Arabia Saudita:"Le frustate non fermeranno la mia lotta per i diritti", l'appello dal carcere del blogger perseguitato
Raif Badawi è da tre anni in prigione per aver chiesto la separazione fra Stato e religione. Per lui si sono mobilitati politici, intellettuali e organizzazioni internazionali. Nella giornata mondiale per la libertà di stampa racconta: “Io, umiliato davanti alla folla come punizione per ciò che ho scritto”.
Di Raif Badawi, da Repubblica, 4 maggio 2015
Mi ero assegnato il compito di proporre una nuova chiave di lettura del liberalismo in Arabia Saudita, per dare un contributo all’emancipazione della società nel mio Paese. Ho cercato di abbattere i muri dell’insipienza e la sacralità del clero, di diffondere un po’ di pluralismo e di rispetto per valori quali la libertà d’espressione, i diritti delle donne, delle minoranze e dei nullatenenti in Arabia Saudita: è stata questa la mia vita, fino al mio arresto nel 2012, quando sono finito in una cella, in mezzo a gente incarcerata per i crimini più diversi. Dagli assassini ai ladri, ai trafficanti di droga, fino ai pedofili, stupratori di bambini. La vita accanto a loro mi ha cambiato per molti aspetti, soprattutto sul piano puramente umano, cancellando molti dei miei precedenti stereotipi.
Immaginate di trascorrere la vostra vita quotidiana, fin nei suoi minimi dettagli, in una stanza di appena venti metri quadrati, condivisi con altre trenta persone incolpate di ogni possibile atto criminale.
In passato, prima di coricarmi avevo l’abitudine, probabilmente molto comune, di accertarmi che tutte le porte e finestre fossero ben chiuse, per timore dei delinquenti. Mentre ora vivo in mezzo a loro! Dormo, mangio, mi lavo, mi cambio, rido, piango, gioisco, mi arrabbio o grido … sempre in mezzo a loro, sotto i loro occhi. Dopo molti tentativi di abituarmi a vivere tra queste persone, ho fatto uno sforzo consapevole per vederle da un punto di vista diverso e solo dopo qualche tempo ho avuto la certezza che anche i criminali sanno ridere! Sì, anche loro amano, soffrono, e alcuni danno prova di una delicatezza, di una sensibilità umana così straordinaria che a volte soffro profondamente nel compararla a quella delle persone “normali” che un tempo mi erano vicine.
Recentemente, entrando in uno dei gabinetti, lo trovai cosparso di carta igienica lurida, con le pareti inzaccherate, la porta sconnessa, pieno di sporcizia ovunque: uno spettacolo angoscioso. Ma tant’è: dovevo pur ritrovarmi in quel caos, gestire al meglio la situazione. Mentre mi concentravo a decifrare le centinaia di scritte che imbrattavano quelle pareti appiccicose, mi saltò agli occhi una frase: «Il secolarismo è la soluzione!» Fui sopraffatto da uno sconfinato stupore. Mi sfregai gli occhi per convincermi che quella scritta esisteva davvero. Era come se in un misero locale notturno, in mezzo a un assembramento di squallide ragazze in vendita, entrasse improvvisamente, al tocco della mezzanotte, una bellissima dispensatrice d’amore, irradiando vita e gioia intorno a sé.
Non saprei dire tutto ciò che in quel momento mi passò per la testa, né perché mi fosse venuta in mente quell’immagine. A quanto pare, in questo nuovo tipo di vita l’uso di un cesso diverso può cambiare il destino. Le idee sfrecciavano nella mia mente mentre procedevo all’incombenza per la quale ero lì. Sorridendo, incominciai a riflettere su chi potesse essere l’autore di quella scritta, in quel carcere stracolmo di migliaia di delinquenti, condannati per reati comuni. Quella breve frase, così bella, così diversa, mi aveva riempito di stupore e di gioia. Se mi era dato di leggere quelle parole tra centinaia di volgarità in tutti i dialetti arabi possibili e immaginabili, di cui erano gremite le luride pareti di quel gabinetto, voleva dire che in questo carcere c’era da qualche parte almeno una persona capace di capirmi. Qualcuno che comprendesse le ragioni per le quali avevo lottato ed ero stato rinchiuso qui.
Pochi giorni dopo quell’esperienza, dovevo ricevere una notizia che avrebbe trasformato per me quel mondo di criminali in un vero paradiso: un paradiso con condizioni particolari, rispondenti ai miei personali criteri. Quando Enaf, la mia amatissima moglie, mi ha detto che un’importante casa editrice tedesca aveva raccolto e fatto tradurre i miei articoli per farne un libro, ho reagito dapprima con molto scetticismo. Sinceramente, devo dire che quando scrissi il mio primo blog non avrei mai immaginato di vedere un giorno i miei articoli raccolti e pubblicati in arabo — e men che meno in un’altra lingua!
Cara lettrice, caro lettore: se siete arrivati fin qui, vuol dire che siete interessati a leggere quanto ho da dire. C’è veramente chi pensa che io abbia qualcosa da dire. Mentre per tanti altri sono semplicemente un uomo comune, uno che non merita di vedere i suoi blog tradotti e pubblicati in un libro. Quanto a me, mi vedo semplicemente come un uomo esile ma tenace, sopravvissuto miracolosamente a cinquanta colpi di frusta, subiti davanti a una folla giubilante che urlava Allahu akbar : tutto questo a causa dei miei articoli.
Il tribunale mi aveva condannato a morte, vista la «gravità dell’apostasia e dell’offesa all’Islam» di cui ero incolpato. Poi la mia pena è stata commutata a 10 anni di carcere, mille frustate e una gravosa multa, di un milione di riyal. Oggi, nel momento in cui scrivo per voi queste righe, ho subito le frustate e scontato tre anni di carcere: mia moglie, sottoposta a pressioni sempre più forti, è stata costretta ad emigrare all’estero coi nostri tre figli.
Tutte queste crudeli sofferenze sono state inflitte a me e alla mia famiglia per la sola colpa di aver espresso la mia opinione.
Fonte:http://temi.repubblica.it/micromega-online/%E2%80%9Cle-frustate-non-fermeranno-la-mia-lotta-per-i-diritti%E2%80%9D-l%E2%80%99appello-dal-carcere-del-blogger-perseguitato/
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