Di Antonella Sferrazza
Il Nero D'Avola è il vino siciliano più famoso al mondo. Non a caso il numero di bottiglie prodotte aumenta di anno in anno. Ma è in buona compagnia. Anche gli altri vini siciliani sono sempre più apprezzati. E puntano tutti sugli Stati Uniti d'America
Colore intenso dai riflessi violacei. All'olfatto, evidenti le note speziate, di ciliegia marasca e di frutti rossi. Al palato, ottima struttura e buona freschezza. Così gli enologi descrivono sua maestà il Nero d’Avola, il vino siciliano più famoso al mondo, prodotto dall’omonimo vitigno. Un vitigno siciliano al 100%: rientra, infatti, tra i cosiddetti vitigni autoctoni, tipici cioè di un luogo specifico, al contrario di quelli alloctoni che, anche se si adattano all’ambiente, non sono originati in zona (è il caso ad esempio dello Chardonnay o del Cabernet che pur coltivandosi anche in Sicilia, affondano le loro origini in altre regioni).
La produzione e l'imbottigliamento di Nero d’Avola, crescono in maniera esponenziale, soprattutto da quando è stata istituita la Doc Sicilia (nel 2012). E anche nel 2014 il trend si è confermato in ascesa libera: le Doc Nero Avola imbottigliate sono state 4.440.000, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Le Igt Nero d'Avola, 1.899.333, le Igt Terre Siciliane, sempre Nero D'Avola, 52.564.266.
Ma dove nasce, esattamente, il Nero d’Avola? Il vitigno, secondo le testimonianze storiche, è sempre stato presente in tutte le province dell’Isola, non solo dunque , come si potrebbe pensare, nel territorio di Avola, in provincia di Siracusa, dove sicuramente si è originato.
Anzi, a guardare i dati forniti dall’Istituto regionale della Vite e del Vino (Irvo), il Nero d’Avola, è maggiormente diffuso nella zona di Agrigento, solo dopo arriva Siracusa.
"Un dato che si spiega anche con l’estensione della superficie vitata delle due province" ci fa notare Felice Capraro, agronomo dell'Irvo.
Agrigento, inftti, con 18.350 ettari, rappresenta il 17, 38% della coltivazione di vite in Sicilia. E’ seconda solo a Trapani che rappresenta il 57%, la provincia più vitata in assoluto. Siracusa è al sesto posto con 1.773 ettari che rappresentano solo l'1, 63% della superficie vitata siciliana. "Ovvio dunque- prsegue Capraro- che la produzione di Nero d’Avola non potrebbe arrivare solo dalla provincia aretusea".
Complessivamente, su un totale di 103.076 ettari vitati in tutta la Sicilia, il Nero d’Avola occupa un posto di tutto rilievo: è al secondo posto con 15.313 ettari dopo il Catarratto bianco e prima del Grillo, altro vitigno autoctono siciliano da cui si produce vino bianco, che negli ultimi periodi si sta affermando con forza sui mercati internazionali, soprattutto nella Gdo. Insieme con lo Chardonnay, l'Inzolia, il Sirah e il Merlot, questi vitigni rappresentano oltre il 60% della superficie vitata siciliana.
Ma a cosa è dovuto il boom del Nero d’Avola, e in generale del vino siciliano? Lo chiediamo a Lucio Monte, direttore dell’Istituto regionale della Vite e del Vino, ente che dipende dall'assessorato all'Agricoltura della Regione Siciliana, ora guidato dall'avvocato Nino Caleca:
Lucio Monte
“La novità degli ultimi anni è che abbiamo imparato a vendere il vino di qualità, tipicamente siciliano. E sicuramente, l’istituzione del marchio Doc Sicilia ha fatto da traino al riconoscimento della qualità del nostro vino. Negli anni passati – dice Lucio Monte a lavocedinewyork.com – la Sicilia si è fatta conoscere con l’utilizzo di vitigni internazionali come lo Chardonnay, il Cabernet, il Sauvignon. Poi, però, si è capito che c’era voglia di più Sicilia.
"Il mercato ci chiedeva prodotti che riflettevano le caratteristiche del nostro territorio. Quindi si è puntato alla valorizzazione dei nostri vitigni. E il Nero d’Avola – sottolinea il direttore dell’Istituto regionale Vite e Vino- ha trionfato. Non solo Nero D'Avola. Molto apprezzati sono anche i bianchi, come il Grillo che sta vivendo un ottimo periodo e altri vini tipici di territori particolari, come l'Etna”.
Il successo del vino siciliano lo si deve anche al coraggio delle imprese che, per raccogliere la sfida del mercato, hanno saputo fare squadra. Assovini Sicilia, ad esempio, associa una settantina di aziende vitivinicole che producono insieme circa l’80% di tutto il vino imbottigliato.
"Insieme, oltre a reggere meglio l'impatto dei mercati, - spiega il direttore dell'Istituto della Vite e del Vino - possono anche usufruire dei fondi dei Piano di Sviluppo rurale che punta molto sull'associazionismo".
E, la parola d’ordine per queste aziende, è una sola: l’export. Verso nuovi mondi. Non solo dunque la tradizionale Germania o altre Paesi dell'Ue, ma soprattutto Usa e Cina.
L’export del vino siciliano, al momento, rappresenta il 59% del fatturato complessivo delle aziende di Assovini (circa 250 milioni). Per quanto riguarda gli Stati Uniti si tratta all’incirca del 10% del fatturato export. Una goccia nel mare del mercato statunitense che offre potenzialità immense, ma su cui bisogna lavorare: nonostante il consumo di vini in America stia aumentando (tra il 1991 e il 2011 è praticamente più che raddoppiato segnando +53%) e nonostante aumenti pure la quota del vino italiano venduto negli States (l’Italia è il primo fornitore nel segmento dell’imbottigliato) molti americani devono ancora ancora scoprire l'affascinante mondo del vino.
Non a caso, una ricerca presentata da Nomisma al Vinitaly di Verona, rivela che la quota di enoappassionati negli Usa è ancora limitata, ma che il brand Italia è fortissimo:
“Gli Stati Uniti non sono per nulla un mercato maturo per il vino italiano: è ancora forte la concentrazione dei consumi di vino che si raggruppa in 5 Stati; inoltre dei 350 milioni di abitanti, - si legge nella ricerca- gli enoappassionati sono solo il 44%. Il vino incide per appena il 10% delle bevande alcoliche con la birra all’ 80%. Ma - ecco le buone news- il brand Italia è fortissimo, soprattutto presso i nuovi consumatori Usa, specie tra una categoria: i Millenials, i consumatori tra i 20 e i 35 anni”.
Il brand Italia, tra le nuove generazioni di enoappassionati Usa, è in pieno boom: è secondo solo a quello della California. Il Belpaese vince dunque il confronto non solo con Francia e Spagna, ma anche con il Cile, l’Australia e l’Argentina.
I Millenials, secondo la ricerca, conoscono bene anche le regioni di provenienza del vino italiano che amano: la Toscana è la più conosciuta, ma a sorpresa, la Sicilia si piazza al secondo posto a pari merito con il Veneto e prima del Piemonte.
E se si considera che la Sicilia si è affacciata sui mercati internazionali da poco, che parliamo di una realtà alquanto giovane sotto il profilo della commercializzazione del vino, il risultato è un successo strepitoso.
Certo, siamo ancora agli inizi. Il vino Siciliano rappresenta solo il 2% dell’export italiano complessivo, "ma ci sono amplissimi spazi di miglioramento, considerato che la Sicilia, con oltre 100mila ettari, è il primo territorio vitivinicolo italiano per superficie vitata. Nonché la prima regione per ettari destinati alla produzione biologica- dicono da Assovini secondo cui proprio il 2015 sarà l'anno cruciale per vincere la sfida.
E gli Stati Uniti sono il target principale, così come confermato durante Sicilia en primeur, la kermesse dedicata al vino siciliano, che si è svolta a Taormia ad Aprile: “Grazie al cambio euro-dollaro e a un importante progetto di promozione negli Usa contiamo di guadagnare, sul medio periodo, buone quote di mercato".
Ma alla Sicilia manca qualcosa per fare il salto di qualità?
"Credo nulla – ha detto il presidente di Assovini Sicilia Francesco Ferreri -. Penso che potremmo allinearci in tranquillità a regioni come Piemonte e Toscana. Noi siamo solo più giovani e, forse un po’ inesperti. Ma la crescita che stiamo vedendo è esponenziale, sotto tutti i punti di vista”.
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