La crisi del Movimento 5 Stelle
Intervista di Nicola Di Turi a Marco Revelli
Di Nicola Di Turi
Parlamentari in subbuglio, con una fronda che sul caso Gambaro pare pronta ad allargarsi, ed elettori in fuga. Il Movimento 5 stelle vive indubbiamente un momento di appannamento, dopo l’exploit di febbraio. Così, in questi giorni si sprecano le analisi sulle ragioni della flessione.
DOMANDA. Anche Grillo ha poco da esultare...
RISPOSTA. Non sono del tutto d’accordo. Oggi molti dimenticano che grazie al risultato ottenuto a febbraio, il Movimento 5 stelle era passato rapidamente da maglia nera a maglia rosa del Giro elettorale. Ricordiamoci che neanche Berlusconi era riuscito in un’impresa simile nel 1994.
D. Anche in questo caso gli italiani hanno la memoria corta?
R. Non lo so, ma sicuramente il mercato elettorale italiano è simile al mercato finanziario, caratterizzato da una forte volatilità degli investimenti. Ci sono milioni di elettori in libera uscita, e dopo aver capitalizzato il malcontento generalizzato, il M5s non è riuscito a trattenere gli scontenti.
D. Manca il senso di appartenenza?
R. Si può dire che ormai non esiste più.
D. Grillo del resto ha costruito il suo successo sullo scontento e sull'antipolitica...
R. Bè, chi di liquefazione ferisce di liquefazione perisce. Grillo ha puntato tutto sui fuoriusciti degli altri partiti, da qualunque parte provenissero. Mentre i suoi elettori avevano investito tutto sul «vaffa», ma non è bastato.
D. È questa la causa dell’appannamento del Movimento?
R. Di errori ne sono stati commessi parecchi, a partire dal malinteso iniziale per cui Grillo ha chiesto voti, la gente l’ha votato, ma lui in parlamento non c’è andato, e gli elettori si sono ritrovati uno come Vito Crimi.
D. Non può essere solo questa però la causa della débâcle...
R. No, certo. È evidente che il M5s ha pagato anche la capacità della politica di non fare una piega di fronte allo tsunami, dando il la a un’alleanza come quella del governo Letta.
D. Il Movimento avrebbe potuto evitarlo appoggiando un governo col Pd, no?
R. Dopo aver intercettato lo tsunami dei delusi dai partiti, il Movimento è entrato nel Palazzo. Lì si è trovato di fronte a delle scelte, optando per il mantenimento delle promesse fatte in campagna elettorale: nessuna alleanza con i partiti. In fondo, il Pd non voleva allearsi davvero col M5s.
D. Il Pd invece è risultato il vincitore delle ultime elezioni comunali.
R. Sul territorio il Pd ha dimostrato di avere in forza amministratori stimati, che ispirano fiducia. A livello nazionale, invece, ha troppi leader, tutti in lotta tra loro. Esistono faide cresciute nel tempo, e il rischio di una scissione è evitato solo da prospettive comuni di potere. La poltrona da segretario, poi, assomiglia ad una sedia elettrica.
D. Pd o non Pd, fatto sta che con la loro ostinazione i cinquestelle si sono ritrovati in un angolo.
R. Certamente i partiti tradizionali sono riusciti a neutralizzare la spinta dei grillini, e si sono coalizzati con le larghe intese, battezzate dal Capo dello Stato più interventista della storia repubblicana.
D. E il Movimento ha cominciato anche a perdere parlamentari. Perché?
R. L’obiettivo di Grillo di canalizzare la rabbia è stato meritorio. Ma una volta entrati in parlamento, le regole del gioco sono cambiate. Il gruppo di eletti è enorme e inevitabilmente eterogeneo, alcune fuoriuscite erano inevitabili.
D. Eppure i parlamentari provengono dall’ esperienza partecipativa dei meet-up.
R. L’esperienza dei meet-up è solo virtuale. È la struttura stessa a produrre eterogeneità , con gruppi locali collegati solo in Rete. In realtà i parlamentari non hanno un percorso comune alle loro spalle, se escludiamo la conoscenza nel web.
D. È mancata una vera guida, nonostante il collante rappresentato da Beppe Grillo?
R. Grillo e Casaleggio non hanno mai messo a punto una buona strategia parlamentare, ma solo un fenomenale piano di marketing politico. Così i partiti si sono ripresi il Palazzo con le larghe intese, grazie al beneplacito di Napolitano.
D. Si è detto che non c'erano alternative.
R. Dopo quel tipo di risultato elettorale, effettivamente era difficile fare altrimenti. La perdita di credibilità proveniente dal basso, dai cittadini, oggi però fa il paio con un’Europa asfittica, governata da organismi non eletti, che decidono al posto dei partiti e per tutti.
D. Se i partiti non riuscissero più ad arginare lo scontento si prospetterebbero scenari pericolosi?
R. Intravvedo tre possibili vie d’uscita. La peggiore prevede l’arrivo di un demagogo che farebbe rimpiangere anche Grillo. Si potrebbe poi verificare una concentrazione della democrazia in centri di potere che poco avrebbero a che fare col demos. Personalmente invece preferirei la trasformazione dei partiti in realtà capaci di ascoltare la parte illuminata della società , collaborandoci.
D. L’Europa, invece, sembra andare verso una direzione opposta.
R. Certo, del resto la conferma l’ha data Mario Draghi qualche tempo fa, quando disse che «l’Europa ha il pilota automatico», come a sottolineare che i partiti e gli elettori ormai sono superflui, decide tutto la Troika. E non c’è niente di peggio di una democrazia fondata sui partiti, in cui i partiti non contano nulla.
Fonte : http://www.lettera43.it/politica/marco-revelli-spiega-la-crisi-del-movimento-5-stelle_4367599010.htm
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