È un lungo masso orizzontale ricoperto di misteriosi simboli e notevoli formazioni geometriche.
Gli indigeni Tupi che vivevano in questa zona la chiamavano “Itacoatiara”, che nella loro lingua significava semplicemente “la pietra”.
È lunga 26 metri e alta 4 e si trova nel bel mezzo del fiume Ingá, nei pressi dell’omonima cittadina a circa 96 km da João Pessoa, nello stato di Paraíba, a nordest del Brasile.
Il monolite di Ingá è completamente inciso con simboli e figure in bassorilievo che sembrano rappresentare animali, frutta, esseri umani e costellazioni come Orione e galassie come la Via Lattea. Altri simboli, invece, sono del tutto irriconoscibili.
Chi ha scolpito questo antico monolite ? Cosa voleva descrivere o significare? E’ possibile che i glifi incisi sulla roccia rappresentano un’antica lingua terrestre sconosciuta? Nonostante l’interessamento degli archeologi, ad oggi la Pietra di Ingá rimane ancora un enigma. Sono state avanzate molte teorie sull’origine e il significato dei misteriosi simboli, ma finora nessuno studioso è stato in grado di risolvere il mistero di Ingá.
Alcuni studiosi credono che si tratta di antichi simboli sacri scolpiti da antiche culture sudamericane; altri hanno ipotizzato che rappresenti la scrittura utilizzata da una antica civiltà sconosciuta che ha abitato la regione; altri, infine, spingendosi in ipotesi più eretiche, propongono addirittura che si tratti di un messaggio in codice lasciato da una civiltà extraterrestre.
In totale, la roccia conta circa 450 glifi. La questione è capire se quanto inciso sul monolite sia un’antica lingua. La maggior parte delle figure, infatti, sembra a prima vista astratta, ma i ricercatori ritengono che la Pietra di Ingá nasconda un antico messaggio cifrato. Il problema principale è che mancano paralleli su cui operare un confronto ed eventualmente tentare una traduzione.
Il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi, grande studioso di lingue antiche che ha trascorso buona parte della sua vita allo studio della Pietra di Ingá, sostiene che i glifi di Ingá sono simili in forma e dimensione a quelli delle culture mesopotamiche primordiali.
Per di più, a suo parere, la lingua Tupi – Guarani, parlata da molti gruppi etnici sudamericani, sembra avere una lontana origine comune con la lingua ittita, antico popolo indoeuropeo fiorito in Anatolia 3800 anni fa.
Come è possibile che due culture tanto lontane possano aver condiviso la comune origine del linguaggio e della scrittura? Baraldi trova in questa comunanza una prova dell’esistenza di una grande civiltà globale esistita più di 10 mila anni, nota più comunemente con il nome di Atlantide.
D’annunzio Baraldi, ricercatore indipendente e esploratore, è infatti considerato uno degli ultimi grandi atlantologi. Nella sua visione, alcuni gruppi umani originari del mitico continente sarebbero sopravvissuti alla catastrofico cataclisma avvenuto nel 9500 a.C., dirigendosi verso est, in Europa, e verso sud-ovest, in Brasile. Baraldi sostiene che i glifi della Pietra di Ingá raccontino proprio della grande catastrofe globale che causo la distruzione della civiltà atlantidea.
Se la tesi di Baraldi è corretta, significa che la Pietra di Ingá rappresenta un messaggio che gli antichi superstiti di Atlantide vollero lasciare ai posteri, come memoria del passato e come monito per il futuro. E ciò significa che non possono essere stati i nativi americani ad incidere i glifi sul monolite.
La scrittura dell’Isola di Pasqua
A sostegno dell’ipotesi atlantidea ci sarebbe la somiglianza dei glifi della Pietra di Ingá con la scrittura utilizzata dagli antichi abitanti della remota Isola di Pasqua, il Rongorongo. L’Isola di Pasqua (in lingua nativa Rapa Nui, letteralmente “grande isola/roccia”) si trova nell’Oceano Pacifico meridionale.
Si tratta di una scrittura con andamento bustrofedico e che, al momento, è stata solo parzialmente decifrata. L’isola di Pasqua è l’unica nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella propria storia una scrittura propria. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare non si tratta di una scrittura che utilizza geroglifici. La scrittura rongorongo non fu mai decifrata completamente e per molti decenni rimase incompresa.
Fu quindi solo grazie agli studi condotti dal tedesco Thomas Barthel e alla scoperta di una tavoletta che riportava un calendario lunare (oggi conservata nell’archivio dei SS Cuori a Grottaferrata nei pressi di Roma), la cosiddetta tavoletta Mamari, che si poté parzialmente decifrare alcuni simboli. Al momento (2009) in tutto il mondo esistono soltanto 26 tavolette, in buone condizioni ed autentiche al di là di ogni dubbio, scritte in rongorongo.
Alcuni intravedono una forte somiglianza tra l’alfabeto rongorongo e i simboli della Pietra di Ingá. È possibile che questa somiglianza avvalori l’ipotesi che gli abitanti primordiali del Brasile, della Mesopotamia e dell’Isola di Rapa Nui discendessero tutti da un’unica cultura globale spazzata via da un cataclisma?
La Pietra di Ingá rimane uno dei reperti archeologici più importanti degli ultimi tempi e il suo studio, e la sua eventuale traduzione, potrebbero svelare un passato molto diverso del nostro pianeta, raccontandoci di un tempo in cui i nostri antenati vivevano in un grande villaggio globale chiamato Atlantide.
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