Di Salvatore Santoru
Recentemente il premier Matteo Renzi ha definito il "Jobs Act" fondamentale e necessario per la crescita economica dell'Italia, in un' intervento pubblicato per il noto quotidiano inglese "Economist".
Intanto, diverse critiche bipartisan sono giunte verso tale provvedimento, a partire da Landini passando per Renato Brunetta, che ha definito in un articolo sul "Giornale" tale misura "un'imbroglio", e un "un pasticcio contro i lavoratori, le imprese, i giovani, il mercato del lavoro e anche contro il buonsenso".
L'ex viceministro Stefano Fassina ha dichiarato che l'obiettivo vero della misura è " la libertà di licenziamento", e il sociologo Luciano Gallino in un articolo su "Repubblica" del 18 novembre ripreso nell'edizione online dalla rivista Micromega, ne ha elencato gli effetti nefasti.
In tale articolo, Gallino ha scritto che "uno dei principali esiti del Jobs Act, a danno dei lavoratori, sarà la liquidazione di fatto del contratto nazionale di lavoro (cnl), in attesa di una legge che ne sancisca anche sul piano formale la definitiva insignificanza rispetto alla contrattazione aziendale e territoriale", e che "oltre che tra i lavoratori e le classi possidenti, le disuguaglianze aumenteranno tra gli stessi lavoratori", visto che "la facoltà conferita alle imprese, comprese decine di migliaia medio-piccole, di regolare mediante accordi sindacali anche locali sia il salario, sia altre condizioni cruciali del rapporto di lavoro, avrà come generale conseguenza una ulteriore riduzione dei salari reali e con essi della quota salari sul Pil. In fondo, è uno degli scopi del Jobs Act, anche se non si legge in chiaro nel testo".
Insomma, una misura che promette ben poco di buono, al di là dei proclami demagogici dell'ex sindaco di Firenze.
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