Le politiche del periodo sovietico e le politiche sovietiche verso gli omosessuali possono essere divise in cinque periodi chiave:
- 1917-1933: la decriminalizzazione dell'omosessualità, tolleranza relativa, l'omosessualità definita ufficialmente come una malattia
- 1934-1986: recriminalizzazione dell'omosessualità, trattata severamente con processi, discriminazione e silenzio;
- 1987-1990: inizio delle discussioni pubbliche aperte sulla condizione dell' omosessualità da un punto di vista scientifico ed umanitario da parte di professionisti e di giornalisti.
- 1990 - Maggio 1993: i gay e le lesbiche in prima persona si fanno carico della questione, portando in primo piano i diritti civili, con esacerbamento del conflitto e politicizzazione della questione.
- Giugno 1993: decriminalizzazione dell'omosessualità; il sottobosco omosessuale comincia a svilupparsi in una subcultura gay e lesbica, con relative organizzazioni, pubblicazioni e centri, ma continua la diffamazione sociale dell'amore e dei rapporti fra persone dello stesso sesso.
I codici penali della Federazione russa del 1922 e del 1926 non menzionano l'omosessualità, anche se le leggi corrispondenti erano rimaste in vigore in luoghi in cui l'omosessualità era più diffusa - nelle repubbliche islamiche dell'Azerbaijan, di Turkmenia e di Uzbekistan, così come nella cristiana Georgia.
Al Congresso mondiale della lega per le riforme sessuali, tenutosi a Copenhagen nel 1928, la legislazione sovietica fu addirittura portata ad esempio degli altri paesi.
Gli esperti medici e legali sovietici erano molto orgogliosi della natura progressista della loro legislazione: nel 1930 il perito medico Mark Serejskij scrisse sulla Grande Enciclopedia Sovietica: “La legislazione sovietica non riconosce reati cosiddetti contro la morale. Le nostre leggi partono dal principio della difesa della società, e quindi prevedono una punizione solo in quei casi in cui l’oggetto dell'interesse omosessuale sia un bambino o un minorenne..." (p. 593).
Come Engelstein (1995) giustamente nota, la decriminalizzazione formale della sodomia non ha significato che tale comportamento fosse al riparo da incriminazioni. L'assenza di leggi formali contro il rapporto anale e il lesbismo non ha impedito l'incriminazione del comportamento omosessuale come forma di comportamento disordinato. Dopo l'emanazione del codice penale del 1922, si tennero, in quello stesso anno, almeno due processi per omosessualità a noi noti.
L'eminente psichiatra Vladimir Bekhterev testimoniò che "l'ostentazione pubblica di tali impulsi... è socialmente nociva e non può essere consentita" (Engelstein, 1995, p. 167).
La posizione ufficiale della medicina e della legge sovietiche negli anni Venti, come riflessi dall'articolo d'enciclopedia di Sereisky, era che l'omosessualità era una malattia che era difficile, se non impossibile, curare. Perciò, "riconoscendo la scorrettezza dello sviluppo omosessuale... la nostra società combina misure profilattiche e terapeutiche a tutte le condizioni necessarie per rendere il conflitto che colpisce gli omosessuali quanto meno doloroso possibile, e per risolvere la loro tipica alienazione all'interno della collettività”. (Sereisky, 1930, p. 593).
Anche se, durante gli anni Venti, alcuni intellettuali omosessuali svolsero ancora ruoli importanti nella cultura sovietica, sparì l'opportunità di una discussione sul tema aperta, filosofica ed artistica, quale quella iniziata all'inizio del secolo.
Col decreto del 17 dicembre 1933 e con la legge del 7 marzo 1934, l'omosessualità divenne di nuovo un reato penale.
I motivi esatti di questo cambiamento brusco sono ancora sconosciuti, ma esso faceva chiaramente parte del "Termidoro [il periodo del "Terrore" della Rivoluzione francese, NdR] sessuale" e di una tendenza repressiva generale. Articoli di criminalizzazione furono inseriti nei codici di tutte le repubbliche sovietiche.
Secondo l'articolo 121 del Codice penale della Repubblica Sovietica Russa, l'omosessualità (muzhelozhstvo) era punibile con la privazione della libertà per un periodo fino a 5 anni e, secondo l'articolo 121.2, nel caso di uso o minaccia d'uso di violenza fisica, o di sfruttamento della posizione dipendente della vittima, o di rapporti con minorenni, fino a 8 anni.
Nel gennaio del 1936 Nikolai Krylenko, Commissario del popolo per la giustizia, annunciò che l'omosessualità è il prodotto delladecadenza delle classi sfruttatrici, che non hanno niente da fare, ma che in una società democratica, fondata su sani principi, per tali persone non c'era posto (Kozlovsky, 1986).
L'omosessualità fu così legata alla controrivoluzione. In seguito, i giuristi e i medici sovietici descrissero l'omosessualità come una manifestazione “della decadenza morale della borghesia”, reiterando parola per parola gli argomenti dei fascisti tedeschi.
Tipico di questa posizione fu un articolo anonimo sull'"omosessualismo" apparso nella Grande Enciclopedia Sovietica del 1952. I riferimenti a possibili cause biologiche dell'omosessualità, che fino ad ora erano stati usati per scopi umanitari come ragione per decriminalizzare l'omosessualità, ora venivano rifiutati:
"L'origine dell'omosessualismo è collegata alle circostanze sociali quotidiane; per la stragrande maggioranza della gente che si dedica all'omosessualismo, tali perversioni si arrestano non appena la persona si trovi in un ambiente sociale favorevole.... Nella società sovietica con i suoi costumi sani, l'omosessualismo è visto come una perversione sessuale ed è considerato vergognoso e criminale. La legislazione penale sovietica considera l'omosessualismo punibile con l'eccezione di quei casi in cui lo stesso sia manifestazione di profondo disordine psichico". (Gomoseksualizm, 1952, p. 35)
Il numero esatto di persone incriminate in base all'articolo 121 è sconosciuto (le prime informazioni ufficiali sono state prodotte soltanto nel 1988), ma si crede che possa trattarsi di circa mille all'anno. Dalla fine degli anni Ottanta, secondo i dati ufficiali, il numero di uomini condannati in base all'articolo 121 era stato in costante diminuzione. Nel 1987 furono condannati 831 uomini (questo dato si riferisce all'intera Unione Sovietica); nel 1989, 539 persone, nel 1990, 497, nel 1991, 462, nel primo semestre del 1992, 227, tutti meno dieci condannati in base all'articolo 121.2 (le cifre si riferiscono alla sola Russia) (Gessen, 1994).
Secondo avvocati russi, la maggior parte delle condanne è in effetti avvenuta in base all'articolo 121.2, l'80 per cento dei casi vedendo il coinvolgimento di minori fino a 18 anni (Ignatov, 1974).
In un'analisi di 130 condanne in base all'articolo 121, fra il 1985 e il 1992, è stato trovato che 74 per cento degli accusati sono stati condannati in base all'articolo 121.2, dei quali il 20 per cento per stupro con uso della forza fisica, l' 8 per cento con uso di minacce, 52 per cento per contatti sessuali con i minori e il 2 e il 18 per cento, rispettivamente, per sfruttamento dello status dipendente o vulnerabile delle vittime (Dyachenko, 1995).
Queste statistiche dovrebbero comunque essere prese in considerazione con un certo scetticismo, ricordando che molte di questi e di altri capi d'accusa possono essere stati montate o falsificati e che molte confessioni sono state forzate con le percosse alle persone accusate e ai testimoni.
L'articolo 121 non prendeva di mira solo gli omosessuali. Le autorità lo hanno sfruttato frequentemente per trattare con i dissidenti e per accrescere le sentenze al campo di lavoro. A volte il KGB è stato chiaramente coinvolto nell'incriminazione, come, per esempio, nel caso del noto Lev Klein, archeologo di Leningrado: il suo processo fu orchestrato dall'inizio alla fine dal KGB locale in flagrante violazione di tutte le norme procedurali. (Samoilov, 1993).
Di solito, lo scopo di tali azioni fu di spaventare l'intellighenzia. L'applicazione della legge fu selettiva. Se le figure culturali di spicco avevano cura di non offendere le autorità, godevano di una sorta d'immunità e veniva chiuso un occhio sulle loro tendenze omosessuali, ma non potevano comunque accedere a cariche dell'alto ingranaggio ma bastava solo che ostacolassero un personaggio influente perché la legge facesse sentire pienamente il suo peso. Questo fu il copione che distrusse la vita del famoso regista armeno Sergei Paradzhanov.
Ancora alla fine degli anni 80, il direttore del teatro Yuny Zritel di Leningrado, Zinovy Korogodsky, comparve davanti ad una tribunale, fu licenziato dal suo lavoro e privato di tutti i suoi titoli onorari. Gli esempi di questo genere sono molti.
La campagna antiomosessuale introdotta all'inizio degli anni 30 fu di breve durata. Entro la metà del decennio, sulla questione era disceso un assoluto silenzio. L'omosessualità era diventata innominabile nel senso letterale del termine. La congiura del silenzio arrivò a comprendere temi accademici come il culto fallico, e la pederastia dell'antica Grecia.
Questo silenzio tenebroso ha intensificato ulteriormente la tragedia degli omosessuali sovietici, che non soltanto temevano l'incriminazione e i ricatti, ma non poterono nemmeno sviluppare autocoscienza e autoidentità adeguate.
Oltre alle incriminazioni, una discriminazione di tutti i tipi, illegale, diffusa e senza limiti, prese edi mira non solo gli omosessuali, ma anche le lesbiche.
I rapporti lesbici non rientravano in nessun caso di alcun codice penale, e i legami stretti fra donne sono stati meno visibili e meno soggetti ad attacchi. L'opinione pubblica è stata, verso le lesbiche, altrettanto inflessibile che verso gli uomini gay. Le lesbiche venivano ridicolizzate, incriminate, licenziate, espulse dalle università e minacciate di essere private della custodia dei figli. (...)
La psichiatria punitiva sovietica fu una delle armi principali della repressione sia legale che illegale. Psichiatri ignoranti di sessuologia erano sempre pronti a trovare qualche grave che permettesse di sottoporre a vita le persone così stigmatizzate ad osservazione medica e poliziesca, o rinchiuse in un ospedale psichiatrico in condizioni spesso molto peggiori della prigione.
Perfino dopo l'emergere, alla fine degli anni 70, di una "patologia sessuale" (il termine russo per definire la sessuologia clinica, che suggeriva che tutti i termini sessuali siano patologici) più tollerante e meglio informata, la medicina ha offerto ben poco aiuto. In tutti i libri sovietici di "patologia sessuale", l'omosessualità era descritta come una "perversione sessuale" perniciosa, una malattia da curare. (Vasilchenko, 1977, 1983).
All'inizio degli anni 80 fu lanciata nelle edizioni divulgative una campagna anti-omosessuale.
Nel primo, e all'epoca unico in tutta la nazione, manuale per insegnanti sull'educazione sessuale (di cui fu stampato e immediatamente esaurito un milione di copie) l'omosessualità fu definita una come patologia pericolosa e "una violazione dei principi normali dei rapporti sessuali.... L'omosessualità sfida sia le relazioni eterosessuali normali sia le realizzazioni morali e culturali della società. Quindi merita la condanna sia come fenomeno sociale che come un comportamento specifico personale sia come atteggiamento mentale" (Khripkova & Kolesov, 1982, pp. 96-100).
Così, gli insegnanti, come la polizia ed i medici, furono messi in guardia contro l'omosessualità.
Ancora oggi, con rare eccezioni, gli psichiatri e i sessuologi clinici russi, anche coloro che hanno sostenuto la decriminalizzazione dell'omosessualità, la considerano una malattia e riproducono nei loro scritti le molte assurdità e gli stereotipi prevalenti nell'opinione pubblica.
Il più recente manuale medico sulla sessuologia clinica, pubblicato nel 1990, definisce l'omosessualità una "tendenza patologica". Esso afferma che, oltre a cause biologiche, "un forte fattore patogenetico che contribuisce alla formazione dell'attrazione omosessuale può essere l'inculcamento dai genitori e dagli insegnanti di un atteggiamento ostile nei confronti del sesso opposto" (Vasilchenko, 1990, p. 429-430).
In una tesi di laurea in psichiatria del 1994, preparata sotto la visione del professor A. Tkachenko, il comportamento omosessuale non solo è descritto come "anomalo", ma la maggior parte dei 117 uomini gay studiati dall'autore ricevono diagnosi quali "infantilismo psichico, psicofisico e disarmonico...", "...segni di difetti organici del sistema nervoso centrale," e "sopravvalutazione della sfera sessuale" (Vvedensky, 1994, p. 8).
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.gay.ru/english/history/kon/soviet.htm
Traduzione di Giovanni Dell'Orto
https://forum.termometropolitico.it/617147-omofobia-sovietica.html
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