Libia, i riflessi delle ombre siriane

feb 14, 2015 0 comments
Di Mattia Pase
Le ombre siriane, che fino ad ora avevano oscurato la crisi libica, si sono progressivamente allungate in questi mesi su Derna, e da lì sull’intera Libia, nel quarto anniversario della rivolta che, con il determinante intervento militare dell’Occidente, guidato dalla Francia, ha portato alla caduta e alla morte di Gheddafi.
La città costiera di Derna, da sempre considerata una delle più religiose dell’ex colonia italiana, è stata occupata a fine estate da un manipolo di reduci libici della guerra civile siriana che, innalzando la bandiera dell’Isis, hanno proclamato il “Califfato islamico di Derna”, offrendone il governo allo stesso Abubakr Al-Baghdadi che, da Raqqa, conduce la sua guerra contro chiunque non sia disposto ad assoggettarsi alla più estrema delle interpretazioni della Sharia, la legge islamica. E’ di questi giorni la notizia secondo cui anche Sirte, città in cui nacque e morì Gheddafi, sarebbe caduta nelle mani dei jihadisti del Califfato.
In realtà, la Libia è ben diversa dalla Siria e dall’Iraq, per composizione etnica e religiosa, e forse per questo nel 2011 si è arrivati a credere che sarebbe stato facile instaurarvi una simildemocrazia che tenesse buona la relativamente esigua popolazione (la Libia ha sostanzialmente gli stessi abitanti del Lazio su un territorio pari a sei volte l’Italia).
La superficialità, la miopia, o la malafede di chi quattro anni fa decise di supportare le fazioni che si opponevano al regime di Gheddafi erano già emerse negli scorsi anni, nonostante i trionfalistici annunci dei media occidentali sulla vittoria, alle elezioni del 2014, del fronte moderato. Dietro questa facciata infatti, non sono mai cessate lotte feroci fra le varie tribù libiche trasformatesi in bande armate, lotte che si svolgevano talmente alla luce del sole da costringere il Governo a riconoscere – nell’impossibilità manifesta di combatterle – una qualche forma di ufficialità a banditi con i quali nessun paese serio potrebbe mai pensare di scendere a patti.
Proprio a seguito della vittoria del fronte moderato nel giugno 2014 il Paese si è trovato spaccato in due dall’insurrezione degli islamisti che, avendo preso il controllo di Tripoli, hanno costretto il nuovo parlamento a tenere la seduta inaugurale a Tobruk, città vicina al confine con l’Egitto del “protettore” Al Sisi. Parlamento poi ritenuto incostituzionale dalla Corte Suprema di Tripoli (controllata anch’essa dagli islamisti), ma che continua ad essere l’unica autorità libica riconosciuta a livello internazionale. E che continua a riunirsi a Tobruk, visto che la Capitale è tutt’ora in mano alle milizie islamiste.
Sono seguiti scontri militari di diversa portata, che non hanno però deciso la situazione nell’uno o nell’altro senso, lasciando così aperto qualche spiraglio per un negoziato, ripreso pochi giorni fa nella cittadina carovaniera di Ghadames.
Fra le due parti però si è inserita Ansar Al Sharia (Partigiani della Sharia), alleata dell’Isis e avversaria di entrambi i governi che si disputano il controllo della Libia. E proprio l’alleanza – o la fusione – fra Ansar Al Sharia e Isis ha permesso a quest’ultimo gruppo di occupare Derna prima, Sirte oggi, e di operare indisturbato in diverse altre zone del Paese.
La comparsa delle bandiere nere del Califfo ha conseguentemente aperto un nuovo capitolo nella vicenda libica. I miliziani dell’Isis non sono affatto intenzionati a limitarsi al possesso di Derna, quasi ne volessero fare un’exclave africana del califfato siro-iracheno, ma si stanno muovendo per espandere il terreno sotto il loro controllo approfittando del caos, come dimostrato dalla presa di Sirte.
Per l’Isis, islamizzare la Libia significherebbe costituire una base operativa capace di sostenere gli oppositori del governo militare egiziano a Est, di dare supporto logistico alle componenti jihadiste di Tunisia e Algeria a Ovest, e di avvicinarsi geograficamente alle aree in cui operano i gruppi islamisti del Maghreb – che nel 2013 hanno messo a soqquadro il Mali – e l’agguerrita formazione nigeriana di Boko Haram, che a sua volta sta estendendo la propria operatività verso Niger e Ciad. Strategicamente, un colpo perfetto.
L’interesse dell’Isis a occupare l’intera Libia, e l’aumento delle capacità militari dei suoi uomini, sarebbero dimostrati, al di là della presa di Sirte, dai recenti attentati di Tripoli(all’ambasciata algerina e all’hotel Corinthia, che ospita il capo dell’autoproclamato governo islamista, vero obiettivo dell’assalto, nel gennaio 2015) compiuti dunque sul territorio controllato dagli oppositori del governo legittimo, e da alcuni attacchi e attentati nel sud del Paese e in Cirenaica, la regione in cui si trova Tobruk e in cui opera l’esercito di Haftar, generale golpista divenuto di fatto la principale forza armata a difesa del governo internazionalmente riconosciuto.
Il controllo di Derna, che ha una forte valenza simbolica per la storia stessa della città e della sua regione, è stato quindi solo il primo passo compiuto dall’ISIS per arrivare al controllo dell’intera Libia.
Il controllo delle città costiere ha anche due risvolti di natura economica. Da un lato infatti ogni porto libico è un potenziale sbocco per il contrabbando del petrolio, sulla falsariga di quanto già accade in Siria e Iraq, e dall’altro permette di controllare il redditizio traffico di esseri umani diretto verso le coste europee della Sicilia.
In aggiunta, gestire i traffici dei disperati verso l’Europa offrirebbe la possibilità di sfruttare questo canale per far entrare nel Vecchio Continente i potenziali terroristi di domani, come emergerebbe da un rapporto ripreso dai media libici, e come segnalato dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in una dichiarazione – poi parzialmente corretta – a un incontro con i 21 ministri degli esteri dei Paesi che formano la coalizione anti-ISIS.
Se questa ipotesi trovasse conferma, l’obiettivo sarebbe quindi di infiltrare i nuovi Cherif Kouachi e Amedi Coulibaly, per scatenare il terrore in Europa, come accaduto poche settimane fa a Parigi.
E proprio da Parigi, a suo tempo, partì la “crociata” a supporto dei rivoltosi di Bengasi che condusse alla caduta di Gheddafi. In questo senso, è facile immaginare sulla maschera mortuaria del deposto Rais un ghigno profetico, rivolto ai mandanti transalpini dei suoi assassini.

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