Di Filippo Burla
A partire dal 1 gennaio 2016 per andare in pensione non basteranno più gli attuali 66 anni e tre mesi di età, ma bisognerà aspettare 66 anni e 7 mesi. Quattro mesi in più che fanno salire l’asticella dell’età pensionabile per la pensione di vecchiaia.
L’aggiornamento al rialzo dei requisiti è conseguenza di una legge del 2010, firmata dal governo Berlusconi (ministro Sacconi), che prevede ogni tre anni una revisione sulla base dell’aspettativa di vita: se questa sale, di conseguenza si innalza l’età richiesta per accedere ai trattamenti Inps. Una misura scelta come ennesimo aggiustamento per tentare di garantire la solidità delle casse dell’istituto di previdenza.
I 66 anni e 7 mesi sono il valore di riferimento per la maggioranza dei lavoratori, tutti quelli del privato e del pubblico, i lavoratori autonomi e le lavoratrici del solo pubblico. Per le lavoratrici del privato si sale invece a 65 anni e 7 mesi dai 65 e 3 mesi precedenti, mentre le lavoratrici autonome raggiungono quota 66 anni e 1 mese.
Questi requisiti saranno validi dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2017. Solo due anni quindi, in quanto la revisione triennale prevista dalla riforma Sacconi è stata limata al ribasso da Elsa Fornero, che l’ha portata a cadenza biennale. Con il risultato che, se la tendenza fosse confermata, nell’arco di cinque anni (dal 2012 al 2017) l’età pensionabile verrà ad aumentare di quasi cinque anni.
Secondo le previsioni della Ragioneria generale dello Stato, elaborate sulla base dei meccanismi della riforma Fornero, le stime da qui al 2050 portano l’età pensionabile ad un costante aumento che arriverà a toccare la soglia psicologia dei 70 anni, con i contributi che dovranno raggiungere i 46 anni e 3 mesi.
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