Di Riccardo Noury
Ufficialmente vietata dalle leggi della maggior parte dei paesi, spesso persino dalle costituzioni, negata oltre l'evidenza, secondo l'ultimo Rapporto annuale di Amnesty International la tortura è praticata in 112 paesi.
Non c'è continente che sia immune da questa violazione estrema dei diritti umani, un misto di sevizie rudimentali di manzoniana memoria e di applicazioni di sofisticati congegni elettronici.
Questo è il 24° 26 giugno in cui Amnesty International chiede alle istituzioni italiane di dare seguito agli impegni assunti nel 1989 attraverso la ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, introducendo il relativo reato nel codice penale.
C'è stato tempo, purtroppo, per interrogarci su quanto l'assenza del reato di tortura, in questi lunghi anni, abbia condizionato l'esito di procedimenti giudiziari o potrebbe condizionare quelli ancora in corso; su quanto non trovare nel codice penale quella parola, così clamorosamente mancante nel caso di Bolzaneto, abbia sminuito le responsabilità penali e abbia prodotto prescrizione dal lato dei colpevoli, frustrazione dal lato delle vittime.
"I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro di grazia e giustizia per sapere (...) premesso che non è stata ancor introdotta nel nostro ordinamento l'autonoma ed espressa ipotesi delittuosa del reato di tortura, quale sia la posizione ufficiale del governo su tale inqualificabile inadempimento; quali decisioni il Governo, in conformità dell'articolo 10 della Costituzione, intenda adottare per adempiere con urgenza gli impegni assunti in una materia così intimamente connessa al rispetto dei diritti inviolabili della persona, garantiti dall'articolo 2 della Costituzione stessa, ed alla civiltà umana e giuridica."
Così recitava l'Interpellanza n. 2/01945 del 21 settembre 1999, presentata dall'on. Silvio Berlusconi a nome del gruppo parlamentare Forza Italia. Il ritardo era già arrivato a 10 anni. Né i suoi successivi governi, né quelli di centro-sinistra, né quelli tecnici né le maggioranze che quei governi hanno formato e sostenuto negli ultimi tre lustri, hanno avuto la volontà politica di adempiere a quell'obbligo di diritto internazionale.
La principale ragione, a volte espressa a chiare lettere, altre volte sottovoce come se neanche chi se ne faceva portavoce ci credesse fino in fondo, è che non introducendo il reato di tortura si proteggerebbero le forze di polizia da una presunta criminalizzazione.
La posizione delle organizzazioni per i diritti umani è che parole chiare e ferme, così come leggi chiare contro la tortura da parte dei pubblici ufficiali non solo servirebbero a difendere i cittadini ma, sul piano della prevenzione e della repressione, aiuterebbero ad accertare le responsabilità personali e quindi a proteggere la reputazione complessiva delle forze di polizia.
Solo conoscendo e condannando chi tortura, potremo dire che gli altri non torturano. Così fino a oggi non è.
I leader di tutte le forze politiche che compongono l'attuale governo, e con loro 117 parlamentari, hanno sottoscritto il punto dell'Agenda di Amnesty International sui diritti umani in Italia che chiede che l'Italia si doti distrumenti adeguati a prevenire maltrattamenti e tortura da parte delle forze di polizia e ad investigarli in maniera efficace: tra questi, oltre al già ricordato reato di tortura, occorre un meccanismo di prevenzione indipendente come richiesto dai trattati internazionali a cui l'Italia ha aderito e, in particolare, dalProtocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, finalmente ratificato pochi mesi fa.
Sarà questo l'anno buono per l'introduzione del reato di tortura in Italia?
Dal blog Le persone e la dignità
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