Ecco perché il liceo classico non deve morire
Di Angiola Codacci Pisanelli
Maledetto liceo classico. Tutta colpa sua: il degrado del Paese, l’inconcludenza dei politici, la poca competitività delle aziende, la credulità della gente... Tutti i mali d’Italia nascono da qui. Anche se ormai lo sceglie solo il sei per cento degli studenti (e per la maggioranza ragazze, statisticamente destinate più a una carriera da insegnanti che a manovrare le leve del potere) è comunque considerato la fucina delle élite intellettuali di un Paese che ormai, delle élite e degli intellettuali, pensa di poter fare una sola cosa: rottamarli.
Benedetto liceo classico. È l’anima dell’Italia migliore. Prepara alle professioni del futuro (Umberto Eco), insegna a ragionare e a resistere (Luciano Canfora), e questo perché grazie alle “lingue morte” propone veri “ problemi da risolvere ” e non semplici “esercizi da eseguire” (Dario Antiseri). Gli dobbiamo gran parte di quello che di buono ha ancora l’Italia: da Fabiola Gianotti a Daniele Dorazio , fisico incompreso chiamato dal Cern ma bloccato dal suo liceo di Brindisi, ben più del sei per cento degli italiani che fanno fortuna all’estero hanno in tasca una maturità classica.
Eppure ogni volta che si parla di limiti della scuola italiana, il primo imputato è il liceo classico: protagonista in questi giorni di un vero “ Processo ”, organizzato dalla Fondazione San Paolo al Teatro Carignano di Torino (all’accusa l’economista Andrea Ichino , alla difesa Eco). Critiche periodiche che sono destinate a riattizzarsi con la scadenza (il 15 novembre) dei termini per commentare il progetto di riforma per “ La buona scuola ” del governo Renzi. Il 3 dicembre saranno presentati i nuovi dati sullo stato delle scuole superiori raccolti dal consorzio Almalaurea, il 4 e 5 dicembre e si farà il punto su dieci anni ditest Invalsi per la valutazione dell’istruzione scolastica.
Di certo un pregio ce l’ha, il classico, e dovrebbero riconoscerglielo anche i suoi detrattori più accaniti: basta sparargli contro per conquistare ben più di un quarto d’ora di attenzione. Ne sa qualcosa Michele Boldrin, cervello in fuga (insegna economia a St. Louis) e aspirante riformatore del Paese, anche se il suo progetto di “Fare per fermare il declino” si è schiantato sul curriculum falso di uno dei co-fondatori, Oscar Giannino. Che per ironia della sorte aveva mentito su tutto tranne che su un punto: aveva la maturità. Classica.
Qualche settimana fa Boldrin in un video sul sito di istruzione libera Oilproject ha tuonato contro « la maledetta cultura del liceo classico » che produce «mostri politici» come il ministro Dario Franceschini , reo di aver risposto all’amministratore delegato di Google che accusava la scuola italiana di «non formare persone adatte al nuovo mondo» che uno studente italiano «forse sa meno di informatica ma più di storia medievale, e nel mondo questo può essere apprezzato».
Peccato che Franceschini abbia fatto il liceo scientifico, non il classico, gli ha fatto notare Tullio de Mauro, linguista e tra i massimi esperti di istruzione, dalla sua rubrica su “Internazionale”. Ma l’attacco era già andato oltre, come ha mostrato un altro dei rottamatori “a distanza” dell’Italia di oggi, il finanziere renziano Davide Serra. Che in margine al recente raduno alla Leopolda ha trovato modo di spiegare la sua visione dell’istruzione: «La cultura umanistica ha fatto il suo tempo. Lo dico sempre ai miei bambini: bisogna essere cool, diventare matematici».
L’attacco non è più solo al liceo classico, dunque, ma a tutta la struttura dell’istruzione superiore. Che del resto è messa in gioco proprio in questi ultimi mesi da una delle riforme promesse da Renzi, quella che porterà a “La buona scuola”. Progetto di 120 pagine presentato all’inizio di settembre e disponibile sul sito del ministero della Pubblica Istruzione, commenti e proposte aperti a tutti. Cosa ne nascerà? Difficile immaginarlo anche perché solo uno dei sei punti della proposta punta a «ripensare ciò che si impara a scuola»: e infatti commenti e polemiche finora si sono concentrati su ruolo, formazione, assunzioni e carriera dei docenti.
Tra le materie da aggiungere o migliorare il progetto elenca discipline artistiche (arte, musica, disegno) e pratiche (inglese, educazione fisica, informatica). E già delinea il «punto di arrivo»: «Un sistema che permetta ad ogni scuola di progettare ciò che insegna. Partendo da un “cuore” di discipline di base snello e comune a tutti, e dando alle scuole la possibilità di modulare la propria offerta attraverso la scelta di diverse discipline opzionali».
È un “punto d’arrivo” che somiglia molto al liceo “della libera scelta” che è nei sogni di molti. Ben diverso da quello italiano impostato su una struttura ferrea, nata dal lavorìo secolare di esperti di pedagogia. «Un liceo che non è stato inventato di sana pianta da Giovanni Gentile ma che deriva dall’impostazione liberale del decennio giolittiano», ricorda De Mauro a chi considera le radici del Classico nel ventennio fascista la sua prima tara insanabile.
Fonte e articolo completo:http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2014/11/13/news/ecco-perche-il-liceo-classico-non-deve-morire-1.187894?ref=HRBZ-1
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