Piovono gocce fini sulla piccola piscina che guarda la Variante trafficata, i lettini sono fradici. Lungo il perimetro dell’hotel “Rosa dei venti” non si muove foglia. Solo da un mini appartamento arriva l’eco intermittente di un vecchio televisore; il trasfertista lì dentro ci dice di aver lasciato la porta aperta per stemperare l’afa in una giornata uggiosa. È a lui che chiediamo dei tredici profughi che da due settimane alloggiano in quattro stanze dell’albergo. Risponde che sono tutti in camera e che si vedono spesso nei paraggi.
I responsabili dell’associazione “Homo Diogene” sono riusciti a sistemare gli africani in una quadrupla e tre triple dopo il loro rifiuto a fermarsi nel più modesto hotel “5 Lecci”. Era l’8 maggio quando, arrivando da Pisa, i tredici avevano alzato le barricate creando qualche imbarazzo a prefettura, associazione e forze dell’ordine. Alla base della protesta la mancanza di servizi (assenza di rete wifi), incompatibilità di natura religiosa con gli ospiti già presenti e qualche ragione nuova che spuntava all’ennesima richiesta di spiegazioni. Alla fine, grazie al buonsenso di tutti i soggetti coinvolti, avevano acconsentito al trasferimento al più accomodante “Rosa dei venti” ed erano scesi dall’autobus.
Vengono dal Ghana, dal Senegal, dalla Nigeria, dal Mali. Sono tutti giovani, sopra i 18 anni, e sono in Italia da un anno e mezzo. Musulmani e cristiani convivono e condividono la passione per la tecnologia, il calcio, la musica. Forse i 18 mesi di permanenza nel Belpaese magari sono stati la televisione o internet; fatto sta che i profughi sono ormai omologati a tutti gli standard occidentali: look hip-hop, cuffie grandi sul collo come i calciatori di serie A, l’amico tablet. A questi si è aggiunto qualche comfort di cui beneficiavano nella struttura che gli ospitava a Trapani. A Venturina li abbiamo incontrati davanti alla piscina dell’hotel e nelle loro stanze dove un vecchio pallone da calcio fa compagnia al tablet appoggiato sul comodino e ai vestiti adagiati a terra. Rispondono con la franchezza e la spavalderia della loro età. «Ci annoiamo, perché stiamo vivendo lo stesso giorno da un anno e mezzo. Chiediamo solo che ci diano i documenti che abbiamo chiesto per poter essere liberi di realizzare i nostri sogni in Italia. Ognuno di noi ha dei progetti: c’è chi vorrebbe tornare a studiare e chi cerca un lavoro. Qui, lontani dal centro del paese, siamo in trappola».
Alla prima domanda, sul perché della protesta al loro arrivo rispondono che non volevano separarsi, del resto l’unione fa la forza. Poi qualcuno mostra un vecchio telefono e spiega che del wi-fi non se ne fa di nulla ma che i "documents" quelli sì che gli cambierebbero la prospettiva in Italia. «Scrivete anche che noi non abbiamo reagito con la forza quando ci hanno portati davanti al primo albergo».
Eppure i 13 africani potrebbero spostarsi dall’hotel; nessuno li trattiene o li osserva a vista. «Possono lasciare l’albergo per tre giorni - spiega Mauro Andreini, presidente di Diogene - al quarto giorno d’assenza, però, il loro status decade». Al momento la loro domanda per richiedere i diritti di rifugiati politici è al vaglio delle autorità competenti. Alcuni dei profughi hanno già ricevuto una risposta negativa e presentato appello, altri sono alla prima richiesta. L’iter dura dai sei mesi ad un anno e gli appelli sono due. Un iter abbastanza lento che non fa altro che aumentare la spesa per lo Stato. Soprattutto adesso che il numero degli arrivi sta incrementando. «Aspettiamo qui perché non sappiamo dove andare. Vorremmo solo che si facesse in fretta e che si trovasse il modo per riempire le nostre giornate. Siamo stanchi e annoiati». Per il loro soggiorno, alla “Rosa dei venti” gli africani percepiscono 2,50 euro al giorno dall’associazione Diogene che a sua volta beneficia di un contributo di circa 35 euro per ogni profugo grazie al bando della prefettura. «Ma che ce ne facciamo? Non sono niente a confronto dello stipendio garantito da un lavoro. Siamo in prigione, nessuno viene a sistemare le camere e manca la lavatrice. Mangiamo pasta da mesi. Ringraziamo dell’accoglienza ma vorremmo solo poter essere liberi di scegliere la nostra sorte che sia lo studio o un lavoro».
Alla spicciolata “i ragazzi dell’hotel Rosa dei Venti” rientrano nei mini appartamenti, ai loro letti, ai tablet e alla musica. Dopo averli salutati passiamo davanti a quello che doveva essere il loro primo residence, i “5 Lecci”. Bastano due minuti a piedi per arrivarci. Per anni quel posto, con la sua pizzeria, aveva animato le serate dei ferrovieri e delle famiglie venturinesi poi aveva ceduto il passo alla crisi. Riaperto da poco, e in fretta e furia, è stato riconvertito a rifugio per i profughi che scappano dalla guerra. Gli altri, quelli che si sono accontentati, lì abbiamo salutati mentre erano sotto un pergolato. Pioveva ancora e c’erano donne incinta. C’è chi dice che in questi giorni non smettano di ringraziare i volontari.
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