La differenza tra la "nuova sinistra" di Podemos e la "vecchia" sinistra italiana

mag 28, 2015 0 comments
Di Piero Sansonetti
Qual è la differenza tra Podemos e la piccola sinistra italiana? La stessa differenza che passa tra “libertà” e “autoimprigionamento”. Podemos è libera, respira aria fresca, guarda al futuro, non è obbligata a rendere conto delle sue azioni al tribunale dell’ideologia novecentesca. La sinistra italiana non ha la più pallida idea di come si possa fare per liberarsi del novecento senza, contemporaneamente, liberarsi dell’idea stessa di sinistra. Quei pezzi di sinistra italiana che, via via, dopo la caduta del Muro di Berlino, si sono misurati col problema di scrollarsi di dosso il peso della sinistra novecentesca, hanno risolto la cosa non cancellando il novecento ma cancellando la sinistra. D’Alema, Veltroni, e poi – alla grande – Renzi. Chi invece ha voluto restare fedele ai suoi valori di sinistra non è riuscito a non restare fedele anche al novecento.Vive ancora imprigionato in quel secolo e nei suoi schemi.
Probabilmente la ragione di questa difficoltà – di questa quasi paralisi – che impedisce l’innovazione (e infatti la sostituisce con la rottamazione, che è una cosa diversa, e spesso reazionaria) va cercata nel passato. C’è una parola che spiega molte cose: “comunismo”. O forse potremmo dirlo meglio: “Pci”. L’Italia è stato l’unico paese al mondo dove un partito comunista, il Pci, è riuscito in due opere impossibili: primo, essere sostanzialmente democratico; secondo, condizionare potentemente il governo del paese ed esercitare una larghissima influenza sulla sua intellettualità e sullo spirito pubblico. E il partito comunista italiano è stato uno dei due grandi protagonisti (insieme alla Dc) della costruzione di una Italia ricca e democratica.
Il Pci non c’è più. E’ sparito sotto le macerie del Muro di Berlino, ma comunque, quando il muro è venuto giù, era già in crisi. Aveva perso tutta la sua forza propulsiva, non aveva saputo misurarsi con le sfide del riformismo, stava subendo, stupito e furente, la modernità dell’avanzata, alla sua destra, del craxismo e del riformismo socialista e liberale. E’ sparito, il Pci, ma lasciando una specie di ombra, o forse di maledizione, dalla quale nessun brandello della sinistra del 2000 è riuscito a tenersi lontano.
La verità è questa: ogni volta che ci si mette a tavolino per pensare a una rifondazione della sinistra, pur senza dirlo, a quello si pensa: al Pci, a come poteva essere il Pci, a come ricostruire il Pci, a come scimmiottare il Pci. Persino i più giovani fanno politica con questa ossessione addosso. E se si continua a ragionare col retropensiero che “il Pci” sia il modello, è chiaro che non c’è nessuna possibilità di fare i conti con la modernità, e cioè di porsi il problema di immaginare una modernità di sinistra, diversa dalla modernità di destra e in grado di contrapporglisi. Mentre il problema, oggi, è proprio questo: come costruire una modernità di sinistra.
In Spagna la sinistra è rinata dimenticando il novecento. Anche perché in Spagna la sinistra non ha vissuto il novecento, o meglio l’ha vissuto in clandestinità, in esilio, sconfitta. E anche in Grecia è così. (Forse non è del tutto casuale che la sinistra del 2000 muova i primi passi proprio nei due paesi che hanno vissuto la dittatura fascista nel secondo dopoguerra). E di conseguenza la sinistra spagnola non è tenuta a rispettare le “regole dell’ideologia”.
Quali regole? Diciamo la verità: la sinistra italiana è ferma a Marx. E’ Marx che detta le regole. Nel migliore dei casi (quando ha provato a rinnovarsi ha addirittura sostituito Marx con i tribunali del popolo, le manette, il giustizialismo, figlio legittimo dello stalinismo). Ma Marx, forse, non serve più. Per una ragione semplice: che è completamente cambiato il funzionamento del lavoro e la sua funzione nella società e nella produzione della ricchezza. La sinistra italiana non riesce a staccarsi dall’idea che il lavoro sia al centro di tutto. Che sia la struttura. E siccome non è più così, perché i rapporti di potere, i conflitti sociali, la produzione economica, avvengono in larghissima parte fuori dall’aera del lavoro, e a prescindere dal lavoro, il risultato non può essere altro che l’azzeramento della politica della sinistra. Il suo annullamento.
Questo è successo in questi anni. Persino quei pezzettini di sinistra che hanno tentato comunque di mantenere vivida la fiammella del pensiero, e di costruire almeno una vocina critica, che desse fastidio al pensiero unico, sono stati schiacciati dalla loro inevitabile e crescente e assoluta marginalità. E così i flussi, inevitabili, delle spinte contro il potere, si sono tutti indirizzati verso destra, verso posizioni qualunquiste come il grillismo, o il leghismo, o il travaglismo. Gli spagnoli hanno Podemos, i greci Syriza, noi abbiamo Grillo e Travaglio, uomini di formazione conservatrice e con idee tipiche dell’estremismo di centro. Non ce ne va bene una…

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