla scogliera costiera. Celestin ha una sua teoria su come abbiano fatto: "Magia, " dice, abbassando la voce. "Hanno detto parole speciali e le pietre si sono alzate in volo nell'aria e si sono impilate a Nan Madol."
Mi aspetta un viaggio in mare sino all'altro capo dell'isola, a circa cinquanta chilometri da qui. Presto vedrò coi miei occhi quelle antiche rovine.
LO sputacchiare ritmico di un motore fuoribordo spezza il silenzio afoso dei canali che circondano gli isolotti di Nan Madol, acque basse intasate di sedimenti. Mi trovo su una barca in fibra di vetro con Emensio Eperiam, il funzionario addetto alla conservazione dei reperti storici di Pohnpei. Sono stati questi canali a dare il nome alla città mi dice. Nella lingua del luogo, significa "i luoghi che stanno in mezzo". La barca scivola sul canale di acqua tiepida e io fisso nervoso le zone buie sotto la volta di mangrovie che si protende dalla riva. Comincio a capire perché questa città dagli interrogativi irrisolti possa spaventare gli indigeni come Celestin. Un isolotto ci appare davanti. E´ Nan Douwas, dice Eperiam, imponente fortezza e luogo di sepoltura regale, con una cripta che ospitava i resti dei capotribù di Nan Madol. Sbarchiamo in un silenzio inquietante. Una grande cinta muraria, doppia, incombe su noi; le mura perimetrali di 8 metri sfolgorano nella luce del sole riflessa dal cristalli del basalto antico di cinque milioni d'anni. Sulle pietre scure si arrampicano licheni, e un mostruoso albero dei pane minaccia di squarciare un muro. Guardo gli angoli della fortezza, che sporgono aggraziati, quasi come il tetto di una pagoda: per questo qualcuno pensa che gli architetti venissero dall'Asia, non da Pohnpei.
La cripta si rivela una camera di un metro quadrato circa rivestita di lastre di basalto. Zanzare ronzano tra i raggi di luce e il pavimento corallino, un tempo liscio, è un caos di pietre. I gioielli e gli altri manufatti seppelliti qui coi capitribù sono stati rubati da tempo dai saccheggiatosi, dice Eperiam. Gli archeologi hanno sempre trovato miseri bottini a Nan Madol, e anche quando sono stati fortunati hanno dovuto affrontare i rischi di una maledizione simile a quella di Tutankhamen che si dice gravi su chiunque osi violare questo sepolcro: nel 1874, un naufragio nei pressi delle isole Marshall seppellì sul fondo dell'oceano un centinaio di casse di reperti raccolti dall'antropologo polacco Jan Kubary, e con essi una porzione significativa della storia della città.
Sorte anche peggiore toccò nel 1907 al governatore tedesco Victor Berg, che stava eseguendo scavi in una tomba reale sull'isolotto di Peinkitel. Quella notte, dicono gli indigeni, Nan Madol vibrava dell'attività degli spiriti: gli osservatori hanno visto luci in movimento e udito il suono di remi di canoe che affondavano nell'acqua mentre il governatore, in preda al delirio, sentì l'arcana tromba di una conchiglia che annunciava la sua fine. Berg spirò il giorno dopo. La causa ufficiale della morte fu un'insolazione; gli indigeni sono di diversa opinione.

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