Di Johannes Schüller
La mostra speciale “Mattatoio 5”, organizzata dal Museo storico militare di Dresda, offre una prospettiva artistica e sfaccettata sull’entità della distruzione di Dresda. Una visita è caldamente consigliata.
Anche a 70 anni di distanza da una delle più grandi catastrofi della seconda guerra mondiale, la memoria non rimane muta. Chi ascolta i racconti degli abitanti di Dresda il 13 febbraio non può che constatare che l’annientamento della patria tanto familiare ai loro padri ha lasciato dietro di sé profonde tracce. Malgrado questo, la generazione che visse la guerra e il bombardamento di Dresda riesce a malapena a rievocare quei fatti. La lacuna, causata dalla sopravvenuta morte di molti testimoni, deve pertanto essere colmata.
Testimoni diretti e indiretti
Inevitabilmente sorge la domanda: come è possibile raccontare e comunicare gli eventi del 13-15 febbraio 1945 in maniera adeguata? Seguendo questa logica, il Museo storico militare di Dresda (Mhm) si è dedicato a questo particolare aspetto nel 70° anniversario del bombardamento. Le mostre speciali che qui si avvicendano di anno in anno, infatti, sono dedicate a tematiche che spesso – per lo meno negli ultimi anni – hanno riscosso l’interesse del pubblico, come per esempio l’evento Attentato a Hitler dell’estate 2014 e la mostra, ancora visitabile, 14 – uomini – guerra che racconta di alcuni destini individuali durante la Grande Guerra.
Raccontare gli eventi del febbraio 1945 costituisce però ancora una sfida particolarmente ardua da affrontare: di fronte agli slogan ugualmente eccessivi “olocausto di bombe” e “Bomber Harris fallo di nuovo”, ma anche tenuto conto della tesi ripetuta a mo’ di mantra – benché confutata da lungo tempo – secondo cui il bombardamento avrebbe rappresentato una conseguenza inevitabile e legittima della conduzione della guerra da parte tedesca, appare evidente che non è affatto facile rievocare le giuste proporzioni di quell’atto terroristico. È infatti forte il pericolo che gli attuali dibattiti distraggano l’attenzione da una doverosa memoria dei fatti del febbraio 1945.
Per questo motivo, sembra proprio essersi rivelata una scelta felice la rievocazione del bombardamento attraverso la letteratura: nelle diverse sale della mostra, infatti, il Museo ha dato voce agli scrittori più vari, sia testimoni oculari sia autori posteriori. Tra gli altri figurano scrittori presenti ai fatti come Erich Kästner, originario di Dresda, e l’autore contemporaneo Durs Grünbein, ma anche americani come Jonathan Lethem o Kurt Vonnegut insieme a rinomati scrittori tedeschi come Martin Walser, Walter Kempowski o Marcel Beyer. Altri artisti completano la serie, tra cui il pittore Otto Griebel, nativo di Dresda, e l’architettoRoman Halter, sopravvissuto all’olocausto. Degne di nota sono anche le memorie del cantore di DresdaRudolf Mauersberger: 11 suoi studenti persero la vita a causa degli attacchi aerei. Proprio quest’ultimo dato dimostra chiaramente che il bombardamento di Dresda fu un preciso atto di sterminio collettivo, poiché colpì sia collaboratori della dittatura nazionalsocialista, sia anche oppositori, ebrei, profughi, donne e bambini.
Gli uccelli carbonizzati piovvero dal cielo
Una delle immagini più impressionanti che rievocano l’entità di questo crimine di guerra è visibile già all’entrata. Riproduzioni delle carcasse degli uccelli carbonizzati illustrano il romanzo Kaltenburg (2008) di Marcel Beyer, che narra dell’ornitologo Hermann Funk, il quale da giovane perse i suoi genitori nella tempesta di fuoco di Dresda.
Qui Funk assistette alla caduta dal cielo degli uccelli sotto forma di corpi e piume di catrame e carbone. Le anatre sul lago si trasformarono in fiaccole viventi. “Come avrei potuto più distinguere le anatre, ora che tutti gli animali sull’acqua stavano bruciando?”, ricorda Funk in Kaltenburg. Beyer, classe 1965, non appartiene di certo alla categoria dei testimoni oculari, nondimeno nessun’altra immagine della mostra più di questi uccelli sarebbe in grado di lasciare una più viva impressione nei visitatori.
Uno dei testimoni oculari che visse l’esperienza dei bombardamenti sulla città in maniera senz’altro devastante fu Kurt Vonnegut, che al tempo si trovava a Dresda come prigioniero di guerra. Nel suo romanzo, impostato sotto forma autobiografica, Mattatoio 5 o La crociata dei bambini (1969), il quale dà il titolo stesso alla mostra, Vonnegut descrive come il soldato americano Billy Pilgrim sopravvisse al bombardamento in un ex mattatoio di Dresda. Il 13 e il 14 febbraio 1945 costituiscono qui solo un’autentica cornice alla trama, utile a salti e viaggi nel tempo, eppure l’impressione che se ne ricava sull’entità della distruzione rimane molto forte. Mentre l’opera di Vonnegut è ben poco conosciuta in Germania, negli Stati Uniti Mattatoio 5 suscitò invece un ampio dibattito sul bombardamento di Dresda.
Anche il poeta Durs Grünbein è un testimone oculare: benché sia nato nel 1964 e non abbia potuto assistere di persona all’annientamento della sua città natale, Grünbein crebbe tuttavia tra le macerie. Il suo poema Porcellana tratta esattamente di questa specie di “sindrome dell’arto fantasma” e si basa tra l’altro su una enorme collezione di cartoline con immagini della vecchia Dresda: “Il fiume, esile S, invitò gli stormi dei bombardieri. / Tempo non rimase alla città nella notte per vestirsi / la befana fonde metallo e vetro e pietra. / Bomba, bomba lustra e levigata, cadde nel pozzo”.
La via verso il “moral bombing”
Contestualmente sono presenti anche pannelli che illustrano le condizioni storiche e militari della distruzione di Dresda. Sebbene alcune città come Amburgo, Kassel o Würzburg siano state colpite dai bombardamenti alleati in maniera parimenti o addirittura più distruttiva, Dresda è nondimeno diventata il simbolo dell’annientamento sistematico delle città di cultura tedesche durante la seconda guerra mondiale.
La stessa guerra tramite bombardamenti è molto più antica, come documentato dalla mostra. I bombardieri, infatti, furono utilizzati per la prima volta nella guerra italo-turca (1911-1912), mentre già nella Grande Guerra tutte la potenze belligeranti fecero ricorso ai bombardamenti delle città nemiche. Il generale italiano Giulio Douhet (1869-1930), esperto della guerra aerea, fu tra i primi a teorizzare e sostenere i bombardamenti sulla popolazione civile. Il suo scritto Il dominio dell’aria (1921) influenzò peraltro molto presto la strategia britannica del “moral bombing” (ossia bombardamenti tesi a fiaccare il morale della popolazione nemica, ndt). Sotto questo aspetto vengono citate anche Coventry e Guernica come vittime degli attacchi aerei tedeschi.
Altri pannelli tentano di illustrare – per forza di cose in maniera solo superficiale – la vasta ricezione dell’annientamento di Dresda dopo il 1945. Particolare interesse desta qui l’articolo Dresda di Ulrike Meinhof, pubblicato nel 1965 per la rivista di sinistra radicale Konkret: “A Dresda la guerra anti-hitleriana è degenerata in ciò che si voleva combattere e forse si è anche combattuto, e cioè in barbarie e disumanità, per cui non può esistere giustificazione. […] Qualora si avesse bisogno di una prova del fatto che i governi belligeranti abbiano violentato i popoli, ebbene Dresda ne sarebbe la prova”. Ci sarebbe senz’altro da dubitare che i più tra coloro che scandiscono il motto “Bomber Harris fallo di nuovo” – i quali appartengono ugualmente alla sinistra radicale, ma che al tempo stesso sono antitedeschi – conoscano questo impressionate articolo di colei che sarebbe diventata più tardi una terrorista della Raf (Rote Armee Fraktion, ndt).
La mostra non intende inoltre sottrarsi al dibattito attuale: trovano spazio sia le strumentalizzazioni a fine propagandistico di entrambe le dittature tedesche, sia le attuali forme di appropriazione politica. Eppure lo stesso ricordo ufficiale (come quello del presidente della repubblicaJoachim Gauck) non è assolutamente esente da strumentalizzazioni ideologiche. Ma, a onor del vero, questo dibattito sembra esulare dall’ambito della mostra: in questo caso sarebbe stato più opportuno limitarsi alla documentazione artistica, invece di compiere incursioni in questo campo particolarmente politicizzato e non privo di roventi polemiche.
Ad ogni modo, chi non è interessato a tali polemiche, ma solo alla conoscenza della tragedia del febbraio 1945, resterà ben impressionato da questa mostra che ha il suo punto forte nella letteratura e nella pittura, il quale trova la sua sintesi più vivida nel ciclo di disegni La morte di Dresda del pittore Otto Griebel. Già solo per questo vale senz’altro la pena una visita a Mattatoio 5.
Traduzione di Ettore Ricci
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