Di Tommaso Segantini
Oggi, quando si viaggia, le similitudini tra il posto lasciato e la destinazione sono sempre maggiori. Le differenze culturali, anche se molto meno di prima, per fortuna ci sono ancora, ma i negozi, i prodotti venduti, i servizi offerti, sono quasi sempre gli stessi in ogni angolo del pianeta. I giovani cinesi si vestono come i ragazzi di Roma, la marca di cellulare di un indiano è la stessa di un abitante del Brasile. Tutto questo non è nient’altro che il risultato di una vera e propria invasione delle multinazionali, che stanno sopprimendo le spettacolari diversità tra i popoli e tra i vari territori, e che sono ormai diventate esportatrici del modello Occidentale su scala globale, come se fosse il migliore e l’unico possibile per il progresso dell’umanità .
Le multinazionali, grazie alle politiche neoliberiste dell’ultimo trentennio di radicale liberalizzazione globale del commercio e di deregolamentazione sul flusso di beni e capitali, si sono espanse e sono diventate le nuove superpotenze economiche mondiali. Queste gigantesche imprese assumono migliaia di lavoratori in ogni parte del mondo, e i guadagni di alcune di esse sono spesso maggiori del PIL di certi Paesi: per esempio, nel 2011, i guadagni di Yahoo (6.3 miliardi di dollari) erano maggiori del PIL della Mongolia (6.13 miliardi di dollari), o ancora la Nike, che ha guadagnato 19.15 miliardi di dollari, cifra superiore al PIL del Paraguay (18.5 miliardi di dollari). Uno studio della Institute of Policy Studies ha mostrato che tra le principali 200 potenze economiche mondiali, 133 sono multinazionali, mentre solo 67 sono Stati.
Il problema oggi è che il potere delle multinazionali non è solo economico, ma si è esteso anche alla politica. Le multinazionali possono esercitare il loro potere politico influenzando le decisioni dei governi grazie a gruppi di pressione (lobbies), finanziando partiti (come avviene negli Stati Uniti), oppure direttamente corrompendo i funzionari pubblici. Tutto questo rende le decisioni politiche poco trasparenti agli occhi degli elettori, e soprattutto pone il dubbio se le decisioni siano state prese nell’interesse del bene pubblico (che dovrebbe essere la priorità dello Stato, della politica) o se siano state prese per fare gli interessi della multinazionale, che quasi mai coincidono con quelli dei cittadini.
Il processo democratico viene dunque completamente alterato dall’enorme potere delle multinazionali. La democrazia non è più nè governo “del popolo”, visto che le decisioni non le prendono più autonomamente i rappresentanti eletti dai cittadini, nè governo “per il popolo”, poichè le decisioni non sono più prese per perseguire il bene comune, ma in vista di un profitto, unico scopo delle multinzionali. Se a questo svuotamento dei valori di base della democrazia rappresentativa aggiungiamo la strumentalizzazione dei mezzi di informazione, schiavi di queste potenze economiche, che tendono a legittimare le azioni di queste imprese, presentandole come società che agiscono per il bene dell’umanità , l’impressione, inquietante, è che il mondo di oggi assomigli più allo stato totalitario Orwelliano che alla società aperta di Popper.
La politica oggi è sottomessa a queste entità sovranazionali, sono dominate da esse. I partiti politici tradizionali (centro-sinistra e centro-destra) non rappresentano più una alternativa perchè sono entrambi, in egual misura, obbligati a piegarsi di fronte alle richieste delle multinazionali. Il potere decisionale non è più nelle loro mani. Chi prova ad opporsi all’egemonia neoliberista, su cui poggia il potere di queste entità , viene subito etichettato come antidemocratico, come ostacolo al buon funzionamento del mercato, viene definito “estremista”, facendo riferimento al fascismo o al comunismo, le ideologie del Novecento ormai superate da decenni, ma che oggi servono ancora per distrarre l’opinione pubblica dalla vera contraddizione, i rapporti di forza capitalistici. La politica, sia a destra che a sinistra, sembra confidare in una sorta di mercato che sia in grado di autoregolarsi, non prende mai posizione contro la finanziarizzazione dell’economia, che tende sempre di più ad allontanarsi ai bisogni reali delle persone, non si oppone al fenomeno della globalizzazione economica e culturale in corso. La tendenza è quella di accettare passivamente il presente cosi com’è.
Bisogna rendersi conto che la dicotomia destra e sinistra è ormai superata, che la democrazia rappresentativa oggi è pura apparenza, vista l’assenza di partiti con una visione del mondo alternativa, e che la politica non è piu sovrana sulle questioni economiche; il potere è in mano a società private che ormai regolano la totalità degli aspetti economici, politici e sociali delle nostre società e delle nostre vite.
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