Di Francesco Meneguzzo
Nel 1998, praticamente ieri nella storia semi-millenaria della fisica moderna, il cosmologo Michael Turner coniò il termine “energia oscura” per spiegare l’espansione accelerata dell’universo appena scoperta.
Sembrerebbe davvero misterioso il fenomeno di un universo che nella sua espansione accelera invece che rallentare, contrariamente a quanto farebbe supporre la forza di gravità che, essendo come tutti sappiamo attrattiva, dovrebbe trattenere le galassie invece che spingerle sempre più lontane le une dalle altre. Eppure già Albert Einstein nella sua teoria della relatività generale, nel lontano 1916, aveva dedotto che l’universo fosse in espansione ma, fermamente convinto della sua staticità come tutti i fisici contemporanei, “corresse” appositamente un risultato apparentemente inspiegabile.
Fu poi nel 1929 che l’astrofisico Edwin Hubble dimostrò che le galassie si allontanano progressivamente e che l’universo non è statico, ma si espande costantemente, evidenza riconosciuta dallo stesso Einstein. Il grande fisico americano Richard Feynman ipotizzò nei decenni successivi che nel vuoto fosse presente una forma di energia che esercita un’azione antigravitazionale, consentendo l’espansione dell’universo. Ancora non si sapeva, tuttavia, che tale espansione fosse perfino accelerata.
Per ragioni abbastanza complesse, questa energia oscura deve avere una densità costante e presupporre un universo piatto, o equivalentemente con raggio di curvatura infinito, in ogni dato istante della sua evoluzione. Soltanto in base a questa ipotesi, il potenziale di campo corrispondente all’energia oscura sarà positivo, oltre che ovviamente costante, e potrà superare il potenziale gravitazionale – che è sempre negativo – oltre una certa distanza tra due corpi nell’universo, determinandone la reciproca repulsione.
In pratica, superata una certa mutua distanza tra due galassie, queste si respingeranno invece che attrarsi.
Nonostante che la natura dell’energia oscura sia quanto mai sfuggente e qualsiasi tentativo di ricondurla alle teorie fisiche standard sia estremamente problematico, le conferme della sua esistenza si sono accumulate negli ultimi 15 anni.
Negli anni ’90 del secolo scorso, l’osservazione delle supernovae del tipo IA, vere e proprie “pietre miliari” del cosmo e utilizzate per calcolare le distanze nell’universo, ha permesso di dimostrare la validità della teoria dell’espansione dell’universo formulata daHubble e da allora ogni conferma che l’universo è piatto e si espande costantementehanno rappresentato più o meno esplicitamente anche conferme dell’ipotesi dell’energia oscura. Così è stato con l’esperimento italiano Boomerang che, nel 1998 e nel 2003, ha dimostrato l’assenza di curvatura dell’universo e ha fornito la stima più accurata della densità totale di massa ed energia nell’universo.
Considerando che secondo la celebre relazione di Einstein sull’equivalenza tra massa ed energia, E=m×c2 , l’energia oscura renderebbe conto di ben il 73% dell’universo, contro poco più del 4% della materia ordinaria che tutti conosciamo. Il resto, poco meno del 23%, sarebbe da ascrivere alla materia oscura su cui torneremo più avanti.
Altri dati importantissimi sono arrivati anche dal satellite della Nasa Wmap (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), lanciato nel 2001 e che nei suoi nove anni di attività ha dato alla cosmologia un contributo senza precedenti.
Più recentemente, alcune misure geometriche condotte su oggetti molto lontani, come galassie e ammassi di galassie, hanno fornito ulteriori conferme che l’universo è piattoe che l’energia oscura sarebbe effettivamente il motore che lo fa espandere: tra queste, quelle condotte nel 2010 sulla base dei dati forniti dal telescopio spaziale Hubble.
Rimane comunque un dilemma irrisolto: come sia possibile che una interazione repulsiva così pervasiva, letteralmente universale, come quella prodotta dall’energia oscura e dal relativo potenziale di campo, non sia stata mai osservata in modo più diretto rispetto alla sola espansione accelerata dell’universo.
Accanto al 73% di energia oscura, esiste poi l’evidenza che circa il 23% dell’universo sia costituito da materia oscura, dotata di massa ma assolutamente invisibile, non emettendo alcun tipo di radiazione. Da oltre 80 anni uno dei misteri più fitti per gli astrofisici, la materia oscura è rilevabile soltanto attraverso l’attrazione gravitazionaleche esercita sulle galassie, in un fenomeno che va sotto il nome di “lente gravitazionale”: questa curva la luce delle galassie nascoste dietro un ammasso di altre galassie, con un effetto di ingrandimento tanto maggiore quanto più è alta la concentrazione di materia, sia visibile che oscura.
Confrontando la massa delle galassie stimata in base alla dispersione delle relative velocità e in base alla semplice somma di tutte le masse delle galassie che compongono lo stesso gruppo, il primo metodo fornisce sempre un valore circa dieci volte superiore, come verificò per primo l’astronomo svizzero Fritz Zwicky nel 1933. Osservando i movimenti delle galassie nell’ammasso della Vergine, dopo aver fatto la stima di tutti i possibili margini di errore, giunse alla conclusione che la massa totale dovesse superare in maniera considerevole la somma delle masse di tutte le galassie che lo costituivano.
Sulla composizione della materia oscura esistono numerose ipotesi. Secondo alcuni potrebbe essere costituita da nane scure, buchi neri,neutrini o da un gas di ipotetiche particelle comparse nei primi istanti dopo il Big Bang, comunque dotate di debolissima interazione con l’ordinaria materia visibile, cosa che renderebbe difficile individuarle.
La mappa più dettagliata della materia oscura è stata ottenuta dal telescopio spaziale Hubble alla fine del 2010, sfruttando una sorta di lente di ingrandimento cosmica. L’osservazione è stata condotta da un gruppo di ricerca del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa nell’ammasso digalassie Abell 1689, a 2,2 miliardi di anni luce dalla Terra, mentre la grande quantità di antimateria scoperta nel 2009 dallo strumento Pamela (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics) è considerata la prima prova concreta dell’esistenza della materia oscura.
Numerosi esperimenti sono in corso, tra cui quello con l’acceleratore Lhc del Cern e neiLaboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), finalizzati alla caratterizzazione della materia oscura.
Molto recentemente, il fisico Chris Kouvaris della University of South Denmark ha avanzato l’ipotesi che la mancanza di evidenza sperimentale diretta della materia oscura dipenda dalla metodologia sperimentale. Kouvaris ha osservato che “sappiamo che circa il 5% dell’universo consiste della materia come la conosciamo e di cui siamo fatti, mentre il resto – che è sconosciuto – è chiamato materia oscura, che crediamo risieda tutto intorno a noi, incluso qui sulla Terra”. In un nuovo articolo scientifico, egli ha studiato la possibilità che la materia oscura possa in realtà interagire molto di più con la materia, cioè con gli atomi ordinari, di quanto si ritenesse finora, per cui rivelatori collocati nelle profondità della Terra, come in molti degli esperimenti correnti, possono essere “accecati” dal fatto che le particelle di materia oscura hanno perso molta della propria energia nel percorso fino al rilevatore: “In tal caso, avrebbe più senso cercare segnali della materia oscura sulla superficie della Terra”, sostiene Kouvaris. Per ovviare al problema del grande rumore di fondo prodotto dalla radiazione cosmica, Kouvaris e il coautore dell’articolo, Ian Shoemaker, propongono di cercare, invece della singola collisione di una particella di materia oscura col rilevatore, la variazione periodica del segnale complessivo dovuta alla rotazione della Terra intorno al suo asse: una successione di massimi e minimi ogni 12 ore.
Il video sottostante illustra sinteticamente i concetti fondamentali fin qui espressi, in particolare relativi all’energia oscura.
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