Di Alessandro D'Amato
Il Corriere della Sera pubblica oggi due infografiche che spiegano quanto costano le sanzioni alla Russia alle imprese italiane dopo la faccenda dell’Ucraina. Ammonta a un miliardo di euro totale il computo dei mancati guadagni per le aziende secondo Putin, mentre è di un -58% il totale del crollo delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Russia nel primo bimestre 2015 secondo i conti della Coldiretti.
Secondo l’associazione nel 2013 (ultimo anno pre-embargo), con una quota export di 562,4 milioni di euro, la Russiaaveva consolidato l’11esimo posto tra gli sbocchi del food & beverage italiano, coprendo il 2,2% dell’intero export alimentare nazionale con un aumento del 24,4% sul 2012, contro il +5,8% segnato in parallelo dall’export globale di settore. Nel 2014 l’export dell’industria alimentare in Russia ha accusato un calo del 6% e nel primo bimestre del 2015 le esportazioni alimentari italiane si sono dimezzate (-46,3%). Colpiti soprattutto il comparto delle carni preparate (-83%) e il lattiero-caseario, che si è praticamente azzerato (-97%), conclude Federalimentare.
Fabrizio Dragosei sul Corriere riepiloga anche i costi delle sanzioni per l’Europa e il mondo:
FONTE: http://www.nextquotidiano.it/quanto-ci-costano-le-sanzioni-alla-russia/Nel 2014 l’Italia ha perso quasi un miliardo di esportazioni,la Germania ne ha persi quasi tre, Giappone e Francia quasi due. Ma anche la Cina ha perso un miliardo e mezzo di export. La nostra quota di mercato è scesa dal 4,6 al 4,5 per cento. Hanno aumentato la loro e il totale delle esportazioni verso la Russia gli Stati Uniti, che pure applicano sanzioni come l’Europa. Ma loro vendono ai russi prodotti che in buona parte sono diversi dai nostri (ad esempio: telefoni, tablet e computer).Un caso a parte è l’Olanda che, per quanto piccola, occupa il secondo posto dopo la Cina nella tabella dell’interscambio. Si tratta, però, in buona parte di aziende russe registrate ad Amsterdam che, quindi, fanno registrare movimenti «esteri» che tali sono solo sulla carta. Un problema serio è quello degli investimenti diretti in Russia e delle iniziative comuni. Noi italiani eravamo indietro rispetto ad altri Paesi, ma negli ultimi anni ci siamo imbarcati in numerosissimi progetti. Non solo Eni ed Enel, i due colossi energetici, ma anche Pirelli, Finmeccanica, Danieli e tanti altri. Ma con la recessione, il mercato interno ha smesso di essere così interessante. Si stanno salvando le aziende che hanno approfittato del basso costo del lavoro russo (in alcuni casi inferiore a quello cinese) per vendere in Paesi europei quello che viene prodotto in Russia. È il caso, ad esempio, della Pirelli.
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