Di Stefano Falcini
Uno dei mali più grossi del momento che stiamo vivendo è il primato dell’efficientismo.
È in nome dell’efficientismo, ad esempio, che lo Stato impone tasse sempre più pesanti ai suoi cittadini; l’efficientismo del dover far quadrare i conti ed i bilanci, del dover far rispettare leggi indipendentemente dal significato, dalla reale utilità e dalle conseguenze che tali leggi possono produrre.
In tal modo, secondo la logica dell’efficientismo, nessuno è più responsabile delle proprie azioni. Tutti sono dei semplici esecutori, occupati a far rispettare regole e provvedimenti che qualcun altro ha deciso; non è lo Stato, ad esempio, che decide in prima persona ciò che accade ai suoi cittadini e quindi, non si ritiene nemmeno responsabile, in quanto si limita ad applicare indicazioni e parametri imposti da organismi superiori e sovraordinati (l’Europa, l’Onu ecc).
È in nome dell’efficientismo, ad esempio, che lo Stato impone tasse sempre più pesanti ai suoi cittadini; l’efficientismo del dover far quadrare i conti ed i bilanci, del dover far rispettare leggi indipendentemente dal significato, dalla reale utilità e dalle conseguenze che tali leggi possono produrre.
In tal modo, secondo la logica dell’efficientismo, nessuno è più responsabile delle proprie azioni. Tutti sono dei semplici esecutori, occupati a far rispettare regole e provvedimenti che qualcun altro ha deciso; non è lo Stato, ad esempio, che decide in prima persona ciò che accade ai suoi cittadini e quindi, non si ritiene nemmeno responsabile, in quanto si limita ad applicare indicazioni e parametri imposti da organismi superiori e sovraordinati (l’Europa, l’Onu ecc).
Le principali conseguenze di questo meccanismo sono la deresponsabilizzazione e la perdita di potere, il che significa che anche chi occupa posizioni e ruoli di rilievo (di potere) non ha più alcun potere reale sul suo operato. Il vero potere, infatti, non è legato a un qualche tipo di riconoscimento formale ma è un attributo personale, e coincide con la percezione della propria capacità di influenzare le cose e poter cambiare se stessi e le proprie circostanze esterne.
Pensiamo, ad esempio, all’impiegato dello sportello a cui ci rivolgiamo per sbrigare delle pratiche, o all’insegnante o anche al medico; schiacciati dalle incombenze burocratiche, rischiano di perdere di vista il senso del loro lavoro come servizio, che ha come obiettivo primario la soddisfazione della persona e dei suoi bisogni. Prioritario, invece, diventa il rispetto delle procedure ad ogni costo, il rispondere a criteri di efficientismo e di burocrazia, perseguendo obiettivi di risultato; le persone diventano dei numeri, pratiche chiuse con successo o ancora da evadere, studenti nella norma o “problematici”, casi risolti o malattie incurabili.
Questa ricerca esasperata e sempre più diffusa dell’efficientismo crea una 'massa critica' che finisce per travolgere l’individualità del singolo, alimentando nelle persone una percezione di perdita di potere e un senso di sfiducia e d’impotenza. Cos’è la 'massa critica'? Semplicemente un insieme di pensieri, convinzioni e prassi consolidate e sedimentate nel tempo, al punto tale da diventare patrimonio collettivo e condizionare l’atteggiamento mentale e il comportamento della massa delle persone, indipendentemente dal fatto che ne siano consapevoli.
Un fenomeno socio-economico indotto dall’alto arriva così a condizionare milioni di persone.
Per svincolarci da questo enorme processo manipolatorio, che del resto è la causa principale della nostra insoddisfazione e infelicità , è quindi necessario riprenderci il nostro potere personale, uscendo dagli schemi e dai condizionamenti limitanti che la cultura e i mass-media ci propongono. Come? Come primo passo, semplicementeriappropriandoci di ciò che è già nostro, ovvero recuperando la consapevolezza (perduta) del nostro potere, della nostra grandezza e delle potenzialità che sono in noi.
Questo richiede un cambio di prospettiva, capovolgendo l’idea che abbiamo del potere, il modo in cui ce lo rappresentiamo.
Immaginiamo un’orchestra col suo direttore. A prima vista, o perlomeno secondo i filtri attraverso cui siamo abituati a vedere le cose, si potrebbe pensare che il direttore è la persona che ha maggior potere di tutti; ma cosa succederebbe se mentre il direttore alza la bacchetta e comanda di iniziare a suonare nessuno dei musicisti lo facesse? Il ruolo del direttore diventerebbe improvvisamente inutile e il suo presunto potere svanirebbe nel nulla.
Chi dunque detiene realmente il potere e la capacità di decidere e di influenzare ciò che gli accade intorno? Il singolo musicista, naturalmente e, fuor di metafora, ognuno di noi, a patto che sia disposto ad accettarlo e a riconoscerselo.
In tal senso niente e nessuno ha potere su di noi se non siamo noi stessi a darglielo.
La portata di questa affermazione è rivoluzionaria in quanto ci restituisce responsabilità e potere laddove tutto tende a togliercelo: pensiamo al sistema sanitario che ci vede pazienti passivi e dipendenti dalle cure che qualcuno ha deciso per noi, nonostante le recenti scoperte delle scienze mediche confermino la naturale capacità d’auto-guarigione del nostro corpo; pensiamo al contesto politico e socio-economico che decide per noi e ci considera semplici risorse da sfruttare quando invece potremmo essere protagonisti della nostra vita e artefici del nostro destino.
Per non parlare del sistema della salute mentale, che considera la tristezza e il disagio psicologico come una conseguenza dei geni ereditati; il che significa che non ci resta che soffrire a denti stretti, quando invece ogni persona ha in sé la capacità (il potere) di uscire dalla propria situazione di sofferenza semplicemente riscoprendo e imparando ad utilizzare le proprie risorse e potenzialità interiori.
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