Di Paolo Ermani
Fra i tanti consumi non indispensabili o superflui di sicuro la moda è uno dei principali. Se la crisi fosse davvero come ce la dipingono dovrebbe essere uno dei primi settori a subire vistosi crolli e invece succede esattamente il contrario, gode di buona salute. Cosa ci può essere di più effimero e insensato di qualcosa che dura una stagione, è fabbricato normalmente da schiavi o schiave di paesi lontani e viene rivenduto a prezzi alti o altissimi semplicemente perché c’è un marchio famoso apposto da qualche parte? Un extraterrestre sceso sulla terra si domanderebbe se ci ha dato di volta il cervello a spendere così tanto (un “tanto” che tutti dicono di non avere) per una firma di qualche eccentrico stilista che esporta soldi in paradisi fiscali e che noi continuiamo a rendere ricco sfondato e ad acclamare pure come genio italico. Tra l’altro questa moda non ha certo nulla a che fare con l’arte della sartoria artigianale.
Ci dicono che siamo in tempi di fame, eppure siamo sommersi da pubblicità di moda ovunque, dove soprattutto le donne sono oggetti. E praticamente nessuno si indigna più, tanto meno le donne che, anzi, sempre più spesso ritengono che la femminilità passi necessariamente dalla biancheria intima sexy o dai tacchi a spillo e guai a mettere in discussione questi sacri pilastri della nostra “cultura”.Esistono milioni di varianti per abiti che sono simili fra loro. Le gonne, i pantaloni quelli sono, i reggiseni pure ma vengono sfornati in combinazioni infinite facendo credere che il reggiseno x o y abbia un potere di seduzione irresistibile rispetto ad un altro qualsiasi e pressoché identico. Dietro a questo mercato ci sono sfruttamento e sofferenza e in Occidente ci si rende ridicoli considerandolo qualcosa di quasi sacro. In Italia l’apparire è una vera ossessione e conseguentemente nella maggior parte degli ambienti le persone non vengono considerate per il loro valore interiore ma per i capi che indossano, per lo charme che emanano, per la loro estetica, per quella cosa altrettanto ridicola chiamata “stile”. E così le persone alla disperata ricerca del loro stile continuano a riempire gli armadi di vestiti per poi buttarne ciclicamente la gran parte. Il paradosso di tutto ciò è che il settore dell’abbigliamento è uno dei tanti in cui, anche se non ci si comprasse quasi più niente, con tutto quello che si è accumulato e riparando ciò che si rompe, si potrebbe andare avanti tranquillamente per anni.
L’Italia ha la sfortuna di avere nella moda un settore importante dell’economia e quindi dobbiamo subire una pressione fortissima. Essendo poi anche merce di esportazione, veniamo identificati con un modello ben preciso dal resto del mondo. Così gli italiani sono riconosciuti per cose assurde come la Ferrari (un mostro per ricchi che divora benzina di cui di certo non si può essere orgogliosi) e la moda. Come se gli italiani fossero quello che indossano e quello che guidano; che magra figura. In questo modo esportiamo ovunque quanto di peggio, cioè un modello costoso di consumo per far diventare tutti manichini e patiti di oggetti di lusso. La moda ha un’influenza molto forte sulle persone e soprattutto su giovani e giovanissimi. Se non vesti in un certo modo, se non metti determinati vestiti, sei fuori dal gruppo, sei uno sfigato. Per non far sentire i propri figli inadeguati, i genitori sono disposti a spendere molti soldi in prodotti alla moda anche con imitazioni delle più famose griffe. Si può facilmente immaginare quale sia il disagio di chi si sta costruendo un’identità e che per essere considerato deve apparire e uniformarsi a modelli preconfezionati dettati da avidi responsabili marketing. Come cresceranno queste persone che penseranno di dover sempre aderire ad un modello che non è il loro? Viene anche fatto credere che scegliere fra mille paia di scarpe simili sia motivo di originalità e libertà. Una originalità dettata da altri e una libertà di scegliere il prodotto che più ci aggrada fra quelli che la moda impone. Il lavoro dei pubblicitari di moda e di tanti prodotti simili è meschino e subdolo perché fa leva sul bisogno di accettazione delle persone per poi fargli comprare ogni sorta di idiozia, ad iniziare appunto da un abbigliamento costoso. Ma se tu dipendi da quello che indossi, da quello che gli altri si aspettano e dicono di te, non puoi lamentarti se poi chi si avvicina a te lo fa per quello che appari e non per quello che sei, con tutte le psicologicamente nefaste conseguenze del caso. La moda, l’estetica, l’apparenza, che piaccia o meno, sono troppo spesso sinonimi di superficialità e non ci si può lamentare o dare la colpa agli altri se dopo esserci confezionati come oggetti, gli altri ci lasciano per oggetti più affascinanti, magari più giovani o semplicemente più alla moda. Se si punta alla superficialità, si rischia di ottenere superficialità, se si punta alla profondità probabilmente si riceverà profondità.Tutto ciò ovviamente non significa andare vestiti di sacchi di juta o tutti uguali, ma da qui a spendere cifre ingenti per vestirsi ed essere ossessionati dal proprio apparire, c’è un abisso. Diamo la giusta (poca) importanza all’apparenza e agli oggetti. Ci sono paesi e luoghi dove la pressione dell’estetica e dell’apparire è molto meno forte che in Italia e le persone vanno in giro vestite come credono e ben pochi ci fanno caso; questo rende le persone più leggere e libere, fa sprecare loro molto meno tempo a vestirsi e prepararsi prima di uscire di casa. La moda è una prigione mentale e uno spreco di soldi, emanciparsene non può che fare bene allo spirito, alla vera autostima (quella che non si avvale delle apparenze) e al portafogli.
Ciao, io so bene che gli sconti stanno facendo nel mio stipendio sono trattati, e per questo mi piacerebbe ottenere il numero verde noipa di spiegare me
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