La simbologia dello specchio

feb 14, 2015 0 comments


Di Titus Burckhardt

Nella ricchezza dei simboli in grado di esprimere la mistica, scegliamo l’immagine dello specchio, giacché un tale simbolo, più di ogni altro, si presta a manifestare la natura di questa mistica, ossia il suo carattere essenzialmente “gnostico”, fondato su una percezione diretta. Lo specchio è infatti il simbolo più diretto della visione spirituale, la contemplatio, e in generale della gnosi, giacché attraverso di esso si trova concretizzato l’avvicinamento del soggetto e dell’oggetto. E’ ugualmente possibile dimostrare a partire da questo esempio in qual modo i diversi significati di un simbolo relativi a differenti livelli di realtà, che sembrano talvolta contraddirsi, siano profondamente legati tra di loro e ricongiunti nel significato più alto dell’immagine, che è un significato puramente spirituale. Questa molteplicità di interpretazioni fa parte del carattere del simbolo; è qui che risiede la sua superiorità rispetto alla definizione concettuale. Mentre quest’ultima integra un determinato concetto in un contesto logico e di conseguenza lo determina a un certo livello, il simbolo resta aperto, senza tuttavia essere impreciso; è innanzi tutto una “chiave” che dona l’accesso alle realtà che oltrepassano la ragione. Queste “realtà” che oltrepassano la ragione possono essere ugualmente chiamate “verità”; ed insistiamo su questo fatto, giacché troppo disinvoltamente oggi si accetta che il simbolismo possa avere una spiegazione puramente psicologica. L’interpretazione psicologica di un simbolo non va immediatamente scartata; può corrispondere a una possibilità; è necessario invece rifiutare la tesi secondo cui l’autentica origine di un simbolo andrebbe trovata nel sedicente “inconscio collettivo”, ossia nelle caotiche profondità dell’animo umano. Il contenuto di un simbolo non è irrazionale ma, se così possiamo dire, “sovrarazionale”, ossia puramente spirituale. Non affermiamo con questo una tesi nuova, ci riferiamo piuttosto alla conoscenza del simbolismo così come esso si trova in ogni autentica tradizione, e così come è stata esposta da autori come Rene Guenon, Ananda Coomaraswamy e Frithjof Schuon.
Ciò che desideriamo affermare è un principio: la simbologia dello specchio è a questo riguardo particolarmente istruttiva giacché lo specchio è, in un certo senso, il simbolo dei simboli. E in effetti possibile considerare la simbologia come il riflesso figurato delle idee non riducibili o degli archetipi. L’apostolo Paolo dice: “Noi ora vediamo in uno specchio, in enigma, ma verrà un tempo in cui vedremo faccia a faccia. Ora la mia scienza è parziale, ma verrà un tempo in cui io conoscerò per intero, come sono conosciuto” (I Corinti, 13, 12).
Qual è lo specchio in cui il simbolo appare come immagine di un archetipo eterno? Innanzi tutto l’immaginazione, qualora si consideri il carattere figurativo, “plastico”, del simbolo, contrariamente alla nozione astratta. Ma, in un senso più ampio, è la ragione che, in quanto capacità di conoscere e di discernere, riflette il puro spirito; e in un senso ancora più ampio, lo spirito stesso è lo specchio dell’Essere assoluto. Plotino dice dello spirito assoluto (nous) che esso contempla l’Uno infinito e che, attraverso questa visione che non è mai in grado di cogliere compiutamente il proprio oggetto, evidenzia il mondo come un’immagine sempre incompleta; è come un ininterrotto riflesso spezzato. Secondo il verbo del profeta Mohammed “Vi è per ogni cosa un mezzo per levigarla e ripulirla dalla ruggine. E ciò che serve a levigare il cuore, è il ricordo (dhikr) di Dio”. Il cuore, il vero centro dell’essere umano, è dunque come uno specchio che deve essere puro per poter ricevere la luce dello spirito divino. Proviamo a stabilire un confronto con il seguente dogma del buddismo T’chan del Nord: “Tutti gli esseri possiedono all’origine l’illuminazione spirituale, nello stesso modo in cui è nella natura dello specchio splendere. Se al contrario le passioni velano lo specchio, esso è allora invisibile, come se fosse ricoperto di polvere. Se i pensieri malvagi sono dominati e distrutti secondo le indicazioni del Maestro, essi cesseranno di manifestarsi. Allora lo spirito sarà rischiarato, secondo la sua stessa natura, e nulla vi resterà nascosto. È come la politura di uno specchio…” (Tsung-mt). Questa frase potrebbe trovarsi altrettanto bene in un testo sufi, ossia in un testo di mistica islamica. Quando il cuore è divenuto un puro specchio, allora il mondo vi si riflette come realmente è, ossia senza le deformazioni derivanti dal pensiero passionale. D’altro canto, il cuore riflette la verità divina in modo più o meno diretto, ossia dapprima sotto forma di simboli (ishârât), poi sotto forma di qualità spirituali (çifât) o di entità (a’yân), che sono la base dei simboli, e infine come verità divine (haqîqah).
Ricordiamo qui lo specchio sacro che ha una così grande funzione nelle tradizioni Tao e Shinto. Lo specchio sacro della tradizione Shinto, conservato nel tempio di Ise, rappresenta la verità o la veracità. Secondo la leggenda, venne fabbricato dagli dei per indurre la dea del Sole Amaterasu ad uscire dalla grotta in cui si era ritirata, in preda alla collera, e per restituire così la luce a mondo. Quando la dea lanciò uno sguardo all’esterno vide la propria luce nello specchio, la scambiò per un secondo sole e, spinta dalla curiosità, uscì dalla grotta. Questo suggerisce, tra l’altro, che il cuore, per la sua capacità di riflettere – per la sua veracità – attrae la luce divina.
Tutto quanto concerne la legge della riflessione può essere ugualmente utilizzato per descrivere il processo spirituale corrispondente. Secondo questi termini, l’immagine riflessa si comporta in maniera inversa rispetto all’immagine originaria. Così la Realtà divina, che abbraccia ogni cosa, appare nella sua immagine speculare come un centro ridotto a un punto inafferrabile. La felicità dell’Essere puro appare nel suo riflesso come un rigore che annienta, l’eternità come un momento fuggevole, e così via. Secondo la legge della riflessione l’immagine riflessa è simile all’immagine originaria da un punto di vista qualitativo, pur distinguendosi materialmente da essa; il simbolo Ã¨ il suo archetipo, nella misura in cui si faccia astrazione dai suoi limiti materiali – o immaginabili – e in cui si consideri solo la natura che gli è propria. In base alla legge della riflessione d’altronde l’immagine originaria appare più o meno completa e precisa, secondo la forma e la posizione dello specchio.
Ciò è ugualmente valido per la riflessione spirituale, ed è per questo che i maestri del sufismo dicono abitualmente che Dio si manifesta al proprio servitore secondo la disposizione e le attitudini del suo cuore. In un certo senso, Dio sposa la forma spirituale del cuore, esattamente come l’acqua assume il colore del suo recipiente. In questo senso, lo specchio del cuore viene anche paragonato alla luna che riflette la luce del sole in maniera più o meno perfetta secondo la sua posizione nello spazio. La luna è l’anima (nâfs), che è rischiarata dallo spirito puro (rûh), ma ancora prigioniera del temporale essa subisce un mutamento (tal-wîn) al livello della sua ricettività. Il processo della riflessione è forse il simbolo più perfetto per il “processo” della conoscenza che la ragione non riesce ad esaurire completamente quanto al suo significato. Lo specchio è ciò che esso riflette, nella misura esatta in cui lo riflette.
Finché il cuore – o lo spirito di conoscenza – riflette il mondo molteplice, esso è questo mondo, al modo di questo mondo, ossia con la separazione tra l’oggetto e il soggetto, l’interiore e l’esteriore. Ma nella misura in cui lo specchio del cuore riflette l’Essere divino, esso lo è contemporaneamente, nella maniera totale, indivisa, dell’Essere puro. E in questo senso che l’apostolo Paolo afferma: “Ma ora si riflette in noi tutti la luce del Signore a viso scoperto, e noi siamo illuminati nella stessa immagine da una luce all’altra…”.
Consideriamo ora lo stesso simbolo da un altro punto di vista. Hasan al-Basri, uno dei primi mistici dell’Islam, paragona il mondo nel suo rapporto con Dio al riflesso, che il sole proietta su una superficie d’acqua. Tutto ciò che possiamo percepire di questo riflesso proviene dalla sua immagine originaria, ma essa è indipendente dalla propria immagine riflessa e infinitamente superiore ad essa. Per meglio comprendere questo simbolo secondo la dottrina dell'”unità dell’esistenza” (wahdat al-wujûd), che occupa un posto fondamentale nella mistica islamica, è necessario ricordare che la luce rappresenta l’Essere e, di conseguenza, che l’oscurità rappresenta il nulla; che quanto è visibile è la presenza e che quanto non è visibile è l’assenza. Non si vede nello specchio che ciò che vi si riflette. L’esistenza dello specchio è tradita dalla possibilità di questo riflesso. In quanto tale, tuttavia, senza la luce che cade su di lui, lo specchio è invisibile, e ciò significa, secondo il senso del simbolo, che esso non è specchio in quanto tale. Esiste dunque un legame con la teoria indiana della Maya, la forza divina in virtù del cui potere l’infinito si manifesta in modo finito dissimulandosi sotto il velo dell’illusione. Tale illusione consiste precisamente nel fatto che la manifestazione, e ugualmente il riflesso, appare come qualcosa che esiste al di fuori dell’unità infinita. È la Maya che produce questo effetto – essa che, al di fuori dei riflessi che su di lei si proiettano, non è altro che una semplice possibilità o una capacità dell’infinito. Se il mondo in quanto totalità è lo specchio di Dio, allora l’uomo, nella sua natura originaria, che qualitativamente riassume in se stessa il mondo intero, è a maggior ragione lo specchio dell’Uno. A questo proposito, Muhýd-Din Ibn ‘Arabî (XII secolo) scrive: “Dio (al-haqq) volle vedere le essenze (a’yân) dei Suoi Nomi perfettissimi (al-asmâ al-husnâ), che il numero non è in grado di esaurire, – e se preferisci puoi ugualmente dire: Dio volle vedere la Sua essenza (‘ayn) sotto forma di oggetto (kawn) globale che, essendo dotato di esistenza (al-wujûd), riassume tutto l’ordine divino (al-amr), per manifestare in tal modo il Suo mistero (sirr) a Se stesso. Giacché la visione (ru’yâ) che l’essere ha di se stesso in se stesso non è simile a quella che gli offre un’altra realtà di cui si serve come di uno specchio: attraverso di esso egli si manifesta a se stesso nella forma risultante dal “luogo” della visione; quest’ultima non esisterebbe senza il “piano di riflessione” e il raggio che in esso si riflette…”. Questo oggetto, commenta Ibn ‘Arabi, è da una parte la materia originaria (al-qâbil), dall’altra Adamo; la materia originaria è in una certa misura lo specchio ancora oscuro e in cui non è ancora apparsa alcuna luce, ma Adamo al contrario è “la limpidezza stessa di questo specchio e lo spirito di questa forma”… (Fuçûç al- Hikam, capitolo su Adamo). L’uomo è dunque lo specchio di Dio.
Ma da un altro punto di vista, più segreto, Dio è lo specchio dell’uomo. Nella stessa opera (capitolo su Seth) , Ibn ‘ Arabi scrive ancora: ” …il soggetto che riceve la rivelazione essenziale non vedrà che la propria “forma” nello specchio di Dio; non vedrà Dio – è impossibile che Lo veda – , pur sapendo che egli non vede la propria “forma” nello specchio divino.
Questo è del tutto analogo a ciò che ha luogo in uno specchio corporeo: contemplandovi delle forme, tu non vedi lo specchio, pur sapendo che tu vedi quelle forme – o la tua stessa forma – soltanto in virtù dello specchio. Dio ha reso manifesto questo fenomeno come simbolo particolarmente appropriato alla Sua rivelazione essenziale, affinché colui al quale Egli Si rivela sappia che egli non Lo vede; non esiste simbolo più diretto e più conforme alla contemplazione e alla rivelazione stessa. Cerca dunque tu stesso di vedere il corpo dello specchio guardando la forma che in esso si riflette; non lo vedrai mai contemporaneamente ad essa. E questo è così vero che alcuni, osservando questa legge delle forme riflesse negli specchi [corporei o spirituali], hanno preteso che la forma riflessa s’interponesse tra la vista di colui che contempla e lo specchio stesso; ed è quanto di più alto essi abbiano raggiunto nel dominio della conoscenza spirituale; ma la realtà è quella che abbiamo espressa poc’anzi [ossia che la forma riflessa non nasconde essenzialmente lo specchio, ma che questo la manifesta]. Abbiamo del resto già illustrato questo punto nel nostro libro delle “Rivelazioni della Mecca” (al- Fu-tûhât al-Makkiyah). Se tu assapori ciò, assapori l’estremo limite che la creatura in quanto tale possa raggiungere [nella sua conoscenza “oggettiva”]; non aspirare dunque a nulla al di là di questo e non affaticare la tua anima ma nel tentativo di superare tale grado, giacché vi troveresti, in principio e definitivamente, soltanto pura non-esistenza [l’Essenza essendo non- manifestata]…”.
Su questo tema, Mastro Eckhart ha scritto: “L’anima contempla se stessa nello specchio della divinità. Dio stesso è lo specchio che egli svela e che egli vela a chi vuole… Nell’esatta misura in cui l’anima è in grado di oltrepassare ogni, parola, in questa misura essa si avvicina allo specchio. E nello specchio che si compie l’unione come un’uguaglianza pura e indifferenziata”. Il sufi Sohrawardì d’Alep (XII secolo) scrive che l’uomo sul cammino del proprio se, scopre dapprima che il mondo intero è contenuto in se stesso, essendo un soggetto conoscente; egli si vede come lo specchio in cui tutti gli archetipi eterni appaiono come forme effimere. Ma in seguito prende coscienza di non possedere alcuna esistenza propria; il suo Io in quanto soggetto gli sfugge e altro non gli resta che Dio come soggetto di ogni conoscenza. E Muhýd-Din Ibn ‘Arabî scrive: “Dio è dunque lo specchio in cui tu vedi te stesso, poiché tu sei il Suo specchio, e in esso Egli contempla i Suoi Nomi. Ed essi non sono altro che Lui stesso, in modo tale che la realtà si rovescia e diviene ambigua…”. In un caso come nell’altro, che Dio sia lo specchio dell’uomo o che l’uomo sia lo specchio di Dio, lo specchio ha sempre il significato di soggetto conoscente che, in quanto tale, non può contemporaneamente essere l’oggetto della conoscenza. Ma questo è valido senza alcuna riserva solo per il soggetto divino, il “testimone” eterno (shahîd) di tutti gli esseri manifestati; è lo specchio infinito, la cui “sostanza” non può essere colta in alcun modo, ma che tuttavia si può in un certo senso conoscere, giacche è possibile sapere che tutti gli esseri possono venir conosciuti soltanto in lui. Tutto ciò ugualmente chiarisce le parole che Dante fa dire ad Adamo, e sulle quali hanno avuto modo di confrontarsi molteplici interpretazioni. Adamo dice del desiderio di Dante:
perch’io la veggio nel verace speglio
che fa di se pareglio all’altre cose,
e nulla face lui di se pareglio.
(Paradiso, XXVI, w. 106-8).
E Fârid-ud-Dîn ‘Attar dice:
Venite, atomi erranti, ritornate verso il vostro centro e divenite lo specchio eterno che avete visto…
Fonte:http://www.centrostudilaruna.it/burckhardtsimbologiaspecchio.html

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