Di Claudio Novelli
L’edonismo è un fenomeno che fu teorizzato molto tempo fa – ha rappresentato un pensiero filosofico centrale nella ricerca di molti autori – anche se quello che oggi definiamo edonismo di massa è qualcosa di diverso e ben identificato. In particolare, dal secondo dopoguerra in poi, questa espressione ha coinciso con la logica della società dei consumi laddove si è sviluppata una tendenza le cui radici si mantengono salde a tutt’oggi.
L’edonismo – il godimento fine a sé stesso – veicolato attraverso la televisione ebbe modo di diventare un vizio globale, un’ossessione che oggi consideriamo naturale proprio perché siamo nati in questa epoca e non riusciamo ad immaginare un’alternativa reale: dunque l’edonismo di massa.
Non sono qui certo a voler riprendere la storia dell’edonismo; bensì mi interessa osservare l’accezione narcisistica del termine, della nostra persona come centro di accadimenti, del voler ritagliarsi il proprio spazio di contemplazione estatico ed estetico. In particolare quello che mi preme dire è che se un tempo la televisione ha incondizionatamente amplificato il fenomeno – massificandolo – quello che oggi si verifica ha una portata ben più ampia. Mi riferisco al mondo virtuale, dei social network e della consequenziale perdita di charm del mezzo televisivo.
Io credo che il quadro attuale rappresenti uno stadio ben più avanzato del pensiero edonistico così come concepito negli anni passati. Ognuno di noi abbraccia la propria fisicità, il proprio pensare, la propria fede. Non sono questi ovviamente aspetti di per sé negativi, ma asserviti alla logica edonistica rivelano il proprio essere effimeri. Dalla accecante volontà di essere ammirati. Sentimenti questi non nuovi ma osservabili da una nuova prospettiva e che, a mio avviso, porta con sé la straziante coscienza dell’essere – ma direi più del non essere – oltre tutto ciò. La verità risiede in altri piani ed abbandonarsi all’edonismo così ciecamente non può significare nulla di positivo.
La vanità considerata come virtù, come modo spontaneo di ricercare la propria identità è cosa di immediata palpabilità, non riconoscerla è d’altro canto tutt’altro che ingiustificabile. Basti pensare a facebook come luogo di eccitazione della personalità, punto di incontro di profili; persone che nell’euforia di rendere nota la propria immagine si prestano ad attività insensate al di fuori di quel contesto, ma fatte passare per identificative.
Oggi viviamo ancora la fase genetica del processo e fare delle previsioni risulterebbe azzardato, tuttavia quello che stiamo metabolizzando è la normalità dell’essere oggetto della superficiale ed ottusa osservazione globale. In altre parole considerare come necessario inebriarsi della propria individualità ma emarginandola ad una condizione di mera pubblicità.
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