E'
inutile e poco produttivo nascondersi dietro un dito: dove ci sono
grandi opere, si voglia l'Expo 2015 di Milano, si voglia la
costruzione del ponte sullo stretto di Messina, si vogliano le
Olimpiadi di Torino, si voglia la Tav, le mafie bazzicano e tentano
di allungare la mano. Perchè l'edilizia è
un business incredibile per le organizzazioni criminali: permette
diriciclare
soldi, smaltire illegalmente i rifiuti, dare lavoro a fidati,
guadagnare attraverso lo scambio di tangenti. Una
manna dal cielo. Senza considerare che in Italia, purtroppo, le
mafie, e la 'ndrangheta in
special modo, hanno quasi il totale monopolio dei cantieri pubblici,
grazie a un ragionato e non sempre individuabile sistema
di appalti e subappalti.
Sebbene
la questione rivesta connotati di attualità, la problematica era già
in emersa nei primi anni novanta, quando il progetto iniziale
dell'Alta velocità venne elaborato. Il giudice Imposimato,
membro dal 1987 al 1994 della Commissione
Antimafia,
fin dal 1992 riscontrò anomalie nella gestione della grande ed
innovativa opera pubblica. Così che, nel 1994, istituì un'inchiesta
al riguardo, parallelamente a Falcone
e Borsellino.
I risultati a cui i tre approdarono furono similari: nell'imponente e
rivoluzionaria opera dell'Alta Velocità trovava spazio la mafia che,
attraverso la sovraffatturazione delle
spese, era in grado di lucrare somme ingenti. Il costo dell'opera,
stimato inizialmente a 29 mila miliardi di lire, venne gonfiato fino a
raggiungere i 300 mila
miliardi che,
secondo il giudici, servivano per coprire le tangenti alla mafia e ai
politici. Quel che più è grave, ad Imposimato venne impedito di
presentare la sua inchiesta; a suo dire, le stesse indagini sulla Tav
furono un fattore determinante nella scelta di uccidere Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino.
Le
organizzazioni criminali sono in grado di inserirsi nelle grandi
opere presentandosi come imprese dai prezzi vantaggiosi, con sedi al
nord. Neanche presentano indizi che le possano ricondurre ad attività
illecite di stampo mafioso. In questo modo, viene facilitata nei loro
confronti la concessione dell'opera,
un meccanismo che va a sostituire la gara d'appalto, in virtù
dell'urgenza della costruzione. Questo modus operandi era stato
scoperto conveniente dalla criminalità organizzata già nel 1980, in
occasione del terremoto in Irpinia. Evitando le gare d'appalto, le
mafie furono in grado di imporsi a pieno titolo nelle ricostruzioni
edili, lucrando somme da capogiro.
La
concessione ha infatti un significativo lato positivo, per la mafia:
la spesa finale dell'opera è determinata dalla fatturazione
complessiva prodotta
nel corso dei lavori, un sistema che apre facilmente la porta alla
corruzione. Partendo da questi presupposti, le mafie sono in grado di
gonfiare i costi, con la compiacenza di politici e banche, creando
poi fondi
neri di
diverse migliaia di euro.
Il
sistema di concessioni, appalti e subappalti, affiancato
dall'utilizzo di vari prestanome,
delinea così una fitta ragnatela, la quale impedisce di risalire
immediatamente allo stampo mafioso dell'impresa.
La
storia della Tav italiana è un vero e proprio archivio di reati a
sfondo delinquenziale; un patrimonio sempre in crescita nelle mani di
famiglie criminali dedite all'edilizia. Non si parla soltanto della
tanto discussa Torino-Lione,
che nell'ultimo periodo rappresenta il simbolo stesso dell'Alta
Velocità, il cui tracciato va stranamente a coincidere con la
disposizione delle cosche sul territorio piemontese, ma di tutto il
progetto nazionale.
Nei
cantieri della Torino-Milano, per esempio, nel 2008, le fiamme gialle
furono in grado di rintracciare il coinvolgimento
della Edil costruzioni,
una ditta milanese che lavorava in subappalto nella costruzione della
Tav. L'impresa era legata a un narcotrafficante di Africo, Santo
Maviglia che, attraverso l'assegnazione dei lavori per l'Alta
Velocità, era stato in grado di riciclare denaro e guadagnarne
attraverso lo smaltimento illegale di rifiuti.
Allo
stesso modo, Ls
Strade,
azienda lombarda leader nel movimento terra, era portata avanti da
Maurizio Luraghi, che si scoprì poi essere un mero prestanome
arruolato dalle 'ndrine Barbaro
e Papalia.
Sempre
attorno al cantiere Torino-Milano, vorticavano i calabresi Marcello
Paparo e Carmelo
La Porta. Furono
arrestati nel marzo del 2009, all'interno dell'operazione “Isola”.
La ditta di movimento terra di Paparo, la P&p, era riuscita ad
ottenere, in subappalto, alcuni lavori nel cantiere della Tav tra
Pioltello e Pozzuolo Martesana. La ditta appaltatrice, la Locatelli,
era poi dedita a dare consigli ai calabresi su come aggirare i
controlli della Guardia di Finanza. I Paparo, inoltre, erano
collegati a doppio filo con le famiglie Arena
e Nicoscia,
le cosche dominanti di Isola di Capo Rizzuto.
Sempre
nel 2009, l'operazione antiriciclaggio “Pioneer” fece scattare le
manette attorno i polsi di 14 di persone. Tra gli arrestati vi era
anche Ilario D'Agostino, proprietario della Ediltava
sas,
con sede a Rivoli, vicino a Torino, ditta che si aggiudicò numerosi
subappalti nei cantieri Tav. D'Agostino, secondo le deposizioni del
pentito Rocco
Varacalli,
altri non era che il contabile del boss di Ciminà, Antonio
Spagnolo.
Riguardo
il business derivato dai rifiuti non si può fare a meno di pensare
al recente caso, verificatosi a Firenze: una delle ditte impegnate
nei lavori di costruzione del tunnel che collegherà Campo
di Marte a Castello, avente il compito di smaltire i materiali di
scarto, era riconducibile al clan dei Casalesi.
Lo stesso cartello camorristico che sulla Napoli-Roma ha fatto affari d'oro. In un solo anno, dall'apertura dei lavori nel 1994 fino al 1995, sul tracciato della Tav hanno lavorato decine di ditte sporche, con un guadagno di oltre 10mila miliardi di lire. I camorristi si imposero sul controllo dei lavori in due differenti modi: o infiltrando le proprie ditte, per lo più controllate da Pasquale Zagaria, fratello del noto boss Michele, o richiedendo tangenti alle imprese pulite, che concorrevano nella realizzazione della tratta.
Lo stesso cartello camorristico che sulla Napoli-Roma ha fatto affari d'oro. In un solo anno, dall'apertura dei lavori nel 1994 fino al 1995, sul tracciato della Tav hanno lavorato decine di ditte sporche, con un guadagno di oltre 10mila miliardi di lire. I camorristi si imposero sul controllo dei lavori in due differenti modi: o infiltrando le proprie ditte, per lo più controllate da Pasquale Zagaria, fratello del noto boss Michele, o richiedendo tangenti alle imprese pulite, che concorrevano nella realizzazione della tratta.
All'inizio
la Camorra era
riuscita ad accaparrarsi “solo” il monopolio del movimento terra,
attraverso la ditta Edil
Moter.
Seguitamente, nel 2008, partirono le indagini, le quali rinvennero
gravi anomalie. Alcune ditte, come laCalcestruzzi
spa, del
Gruppo Italcementi, infatti mostravano “significativi
scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento con quelli
effettivamente impiegati nella produzione dei conglomerati forniti
all'impresa appaltante.”
Il costo per chilometro, della tratta Roma-Napoli, fu di circa 44 milioni di euro, con punte che sfioravano a 60 milioni. Le indagini, pertanto, cercavano di capire se tali cifre nascondessero, in realtà, fondi neri istituiti appositamente dalla Camorra di Casal di Principe.
Il costo per chilometro, della tratta Roma-Napoli, fu di circa 44 milioni di euro, con punte che sfioravano a 60 milioni. Le indagini, pertanto, cercavano di capire se tali cifre nascondessero, in realtà, fondi neri istituiti appositamente dalla Camorra di Casal di Principe.
Neanche
l'Emilia Romagna fu esente dal fenomeno mafioso legato all'Alta
Velocità. L'inizio dei lavori è stato infatti il fattore scatenante
di un incredibile“flusso
migratorio”,
che portò a Reggio Emilia più di sessanta cosche, le quali
egemonizzarono i lavori ferroviari.
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