Di Simone Zoppellaro
L’estate scorsa, pochi giorni dopo ferragosto, è uscita una notizia di quelle che meritano di non passare inosservate: a sessant’anni esatti dai fatti, la CIA ha per la prima volta ammesso apertamente la sua responsabilità nel colpo di stato che portò il 19 agosto 1953 al rovesciamento del governo del primo ministro iraniano Mossadeq.
Lo ha fatto desecretando una serie di documenti, tuttora disponibili sul sito del National Security Archive [The George Washington University, ndr], che sono utili per tornare a riflettere su quello che in essi è definito “un atto della politica estera statunitense, concepito e approvato dai più alti livelli di governo”. Un evento che, se tralasciato, rischia di far apparire come pura idiozia – e tale è in effetti il caso, fin troppo spesso – ogni possibile riflessione sulle future evoluzioni dell’Iran e del Medio Oriente, e sulla rivoluzione islamica in primis.
Al centro del contendere, ieri come oggi, la questione petrolifera. L’inglese Anglo-Iranian Oil Company, fondata nel 1908 in seguito alla scoperta di un vasto giacimento petrolifero nella cittadina di Masjed Soleyman, aveva mantenuto inalterato fino a dopo la seconda guerra mondiale il suo monopolio sull’industria petrolifera del paese. Un controllo che si estendeva su tutte le fasi del ciclo produttivo, dall’esplorazione alla produzione, dall’estrazione all’esplorazione, e che lasciava in mano iraniana solo le briciole di quei proventi, e nessuna voce in capitolo sulla gestione di quella che era di gran lunga la voce più importante della sua economia.
Iniziò così a farsi strada nella fascia più consapevole della società iraniana l’idea che la battaglia per una sovranità effettiva passasse inevitabilmente per la nazionalizzazione del petrolio. L’Iran dei primi anni cinquanta era un paese povero e prostrato, umiliato da una doppia invasione inglese e sovietica durante l’ultima guerra e dalla forzata abdicazione, voluta dalle due potenze, dello scià Reza Pahlavi, morto in esilio nel 1944. In questo contesto, alta nella sua statura morale, emerse la figura di Mohammad Mossadeq.
Assai lontano dall’immagine stereotipa che si può avere di un leader anti-imperialista, Mossadeq fu ciò si potrebbe definire un politico liberale. Laureato a Parigi, proseguì ottenendo un dottorato in legge in Svizzera, a Neuchâtel. Per uno di quei strani paradossi della storia, volle che i suoi nipoti studiassero in quello stesso paese – l’Inghilterra – che contribuì a porre termine nel modo più odioso alla sua carriera politica: con un colpo di stato e la prigione.
Un carriera iniziata molto prima, agli albori del secolo, negli anni che portarono all’approvazione nel 1906 di una costituzione a cui Mossadeq resterà fedele per tutta la vita. Dopo aver svolto negli anni diverse funzioni (governatore del Fars e dell’Azerbaigian, ministro delle finanze e degli esteri), Mossadeq salì alla ribalta internazionale nel 1951, quando fu eletto primo ministro con il preciso impegno – subito rispettato – di nazionalizzare il petrolio.
Non bastò l’appoggio popolare, immenso, di cui godeva il suo governo: un’imponente macchina orchestrata dalla CIA e dall’MI6 inglese, fatta di menzogne e propaganda, sanzioni e pressioni internazionali, corruzione e ricatti a forze armate e uomini politici (incluso il giovane scià , in un primo momento riluttante a inimicarsi l’opinione pubblica), riuscì a piegare Mossadeq e il suo governo, ponendo fine a quella che fu forse stagione più fulgida della recente storia iraniana.
L’immagine dell’anziano Mossadeq asserragliato in casa insieme a pochi fedelissimi, ferito sotto i colpi dei carri armati Sherman che la assediavano, rimarrà impressa a lungo nella memoria degli iraniani. Come resterà l’idea – chiara tanto all’ultimo scià che ai leader della Repubblica islamica – che il pluralismo, le libertà di stampa e di associazione, rischiano di essere dei segni di debolezza inammissibili in un contesto come quello iraniano. Come disse l’attuale guida suprema Khamenei nel 1981, durante la commemorazione della morte di Mossadeq: “Non siamo certo dei liberali come Allende, desiderosi di farsi spazzare via dalla CIA”.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione